BACIAMI STUPIDO...
Cavaliere, Salvini e Di Maio possono governare insieme, da soli?
«Sarebbe un ircocervo, l’animale mitologico spesso citato dai filosofi antichi come esempio di assurdità, perché in esso convivono caratteri opposti e inconciliabili.
La parola del giorno è
Inizio
[i-nì-zio]SIGN L'atto, il luogo, il momento in cui qualcosa comincia; prima manifestazione; manifestazione debole
dal latino [initium], derivato di [inire] 'entrare, cominciare', composto di [in] e [ire] 'andare'.
Questa parola è così umile
e ricorrente da non farci mai alzare un sopracciglio, ma riposa su
un'immagine sintetica più complessa di quel che si direbbe (dopotutto lo
stupore per lo scorcio di casa è il più sorprendente).
Sappiamo che l'inizio è l'atto, e il luogo, e il momento in cui un fenomeno prende avvio: fin qui niente di strano. Si ode il segnale d'inizio della partita, l'inizio del percorso è più accidentato del prosieguo, devo rivedere il film dall'inizio perché
mi sono addormentato subito.
Eppure nell'etimo lo troviamo descritto letteralmente come una entrata in.
Se parliamo di 'entrare in' presupponiamo che ci sia un dentro, ma un
dentro che spesso è tutt'altro che fisico. È il dentro del futuro, della storia ventura, della realizzazione:
l'inizio è l'atto e il luogo e il momento dinamico in cui si entra
nella narrazione, nel processo, nel fenomeno. Narrazione, processo,
fenomeno che individuiamo, e perciò ritagliamo mentalmente dal foglio
del mondo, e
di cui quindi riconosciamo un dentro e un fuori, e così un'entrata, un
inizio.
Per questo l'inizio può anche
diventare una prima manifestazione o una manifestazione debole - per
questo possiamo parlare di un inizio di consapevolezza rivelato da un gesto di compassione o di un inizio d'influenza che abbiamo scongiurato con tè e miele.
L'inizio può anche essere un primo ingresso, o solo un ingresso senz'altro - così come il primo passo di un lungo cammino in un dentro enorme.
Bellezza del termine poetico: nasconde una metafora che condividiamo e richiamiamo senza accorgercene.
* * *
Prelibato
[pre-li-bà-to]SIGN Squisito, di eccellente sapore; pregevole, egregio; accennato in precedenza
propriamente, participio passato di
[prelibare], dal latino [praelibare], composto di [prae-] 'avanti' e
[libare] 'gustare, assaggiare'.
In questa parola osserviamo uno scarto fra il significato originale e i suoi esiti più comuni - ed è uno scarto intelligente, poetico.
Letteralmente il prelibato sarebbe il pregustato, ciò che viene assaggiato prima. Tant'è che il praelibare latino, oltre a questo, aveva i significati di sguardare, di sfiorare, di accennare: azioni in cui troviamo un'anticipazione di un futuro contatto più
corposo.
Lo scarto bellissimo è che il pregustato diventa ciò che ha sapore eccellente: vivande e bevande, quelle squisite, sono catalogate in un cassetto della memoria sempre a portata, e ci pesano sul desiderio tanto che iniziamo a gustarle alla loro sola prospettiva. Quando la
mamma
dichiara "Ho fatto la parmigiana di melanzane" Pavlov prende un
appunto: non l'abbiamo vista, non l'abbiamo odorata, ma è prelibata, e
qui troviamo la coda di rondine che incastra pregustato e squisito.
Poi nei dizionari si trova registrato che 'prelibato' signfica anche pregevole, egregio in virtù di qualità personali straordinarie - anche se parlare di una persona prelibata invita facilmente uno sguardo cannibalesco. Invece gagliardo
(pur se desueto) è il
significato che vede nel prelibato ciò che è accennato in precedenza:
torneremo su un argomento prelibato, il buon giallo fa arrivare all'assassino
con un sistema di indizi prelibati. Mantiene quella prospettiva,
quell'anticipazione che è il vero cuore di questa parola, fine ma
comune, buona per ogni palato.
* * *
Mirabolante
[mi-ra-bo-làn-te]SIGN Straordinario, stupefacente, meraviglioso
dal francese [mirabolant], derivato di
[myrobolan] 'mirabolano', per accostamento scherzoso al latino [mirari]
'stupirsi, sorprendersi'.
Davanti a una parola del genere,
peraltro bellissima, pensare a certi discorsi sulla purezza della lingua
e sulla corretta formazione delle parole fa sorridere.
Il mirabolano è una pianta, detta anche brombolo, amolo o rusticano, che è una sorta di prugno, e prende il suo nome dal greco myrobàlanon, letteralmente 'ghianda profumata' (myros è giusto 'profumo'). L'inizio del suo nome - senza che c'entri niente - ha evocato all'orecchio francese il mirari
latino, e quindi qualcosa che desta stupore, sorpresa. Così il
mirabolano (o mirabolone) torna in italiano dall'esperienza francese con
il significato specifico di fanfarone, di spaccone, di persona che
racconta meraviglie esagerate. E il mirabolante segue.
Per mirabolante s'intende lo straordinario, lo stupefacente, il meraviglioso, con una possente
carica d'inconseutudine se non di esagerazione. Come abbiamo visto non è
un participio presente (non c'è il verbo 'mirabolare') però ne ha la
forma, e questo, nel nostro orecchio, rileva. Infatti c'è un che di
dinamico, nel mirabolante, già nel suono uno straordinario che si
compie, quasi
rocambolesco, quasi pirotecnico, quasi fantasmagorico.
L'amico ci racconta delle mirabolanti avventure che ha vissuto in
Thailandia (ma non era un viaggio organizzato?), con un bicchiere in più
lo zio si abbandona a sproloqui mirabolanti, il libro che partiva noioso rivela una fantasia
mirabolante.
Una parola comune e ricca, che accende il discorso.
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