Assioma
as-siò-ma
Significato Principio assunto come vero, senza bisogno di dimostrazione
Etimologia dal greco axíoma 'dignità', da áxios 'degno'.
Da un lato è una parola che mette in soggezione, dall'altro viene usata con disinvoltura in contesti inattesi. Ebbene, l'assioma nasconde un concetto che ci è molto familiare, e che ci può aiutare a considerarlo in maniera più amichevole e profondo — e chiederemo una mano a Galileo. Andiamo con ordine.
Abbiamo cognizione che il termine 'assioma' sia un termine scientifico. Lo associamo alla matematica, magari alla logica — anche se in effetti è un termine proprio dell'epistemologia, cioè quella branca della filosofia che si interessa delle condizioni per la costruzione del pensiero scientifico, della sua struttura e delle sue metodologie. Ma allora com'è che 'assioma' si trova negli articoli dei giornali e nei discorsi dei politici, che di rado brillano per cognizioni epistemologiche?
L'assioma è ciò che è assunto come vero: è ciò che, per la sua evidenza, non richiede dimostrazioni, ed è anche il presupposto del quadro teorico che se ne può dedurre.
Qualche esempio? Gli assiomi del matematico Giuseppe Peano sui numeri naturali (non in maniera formale, 0 [zero] è un numero naturale, ogni numero naturale ha un numero naturale successore, numeri diversi hanno successori diversi, etc.). In geometria si parla più volentieri di 'postulati' (magari qualcuno ricorda il vessato quinto postulato di Euclide, da un punto esterno a una retta passa una e una sola retta a essa parallela): 'assioma' e 'postulato' sono termini usati spesso come sinonimi, ma chi li vuole distinguere dà all'assioma un respiro più generale, e al postulato (letteralmente 'ciò che è richiesto') uno più specifico e funzionale al caso in esame. Concludiamo dicendo che, come spesso si sintetizza, gli assiomi di un sistema devono essere non contraddittorî, non devono derivare gli uni dagli altri e devono essere in numero finito.
Ora, l'assioma nel parlare comune è colato in maniera curiosa, prendendo profili bizzarri. Molte volte resta in maniera generica una verità condivisa, un dato di fatto, una credenza comune, ma con connotati dei più diversi e sorprendenti. Diventa simpaticamente un proverbio, un motto ispiratore rappresentativo, diventa un obiettivo, una finalità, una visione, come anche una regola d'oro, una parola d'ordine, un tratto caratteristico imprescindibile, fino al paradosso di esser preso per ipotesi. Insomma, è una parola molto usata, con un estro che è improprio se la misuriamo col significato che l'assioma ha in epistemologia. E però...
La prima attestazione che i dizionari riportano di questa parola è di Galileo, nel famoso Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. La cosa curiosa è che Galileo, in quest'opera fondamentale (per la scienza e per l'italiano) la alterna con quello che, al contrario di noi, percepisce come un suo sinonimo: dignità.
Così scrive: "bisognerebbe rifiutare molte dignità manifeste. La prima delle quali è, che ogni effetto depende da qualche causa"; mentre in altri passaggi afferma: "bisognerebbe in filosofia rimuover molti assiomi comunemente ricevuti da tutti i filosofi".
L'assioma, come la dignità, è un valore, anzi il valore. Il valore reggente, sintetico e indiscusso. E lo è sia in un sistema scientifico, sia in un meno rigoroso sistema di pensiero, sia in un sistema morale. Perciò nell'uso profano — che è sbavato, improprio, ma spesso capace di cogliere suggestioni pregnanti — sull'assioma convergono tante sfumature diverse. Si può parlare dell'assioma di uno stile culinario (tutto chilometro zero e di stagione), dell'assioma della nonna (si apparecchia anche per mangiare una noce), come anche dell'assioma dell'azienda, dello sportivo, delle vacanze, della manovra economica e della commedia romantica. Ecco l'assioma: un indiscutibile presupposto che racchiude già il suo finale.
[ci-nì-gia] |
SIGN Cenere calda, con ancora qualche favilla di fuoco; brace minuta per gli scaldini |
dal latino [cinis] 'cenere', attraverso l'ipotetica voce del latino parlato [cinisia]. |
Non è più una presenza così vicina e quotidiana, quella della cenere calda, leggerissima, secca, e non del tutto spenta, che può ancora sprizzare qualche favilla. Ha smesso di esserlo insieme al fuoco di legna. Ma questo particolare elemento della realtà, anche se più distante, resta ben presente nel nostro immaginario, e sa comunicare in maniera incisiva. Nella sua umiltà ha una storia, nelle sue varianti, decisamente nazionale: la troviamo usata da Benvenuto Cellini, quando spiega come è che si fa sciogliere e aderire si applica la lega nera di niello nelle incisioni per creare il contrasto di un contorno nero su argento, fino a Pasolini in Una vita violenta, in cui il lancio della cinigia è l'ultima estrema resistenza domestica a dei poliziotti. Passando per Montale, che ne Il canneto rispunta i suoi cimelli rappresenta il farsi e il disfarsi delle nuvole evocando Un albero di nuvole sull'acqua/ cresce, poi crolla come di cinigia. Noi, nel nostro piccolo, possiamo considerare come dopo l'incendio, della macchia non resti che una cinigia volatile e fumante; ricordiamo come il nonno frugava nella cinigia per tirare fuori i cartocci delle patate cotte; e come è più facile riaccendere un fuoco sulla cinigia del precedente. |
No comments:
Post a Comment