La parola del giorno è
[cùc-co]
SIGN Beniamino, favorito, in senso spregiativo; cuculo; babbeo
voce onomatopeica.
È vero: 'cucco' non è un termine su cui ci si interroga molto, ma è in buona parte imperscrutabile,
e per un verso o per un altro ce lo abbiamo pronto sulla lingua.
Ebbene, non è un termine solo: in questa forma, molto familiare,
convergono parole diverse, e il fatto curioso è che in massima parte
sono onomatopeiche.
Innanzitutto è un equivalente di 'cocco', non quello della noce ma il giovane beniamino, il prediletto, il favorito - il cocco della mamma, della maestra e via cliché dicendo. In questo caso l'onomatopea è davvero calzante, e si vota alla denigrazione
evocando
tanto la chioccia (il 'cucco' è anche l'uovo!) quanto i versi senza
significato con cui intratteniamo i bambini. In secondo luogo 'cucco' è
anche un nome con cui è noto il 'cuculo' (mica scherzi, trova omologhi
anche in latino e greco). Qui l'onomatopea è facile: il cuculo fa cu-cu.
E riallacciandoci giusto al cucco-volatile, per la scarsa stima
popolare dell'intelligenza degli uccelli 'cucco' vale anche 'babbeo',
specie nella locuzione 'vecchio cucco'.
E il 'vecchio come il cucco', nel senso di vecchissimo? Le ipotesi sono due: potrebbe riferirsi ancora al cuculo, poiché le tradizioni classiche credevano alcuni tipi di volatili di longevità millenaria; o potrebbe essere una storpiatura (analoga a ' bacucco'
e 'imbacuccato') che rievoca il profeta biblico Abacuc - non il più
vecchio che compare nella Bibbia ma sempre raffigurato come suggestivo
vecchione barbuto e
severo.
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(G. Basile, La Gatta cennerentola, in Lo cunto de li cunti, sesta novella della prima giornata)
[Lo re] fa jettare no banno, che
tutte le femmene de la terra vengano a na festa […] E, venuto lo juorno
destenato, […] provaje lo chianiello ad una ped una a tutte le commitate
[…].
Ma non tanto priesto [lo chianello]
s’accostaje a lo pede de Zezolla, che se lanzaje da se stisso a lo pede
de chella cuccopinto d’ammore, comme lo fierro corre a la calamita!
Una veste inusuale, per un contenuto notissimo: il re, convocate con un bando tutte le donne del regno, fa provare a ciascuna una scarpetta ( chianello); e, non appena la avvicina alla sguattera Zezolla, la scarpetta vola da sé al suo piede, adattandovisi perfettamente.
A quel punto il re incorona la fanciulla regina.
Ebbene sì, è proprio la fiaba di Cenerentola! In effetti questa è la sua prima attestazione scritta, all’interno del più importante libro di novelle del Seicento.
Per la verità, sembra che la
primissima Cenerentola sia nata addirittura nell’antico Egitto; ma la
sua consacrazione ufficiale avviene con Basile, in terra napoletana.
Tanto che si è parlato di mettere una targhetta nel Palazzo Reale di
Napoli, per ricordare il “vero” luogo dove la scarpetta fu perduta.
Una scarpetta non ancora di
cristallo, però: quella è una trovata del francese Perrault, forse
dovuta a un errore linguistico. Si ipotizza infatti che nella tradizione
precedente la scarpetta fosse di pelliccia ( vair in francese), poi confusa con il suo omofono verre, vetro.
Comunque, quanto a invenzioni linguistiche, anche Basile non scherza. Fa infatti un uso creativo e ruspante
del già vivacissimo dialetto napoletano, innestandovi l’amore –
tipicamente barocco – per la metafora. Da qui espressioni gustose come
“cuccopinto”: letteralmente “uovo dipinto”, ossia qualcosa di grazioso e
tenero; perfetto per il visino da bambola di Zezolla.
Va detto, però, che la Cenerentola di Basile non è affatto la fanciulla ingenua e innocente
che c’immaginiamo. Non solo si procura con l’astuzia l’aiuto delle
fate, ma soprattutto… uccide la sua prima matrigna! (Salvo poi
ritrovarsene un’altra ancora peggiore).
I casi quindi sono due. Il suo
aspetto da “cuccopinto” potrebbe essere il risultato dell’espiazione,
che lavando la colpa dell’omicidio restituisce a Zezolla la bellezza
(esteriore e interiore). Ma potrebbe anche essere l’astuta maschera di
un’approfittatrice senza scrupoli: Basile questo non lo specifica.
Forse il povero re farebbe bene a guardarsi le spalle…
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