Meretricio
me-re-trì-cio
Significato Prostituzione; relativo alle prostitute
Etimologia voce dotta presa in prestito dal latino meretrìcium, neutro sostantivato dell’aggettivo meretrìcius, derivato di mèretrix 'prostituta', che è da merère 'meritare, guadagnare'.
È davvero una parola peculiare,
meretricio. Anzitutto, è sia sostantivo (l’attività delle meretrici)
sia aggettivo (‘da meretrice’, relativo alle meretrici), anche se in
quest’ultimo senso è ormai rarissimo – assai
difficile incontrare esempi di “amori”, “allettamenti” o “atti
meretrici” nella letteratura dell’ultimo secolo. Tutto al contrario in
inglese, dove meretricious è solo aggettivo e gode – ancorché
parola ricercata, riservata alla lingua scritta – di salute abbastanza
buona: non solo persone e atteggiamenti ma anche argomentazioni, film e persino città possono essere definiti meretricious (e non si tratta di film sulla prostituzione né di città in cui abbondino i bordelli!).
Inoltre, se su un dizionario cerchiamo dei sinonimi di prostituta, insieme a meretrice ne troviamo letteralmente decine di altri – dal laido zoccola all’intellettuale peripatetica, dal crasso battona al poetico lucciola –, quando invece prostituzione non ha altri sinonimi che meretricio. Forse è anche per questo – oltre che, beninteso, in ragione della sua arcaicità
– che il termine continua ad essere impiegato in buro-legalese, dove le
prostitute sono “soggetti dediti al meretricio”. Ma c’è di più.
In latino, il nome meretricium e l’aggettivo meretricius derivano da meretrix, a sua volta formato da merere (‘guadagnare’, ‘incassare’ ma anche meritare, che ne deriva direttamente) e -trix (femminile di -tor). Quindi la meretrix è ‘colei che guadagna’, come imperator e imperatrix sono coloro che imperano e accusator e accusatrix coloro che accusano. E il maschile, meretor? Eccoci al punto: esisteva solo in teoria, per analogia grammaticale. La società dava per scontato che un uomo libero percepisse un reddito; ma per una donna, l’unico modo era vendere il proprio corpo. Perciò ‘colei che guadagna’ non poteva che significare ‘colei che si prostituisce’.
Ma
meretricio e prostituzione sono perfettamente sinonimi? Nell’uso
odierno senz’altro, ma nel 1830 Niccolò Tommaseo la pensava
diversamente, giacché nel suo dizionario dei sinonimi si legge: “La meretrice guadagna del corpo suo, meretur; la prostituta per guadagno o per libidine, si mette in mostra, e provoca a sozzure: prostat: è più comune, più sfacciata”. La distinzione era dunque etimologica: merere è guadagnare, pro-stare invece è essere esposti, messi ‘in vetrina’ (da cui anche postribolo).
Nel meretricio, secondo Tommaseo, è essenziale la volontà di guadagno
da parte della donna; non sempre così nella prostituzione, perché una
donna può essere ‘esposta’ da altri, che ne sfruttano l’attività, e
perché a suo avviso la prostituta, a differenza della meretrice, può
concedersi anche solo “per libidine”.
Per libidine? Impossibile comprendere cosa c’entri la libidine con la prostituzione se non entrando nell’orizzonte dello stolido pregiudizio padronale maschile, in cui puttana, oltre che ‘prostituta’, vale anche “donna che ha relazioni sessuali frequenti e promiscue” (definizione del Grande Dizionario Italiano dell'Uso di De Mauro) – mentre puttano, inutile dirlo, in questo senso esiste quanto meretor.
E di pregiudizio in pregiudizio, nessuna sorpresa se l’inglese meretricious
ha allargato il suo campo al di là della sfera sessuale, indicando
tutto ciò – non solo persone e comportamenti ma anche oggetti, concetti e
luoghi – che sia vistosamente attraente ma falso, ingannevole, dozzinale.
Questo, infatti, è il cliché sulle meretrici, che si fabbrica così: si
eccettuano le etere, le cortigiane (cui si tributa il rispetto dovuto a
chi si è conquistato una posizione di intrinsichezza coi potenti), e si
riversa il proprio abominio
sulla ‘bassa manovalanza’, precisamente perché essa si conforma a
quanto le viene richiesto: essere, appunto, vistosa, attraente e falsa.
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