Tuesday, June 30, 2020
OCLOCRAZIA
Monday, June 29, 2020
SCAZZO
"se una donna esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso, deve preoccuparsi”
"Puoi fare l’avvocato e il magistrato e ottenere tutto il successo che vuoi, ma il femminile in una donna è la base su cui avviene il processo. Il femminile è il luogo che trasmette il desiderio, se le donne non si sentono a proprio agio con il proprio vestito tornano a casa a cambiarsi. Noi uomini siamo più unilaterali, la donna invece è la regina della forma, la donna suscita il desidero e guai se non fosse così”. Lo psichiatra ha quindi esposto le proprie teoria sulla femminilità, ribadendo di fatto quanto già detto. "In una donna - ha spiegato - il femminile è la radice. È presente alle basi dell’essere già agli albori, è un dato ontologico, le bambine giocano con le bambole fin dagli albori”.
Quest'ultima frase ha scatenato l'ira della Murgia: "I maschietti non giocano con le bambole? Perché non gliele diamo. Se gliele diamo magari ci giocano”. Pronta la risposta di Morelli: "Ascolta, i maschi non giocano anche se gliele diamo". Da qui è nato un botta e risposta piuttosto acceso. Da una parte la scrittice che ha chiesto a Morelli di darle del lei "perché non sono una bambina", dall'altra Morelli che ha accusato la Murgia di porgli "domande stupide".
La discussione non poteva finire nel peggiore dei modi. Di fronte all'ennesima spiegazione dello psichiatra su cosa sia la femminilità, i due sono tornati a litigare fino a quando Morelli ha detto: "Sto parlando, stai zitta, altrimenti me ne vado". Chiara la replica della scrittrice: "Se ne vada. Non sta facendo un comizio io le faccio delle domande”. Telefono buttato giù e diretta finita.
Qualcosa nel suo modo di muoversi
Attracts me like no other lover –
mi attrae come nessuna altra amante
Something in the way she woos me –
qualcosa nel modo in cui mi corteggia
I don’t want to leave her now –
Non voglio lasciarla ora
You know I believe her now –
tu sai che credo in lei ora
Somewhere in her smile she knows –
Da qualche parte nel suo sorriso lei sa
That I don’t need no other lover –
che io non ho bisogno di nessuna altra amante
Something in her style that shows me –
qualcosa nel suo stile che mi rivela
Don’t want to leave her now –
Che non voglio lasciarla ora
You know I believe her now –
tu sai che credo in lei ora
Something in the way she knows –
C’è qualcosa che lei sa
And all I have to do is think of her –
che tutto ciò che devo fare è pensare a lei
Something in the things she shows me –
c’è qualcosa nelle cose che mi mostra
Don’t want to leave her now –
Che non voglio lasciarla ora
You know I believe her now –
tu sai che credo in lei ora
e se per caso vi andasse di ascoltarla
su Youtube la trovate qui:
https://youtu.be/UelDrZ1aFeY
P.S.
Due indizi fanno una prova (e se ricordo bene erano tre) non lo diceva Conan Doyle ma Poirot.
Sunday, June 21, 2020
PERDìO NON E' UNA BESTEMMIA, PERDIO!
perdìo (meno com. pér Dio) interiez. – Esclamazione imprecativa che esprime disappunto, risentimento, insofferenza o sorpresa, oppure serve a rafforzare un’asserzione, una negazione, una minaccia: smettila una buona volta, perdio!; ti avevo detto di non seccarmi, perdio!; gliela farò pagare, perdio! Talvolta sostantivata (invar. o pl. -i), con il sign. di imprecazione, bestemmia: ogni tanto gli scappa qualche perdio; Bixio schizzò fuoco dagli occhi e schiacciò un gran perdio (G. Bandi); nella stizza, gli scivolan giù i perdii come chicchi di corona infilati (Fucini). Può essere usata anche come invocazione: Perdio, questo la mente Talor vi mova (Petrarca), ma in tali casi, per evitare ambiguità, si preferisce la grafia per Dio o si ricorre a espressioni quali per l’amor di Dio, in nome di Dio e sim. ◆ In aggiunta alle alterazioni eufemistiche qui registrate (perdiana, perdinci, ecc.), è da menzionare anche la forma region. (tosc., ecc.) perdìa, usata soprattutto come espressione asseverativa e rafforzativa: dovrà vedersela con me, perdia!
La parola del giorno è
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[que-ri-mò-nia]
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SIGN
Lamentela insistente, lagnanza
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SOL FA
Solfeggio
Oggi si distingue il solfeggio cantato da quello parlato. Quest’ultimo può risultare molto noioso proprio perché privo di fascino musicale. Ma non fu sempre così.
Il termine nacque dall’unione del nome delle syllabae Sol e Fa della solmisazione, un complesso sistema di lettura dei suoni basato su sole sei note, anziché sette del sistema moderno, la cui paternità è tradizionalmente attribuita al monaco Guido d’Arezzo.
Queste antiche scale si chiamano esacordi e sono di tre tipi: esacordo duro (con inizio dalla nota Sol):
In ogni tipo di esacordo la successione degli intervalli tra le note è costante, e per questo motivo i tre esempi audio sembrano uguali.
Per facilitare la memorizzazione delle sillabe agli allievi, il maestro le indicava sulla propria mano; il metodo prese il nome di ‘mano guidoniana’.
La difficoltà della solmisazione, anche per un musicista moderno, consiste nel fatto che i sei suoni, qualunque sia il loro inizio, si chiamino sempre: ‘Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La’, (Ut=antico nome del Do) desunti dalle sillabe iniziali dei versi di un famoso inno in Canto Gregoriano a S. Giovanni Battista, la cui festività ricorre il 24 giugno.
La notazione precedente alla solmisazione era alfabetica, mantenuta fino ai giorni nostri nel mondo anglosassone (A=La; B=Si; C=Do etc.). Le lettere si chiamavano litterae o claves. La G (Sol), la C (Do) e la F (Fa) corrispondevano alle litterae iniziali degli esacordi, e in un lento processo calligrafico si trasformarono nelle tre chiavi (claves, appunto) ancora oggi in uso: la chiave di violino, o di Sol, la chiave di Do e la chiave di basso, o di Fa.
Con il passare dei secoli, il ‘solfizare’ del Rinascimento, ossia la lettura cantata tramite la solmisazione, nel Seicento si estese per sineddoche a indicare ogni esercizio vocale. I maestri di canto dell’epoca erano musicisti e scrivevano estemporaneamente per i loro allievi composizioni polifoniche senza testo, di solito a due voci, che venivano stampate raramente, perché erano composte sulla ‘cartella’, una tavoletta di pietra, legno o gesso, su cui si potevano appuntare e poi cancellare gli esercizi musicali. Un po’ come a scuola: quante spiegazioni ed esercizi alla lavagna, ma nessuno li stampa…
Lo studio del solfeggio di solito non piaceva agli allievi. Pier Francesco Tosi esortò perciò i giovani musicisti a imparare a "solfeggiar la scaletta", ma raccomandò ai maestri che i solfeggi fossero ‘naturali’ e ‘gustosi’, perché lo studente si applicasse a «studiarli con piacere, e ad impararli senza noia» (Opinioni de’ cantori antichi e moderni, 1723).
Il metodo pedagogico italiano fu ampiamente diffuso ed emulato nel XVIII secolo. I francesi si interessarono ai metodi di insegnamento italiani e produssero numerose pubblicazioni; la prima fu Solfèges d'Italie avec la basse chiffrée (1772) con esempi di Scarlatti, Porpora e altri. Nel 1827 uscirono anche i famosi Gorgheggi e solfeggi di Rossini.
Perciò il solfeggio non è sempre la solita solfa ma, nonostante la difficoltà iniziale, potrà condurre a leggere e a comprendere splendide pagine musicali, permettendo di individuarne la divisione ritmica e la struttura melodica. Insomma, anche in questo caso, per aspera ad astra!
Monday, June 15, 2020
ASSIOMA
Assioma
as-siò-ma
Significato Principio assunto come vero, senza bisogno di dimostrazione
Etimologia dal greco axíoma 'dignità', da áxios 'degno'.
Da un lato è una parola che mette in soggezione, dall'altro viene usata con disinvoltura in contesti inattesi. Ebbene, l'assioma nasconde un concetto che ci è molto familiare, e che ci può aiutare a considerarlo in maniera più amichevole e profondo — e chiederemo una mano a Galileo. Andiamo con ordine.
Abbiamo cognizione che il termine 'assioma' sia un termine scientifico. Lo associamo alla matematica, magari alla logica — anche se in effetti è un termine proprio dell'epistemologia, cioè quella branca della filosofia che si interessa delle condizioni per la costruzione del pensiero scientifico, della sua struttura e delle sue metodologie. Ma allora com'è che 'assioma' si trova negli articoli dei giornali e nei discorsi dei politici, che di rado brillano per cognizioni epistemologiche?
L'assioma è ciò che è assunto come vero: è ciò che, per la sua evidenza, non richiede dimostrazioni, ed è anche il presupposto del quadro teorico che se ne può dedurre.
Qualche esempio? Gli assiomi del matematico Giuseppe Peano sui numeri naturali (non in maniera formale, 0 [zero] è un numero naturale, ogni numero naturale ha un numero naturale successore, numeri diversi hanno successori diversi, etc.). In geometria si parla più volentieri di 'postulati' (magari qualcuno ricorda il vessato quinto postulato di Euclide, da un punto esterno a una retta passa una e una sola retta a essa parallela): 'assioma' e 'postulato' sono termini usati spesso come sinonimi, ma chi li vuole distinguere dà all'assioma un respiro più generale, e al postulato (letteralmente 'ciò che è richiesto') uno più specifico e funzionale al caso in esame. Concludiamo dicendo che, come spesso si sintetizza, gli assiomi di un sistema devono essere non contraddittorî, non devono derivare gli uni dagli altri e devono essere in numero finito.
Ora, l'assioma nel parlare comune è colato in maniera curiosa, prendendo profili bizzarri. Molte volte resta in maniera generica una verità condivisa, un dato di fatto, una credenza comune, ma con connotati dei più diversi e sorprendenti. Diventa simpaticamente un proverbio, un motto ispiratore rappresentativo, diventa un obiettivo, una finalità, una visione, come anche una regola d'oro, una parola d'ordine, un tratto caratteristico imprescindibile, fino al paradosso di esser preso per ipotesi. Insomma, è una parola molto usata, con un estro che è improprio se la misuriamo col significato che l'assioma ha in epistemologia. E però...
La prima attestazione che i dizionari riportano di questa parola è di Galileo, nel famoso Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. La cosa curiosa è che Galileo, in quest'opera fondamentale (per la scienza e per l'italiano) la alterna con quello che, al contrario di noi, percepisce come un suo sinonimo: dignità.
Così scrive: "bisognerebbe rifiutare molte dignità manifeste. La prima delle quali è, che ogni effetto depende da qualche causa"; mentre in altri passaggi afferma: "bisognerebbe in filosofia rimuover molti assiomi comunemente ricevuti da tutti i filosofi".
L'assioma, come la dignità, è un valore, anzi il valore. Il valore reggente, sintetico e indiscusso. E lo è sia in un sistema scientifico, sia in un meno rigoroso sistema di pensiero, sia in un sistema morale. Perciò nell'uso profano — che è sbavato, improprio, ma spesso capace di cogliere suggestioni pregnanti — sull'assioma convergono tante sfumature diverse. Si può parlare dell'assioma di uno stile culinario (tutto chilometro zero e di stagione), dell'assioma della nonna (si apparecchia anche per mangiare una noce), come anche dell'assioma dell'azienda, dello sportivo, delle vacanze, della manovra economica e della commedia romantica. Ecco l'assioma: un indiscutibile presupposto che racchiude già il suo finale.
[ci-nì-gia] |
SIGN Cenere calda, con ancora qualche favilla di fuoco; brace minuta per gli scaldini |
dal latino [cinis] 'cenere', attraverso l'ipotetica voce del latino parlato [cinisia]. |
Non è più una presenza così vicina e quotidiana, quella della cenere calda, leggerissima, secca, e non del tutto spenta, che può ancora sprizzare qualche favilla. Ha smesso di esserlo insieme al fuoco di legna. Ma questo particolare elemento della realtà, anche se più distante, resta ben presente nel nostro immaginario, e sa comunicare in maniera incisiva. Nella sua umiltà ha una storia, nelle sue varianti, decisamente nazionale: la troviamo usata da Benvenuto Cellini, quando spiega come è che si fa sciogliere e aderire si applica la lega nera di niello nelle incisioni per creare il contrasto di un contorno nero su argento, fino a Pasolini in Una vita violenta, in cui il lancio della cinigia è l'ultima estrema resistenza domestica a dei poliziotti. Passando per Montale, che ne Il canneto rispunta i suoi cimelli rappresenta il farsi e il disfarsi delle nuvole evocando Un albero di nuvole sull'acqua/ cresce, poi crolla come di cinigia. Noi, nel nostro piccolo, possiamo considerare come dopo l'incendio, della macchia non resti che una cinigia volatile e fumante; ricordiamo come il nonno frugava nella cinigia per tirare fuori i cartocci delle patate cotte; e come è più facile riaccendere un fuoco sulla cinigia del precedente. |
Friday, June 12, 2020
CORIMBO
se sei in Italia, basta una esse...
Errata Corrige:
Il corimbo è un'infiorescenza a grappolo. Dall'asse ciascun peduncolo che porta in cima un fiore si separa a un'altezza diversa, ma i peduncoli a mano a mano che si sale si accorciano, cosicché i fiori finiscono per trovarsi tutti alla stessa altezza. Ne esistono varianti diverse, ma l'ordine risultante è sempre una cima di fiori a grappolo — che l'etimologia stessa ci tratteggia.
Il termine è usato per la prima volta in greco dallo storico greco Polibio, vissuto nel II secolo a.C., negli anni in cui Roma conquistò la Grecia. Nelle sue Storie, fra l'altro, specula sull'anaciclosi, un ciclo di forme di governo che finirebbe per ripetersi in un susseguirsi di degenerazioni e rivoluzioni — la monarchia degenera in tirannide, che è rovesciata dall'aristocrazia, che degenera in oligarchia, che è rovesciata dalla democrazia, che degenera in oclocrazia, su cui si restaura una monarchia. Saremmo quindi davanti a una degenerazione della democrazia.
Beninteso: è una degenerazione della democrazia per come era intesa dai nostri nonni di epoca classica, cioè un governo quasi diretto, in cui il potere è sì nelle mani del popolo, ma di un popolo-minoranza da cui erano escluse le donne, così come gli stranieri e gli schiavi. Quella forma di governo non è la democrazia che intendiamo noi. E già questo rilievo fa scricchiolare un'attualizzazione semplice dell'oclocrazia.
Inoltre, il recupero di questo concetto in italiano avviene nel Rinascimento; e va considerato che da allora fino a pochi decenni fa il concetto di un possibile 'governo del popolo', oclocratico ma anche democratico, era paventato come temibile e degenere. E oggi?
Mentre monarchia e tirannide, aristocrazia e oligarchia, sono termini dai contorni netti, il termine 'oclocrazia' risulta difficile da mettere a fuoco, e specie da distinguere dalla democrazia. Però le parole dotte e ricercate devono riuscire a dire qualcosa di preciso e importante, devono portare dei significati tagliati come gemme, altrimenti sono fumo negli occhi.
L'oclocrazia, allo stato attuale, vuole avere un significato che però è tutt'altro che limpido, per lo scarto con le cornici e contesti in cui è stata generata, presa in prestito e sviluppata. È una parola che, a confronto delle altre che identificano altre organizzazioni della sfera politica, non è maturata. Figlia di un susseguirsi di concezioni elitiste, vuole essere qualcosa di diverso dalla democrazia quando sostanzialmente non lo è.
Arraffare
Maestro