Quando GiusHappy Conte, in
versione intellettuale della Magna Grecia, si è inerpicato sulle pareti
della speculazione filosofica per illustrare la superiorità
dell’Episteme rispetto alla Doxa, nell’aula di Montecitorio c’è stato un momento di comprensibile panico. A Salvini,
per la tensione, si è addirittura oscurata la mascherina. Qualcuno tra i
più colti avrà pensato che Doxa fosse il cognome di una cantante, ma
nel dubbio tutti hanno applaudito. Tale doveva essere la sorpresa che
non ci si è fermati troppo a riflettere sul contesto. E cioè che a
criticare la Doxa, la volatile opinione comune, era un politico indicato
dal movimento che sull’esaltazione della Doxa ha costruito le sue
fortune. E che l’elogio dell’Episteme, la solida conoscenza degli
esperti, si riferiva a una vicenda, quella del virus, in cui gli esperti
non hanno fatto una grande figura, mostrandosi in disaccordo su tutto e
con tutti, a volte persino con sé stessi.
Nessuno intende farne loro una colpa, forse le
nostre aspettative erano troppo alte. Ma c’è un limite anche
all’incoerenza e a superarlo è stato uno dei capi dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità, quando ieri ha elogiato pubblicamente gli svedesi
per avere affrontato la pandemia senza mai chiudersi in casa, dopo che a
noi per due mesi era stato intimato di tenere il comportamento
esattamente contrario. Cornuti e mazziati, per dirla con Aristotele. E
questa non è Doxa, ma Episteme di quelle furenti.
ENRICO LETTATWITTA:
“LE FRONTIERE NON HANNO BLOCCATO IL VIRUS. COSÌ COME LA POLLUZIONE”.
L'IDEA ERA QUELLA DI PRENDERSELA CON L'INQUINAMENTO (DALL'INGLESE
“POLLUTION”). MA IN ITALIANO PER POLLUZIONE SI INTENDE “L'EIACULAZIONE
SPONTANEA E INVOLONTARIA CHE HA LUOGO DURANTE IL SONNO”…
CONGIUNTI? PAROLA ALLA CRUSCA! IL PRESIDENTE
DELL’ACCADEMIA CLAUDIO MARAZZINI: “CREDO SIA STATO UTILIZZATO
APPOSITAMENTE UN TERMINE UN PO’ VAGO, CHE POSSA ESSERE DILATATO O
RISTRETTO A SECONDA DELLE INTERPRETAZIONI” – “ANCHE AFFETTO STABILE
RESTA NELL’INDETERMINATO. TUTTO CIÒ CHE È AVVENUTO ATTORNO AL
CORONAVIRUS HA SCATENATO TSUNAMI LINGUISTICI. LO STESSO TERMINE LOCKDOWN
POTEVA ESSERE TRADOTTO CON…”
-
Il
termine 'congiunto'? “Credo che sia stato utilizzato appositamente un
termine un po' vago che possa esser dilatato o ristretto a seconda delle
interpretazione”. A parlare è Claudio Marazzini, presidente
dell'Accademia della Crusca, che oggi è intervenuto alla trasmissione di
Rai Radio1 Un Giorno da Pecora, condotta da Giorgio Lauro e Geppi
Cucciari
.
meme sui congiunti 1
E
cosa ne pensa della definizione di affetto stabile? “Resta tutto
nell'indeterminato. Tutto ciò che è avvenuto attorno al Coronavirus ha
scatenato degli tsunami linguistici, sono entrate le parole straniere
più stravaganti”.
conte meme
Quali,
ad esempio? “Lo stesso termine lockdown che ora è diventato molto
famigliare, ma che ad esempio spagnoli e francesi non hanno utilizzato”.
In Italiano come lo avremmo potuto tradurre? “Con confinamento,
esattamente come hanno fatto, nella loro lingua, spagnoli e francesi”.
Come valuta l'italiano del premier Giuseppe Conte in queste ultime
comunicazioni? “E' discreto, si può sempre fare peggio”, ha detto a Rai
Radio1 Marazzini.
meme sui congiunti
MA INSOMMA, ‘STI CONGIUNTI, CHI SONO? –
GRAMELLINI: “UNA COSA SOLA È SICURA: A GIUDICARE DALLA SCARSA ATTENZIONE
ANCORA UNA VOLTA LORO RISERVATA, ANCHE NELLA FASE DUE I FIGLI ANDRANNO
CONSIDERATI DISGIUNTI” – SEBASTIANO MESSINA: “SE IL FIGLIO VORRÀ FAR
INCONTRARE NONNI E NIPOTI FARÀ BENE A SCAGLIONARE LE VISITE. UNO ALLA
VOLTA. REGOLA CHE VALE, SI CAPISCE, ANCHE PER I FIDANZATI”
OLIVIA PALADINO E GIUSEPPE CONTEgiuseppe conte meme7
Non
sappiamo se a convincerlo sia stata la sua fidanzata, Olivia Paladino -
che secondo la norma da lui stesso scritta non avrebbe potuto rivedere
neanche con l' autocertificazione, visto che i due vivono in case
separate - o se sia stata la sollevazione generale del web contro il
permesso benignamente concesso di far visita ai «congiunti» ma non agli
innamorati, ai compagni e ai promessi sposi. Fatto sta che dopo 20 ore
Giuseppe Conte ha fatto marcia indietro e ha annunciato al popolo
rumoreggiante che «le coppie di fatto, i fidanzati e gli affetti stabili
vengono assimilati ai congiunti».
meme sui congiunti
Saggia
decisione, e forse inevitabile, visto che non si trovava nessun
giurista disposto a sostenere che il governo avesse il potere - e con un
semplice decreto che non passerà né dal Quirinale né dal Parlamento -
di tracciare il confine legale tra la famiglia ufficiale e quella di
fatto, ammettendo l' incontro con la zia ma vietando quello con la
morosa.
giuseppe conte a bergamo con mascherina
Adesso
però c' è grande attesa per la circolare applicativa, visto che resta
fermo anche per i fidanzati il chiarissimo obbligo previsto dall'
articolo 1, lettera A, di rispettare nei loro incontri «il
distanziamento interpersonale di almeno un metro» e di utilizzare sempre
«protezioni delle vie respiratorie». Non è necessario spiegare perché,
ma è purtroppo prevedibile una generalizzata tentazione - sentendosi
protetti dalle mura di casa - di infrangere queste regole, avvicinandosi
l' un l' altro a meno del metro regolamentare e addirittura
spogliandosi della preziosa mascherina. Ponendo il presidente del
Consiglio - egli stesso soggetto a queste tassative limitazioni - di
fronte a un dilemma cornuto: chiudere un occhio o mandare i droni a
spiare dietro le finestre.
sebastiano messina (1)
meme sui congiunti 1
Non
è chiaro se abbiano diritto a incontrarsi quelli che su Facebook si
definiscono «in una relazione complicata», né quante settimane debbano
essere trascorse dal primo appuntamento prima che si possa
legittimamente parlare di «affetti stabili». È certo invece che gli
amanti resteranno fuorilegge.
meme giuseppe conte
Gli
adulteri, che fino al 3 dicembre 1969 erano puniti dall' articolo 559
del codice penale italiano con due anni di carcere, dopo mezzo secolo di
tolleranza legalizzata sono adesso soggetti a un tassativo divieto
preventivo, non potendo autocertificare uno status che per sua natura è
clandestino, e perciò rischierebbero di essere inseguiti da un
elicottero agli ordini della sindaca Raggi o da una coppia di vigili
motociclisti di Rimini.
LA CONFERENZA STAMPA DI GIUSEPPE CONTE
giuseppe conte stappa
Solo
i congiunti, dunque (più i fidanzati e gli affetti stabili, d'
accordo). Ma chi sono, per la legge, questi congiunti? Vengono citati
solo nell' articolo 307 del codice penale, e non per delimitare la sfera
familiare ma per specificare chi non può essere condannato per
favoreggiamento chi dà rifugio «al componente di una banda armata»,
nientemeno. Ecco la lista completa: «S' intendono per i prossimi
congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un'
unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle,
gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella
denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini,
allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole».
CONGIUNTI E AFFETTI STABILIgiuseppe conte meme
Aggiungendovi
gli «affetti stabili», potremo dunque finalmente incontrarli.
Attenzione però, ha precisato Conte con il tono di un preside che
avverte degli scolaretti indisciplinati: «Non si potranno organizzare
party privati», né dar luogo ad «assembramenti di persone», espressione
che fa venire il dubbio che si infranga la legge già con la
contemporanea presenza nella stessa stanza di tre persone, e dunque se
il figlio vorrà far incontrare nonni e nipoti farà bene a scaglionare le
visite. Uno alla volta. Regola che vale, si capisce, anche per i
fidanzati.
AUTOCERTIFICAZIONE FAKE CON I CONGIUNTI E GLI AFFETTI STABILI
Era
immaginabile che un governo dove alcuni ministri hanno problemi con il
congiuntivo potesse inciampare sulla parola successiva del dizionario:
congiunto. Vocabolo antico, ma per nulla caloroso, che odora di
burocrazia e sembra inadatto a circoscrivere quel gomitolo di relazioni
dentro al quale ci muoviamo ogni giorno.
Dell'
imminente fase due, in cui ci sarà concesso uscire di casa per meglio
apprezzare le gioie del ritornarci, l' incontro con «i congiunti»
rappresenta il momento-clou, la novità più preziosa e fumosa. Ma chi
sono le persone care a cui, opportunamente mascherati, ci potremo di
nuovo accostare?
giuseppe conte meme
Soltanto i parenti stretti, alcuni dei quali sopportiamo già a stento nelle feste comandate?
Scuole e Fase 2, nella task force della ministra Azzolina anche la padovana Daniela Lucangeli
„
Scuole e Fase 2,
nella task force della ministra Azzolina anche la padovana Daniela Lucangeli
Professore
ordinario in Psicologia dell'educazione e dello sviluppo all'Università
di Padova, Daniela Lucangeli fa parte della commissione straordinaria
chiamata a studiare un piano nazionale per la riapertura delle scuole
«Gli insegnanti smettano di trattare gli
alunni come contenitori vuoti da riempire con schede e compiti», dice
Daniela Lucangeli commentando una certa declinazione della didattica a
distanza a cui assistiamo in questi giorni confusi. I ragazzi oggi hanno
urgenza di essere sostenuti e rassicurati: «Voi potete fare la
differenza nel sostenere i ragazzi nel momento in cui hanno più bisogno
di aiuto. Anziché fare monologhi di un’ora, meglio organizzare dei micro
gruppi, così che il tempo trascorso davanti a uno schermo sia un tempo
dedicato».
«Gli insegnanti smettano di trattare gli alunni come contenitori
vuoti da riempire con schede, compiti, messaggi e materiali fino tarda
sera. Anziché affannarsi e consumarsi nella ricerca di
piattaforme e slide dagli effetti strabilianti, tornino a concentrarsi
sulla loro funzione primaria che è quella di aiutare, sostenere e
accompagnare i bambini e i ragazzi nel loro percorso di sviluppo
personale, infondendo loro curiosità verso le cose della vita e fiducia
nelle proprie capacità». Sollecitata dai tanti e talvolta
confusi tentativi di didattica a distanza, Daniela Lucangeli,
professoressa di Psicologia dello sviluppo e prorettrice dell'Università
degli Studi di Padova, ne approfitta per lanciare un messaggio ai
docenti: «Che voi siate l’insegnante che accoglie gli alunni in classe o
quello che compare tramite uno schermo al tempo del Coronavirus,
ricordate che voi siete coloro che possono fungere da differenziale di
sviluppo, il che vuol dire che potete fare la differenza nel sostenere i
ragazzi nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto». E quello che
stiamo vivendo, dice, è uno di quelli.
Daniela Lucangeli
«In questi giorni i ragazzi hanno una paura tremenda, sono smarriti,
in ansia, hanno perso i contatti con il loro gruppo, la loro routine è
stavolta. Quello di cui hanno più urgenza è di essere sostenuti e rassicurati,
non ulteriormente angosciati e terrorizzati dalla paura di rimanere
indietro, che il computer non funzioni, che la connessione salti, che il
compito non arrivi per tempo». Ma cosa possono fare concretamente una maestra o un professore per
aiutare i propri alunni, in un momento in cui non è possibile stare
vicini, fisicamente, in cui ogni forma di contatto e di abbraccio è
bandita? «Può ricordarsi che l’abbraccio non è solo fisico, ma anche
psicologico, simbolico… Basti pensare che lo sguardo può abbracciare e
la voce, con la sua intonazione, può fare altrettanto. Provate a
immaginare – aggiunge – la potenza emotiva di una frase pronunciata con
la voce calda, rassicurante, famigliare ed empatica di un insegnate che
dice “Lo so che sei preoccupato, lo sono anche io. Con questo
messaggio voglio dirti che io ci tengo a te, che tu sei importante, e
che non ti lascerò solo, perché insieme abbiamo iniziato un cammino di
conoscenza e di sapere”. Sarebbe come una carezza per l’anima, balsamo su una ferita». E nel frattempo, come si possono mandare avanti le attività e i
programmi? L’esperta raccomanda agli insegnanti di non trasformare il
mezzo della didattica a distanza «in una sorta di diario tecnologico»,
pieno zeppo di compiti da fare o prestazioni da soddisfare. «Lascerei
da parte i comandi di natura prettamente esecutiva, del tipo “Io ti do i
compiti, tu li fai, me li mandi, io li correggo e ti do un voto”,
perché altrimenti si amplifica un errore, già molto comune nella nostra
scuola, che è quello di “ingozzare” gli alunni. Da questo tipo di
didattica – aggiunge – io mi sento di dover fortemente prendere le
distanze». E poi c’è poi un’altra cosa che potrebbero fare gli insegnanti. «Io
li inviterei a curare e, se possibile, ampliare, l’aspetto narrativo dei
loro interventi, affinché il dialogo con gli alunni sia davvero un dia-logos come lo intendevano i greci:
non una parola che è monopolio di uno solo, ma una parola che acquista
il suo significato nell’interazione e nello scambio tra insegnanti e
bambini». La metafora che usa Lucangeli è quella del telefono senza
fili: «Come in un telefono senza fili amplificato, le maestre e i
maestri potrebbero, con maturità e consapevolezza, scegliere insieme
agli studenti alcuni argomenti su cui ragionare e riflettere, preferendo
quelli che favoriscano l'acquisizione di nuove esperienze e di nuove
conoscenze anche in futuro. Questo processo di collaborazione e
co-costruzione consentirebbe di intrecciare e includere le curiosità,
gli interessi e le competenze di tutti i membri della classe. Affinché
la somma di tanti “io” si trasformi in “noi” e nessuno sia lasciato da
parte». «Non mi sentirei – prosegue – di incoraggiare un modello in
cui l’insegnante fa il suo lungo monologo e poi interrompe le
comunicazioni fino al giorno successivo. Così come, al contrario, non mi
sentirei di suggerire che tutti gli alunni si connettano e dialoghino
contemporaneamente per due ore. Sarebbe non solo molto
confusionario, ma anche inefficace». Dal punto di vista pratico, per
Lucangeli, sarebbe più sensato se si creassero dei micro gruppi, anche
sul cellulare (che è un strumento comune in tutte le famiglie, al
contrario di un pc) in cui l’insegnante, per una mezz’oretta,
quarantacinque minuti, possa spiegare, dialogare e rispondere alla
domande degli alunni. «Facendo in modo che il tempo trascorso davanti ad
uno schermo sia un tempo dedicato, non sprecato, non abusato, ma
finalizzato alla co-costruzione di un sapere condiviso». Perché,
ricorda, «i rischi generati dall’uso sconsiderato della tecnologia non spariscono solo perché c’è il coronavirus». Infine, per sostenere il compito degli educatori e degli insegnanti
che oggi si trovano a dover affrontare tante difficoltà, Lucangeli
ricorda una frase del celebre pedagogista sovietico Vygotskij:
“Diventiamo noi stessi attraverso gli altri”. «Ecco, questo pensiero
deve ricordarci, cari insegnanti e educatori, che con il vostro lavoro
avete delle enormi responsabilità ma anche immense potenzialità».
Perché, conclude, «in ogni istante della vostra azione educativa
voi state lasciando un segno in una persona che sta costruendo non
soltanto un bagaglio di nozioni e procedure, ma il proprio sé, la
propria intelligenza, la struttura del suo pensiero, l’organizzazione
del suo sentire e la percezione del proprio talento. Abbiatene cura con consapevolezza. Anche quando fate scuola tramite una webcam».
Nella parte di Francia più vicina all'Italia, poco a sud di Lione e
poco a ovest di Grenoble, c'è il minuto paese di Albon. Microscopico
paese, è vero, paese da nulla, ma però...
Intorno all'anno Mille lì c'era un castello, che aveva come signore
Ghigo. Il nipote di Ghigo, Ghigo III, divenne conte di Albon. E come
stemma (non è chiaro perché, forse c'entrò la moglie, di origini
inglesi) ebbe un delfino; suo figlio Ghigo IV, nato sotto i due delfini
azzurri in campo oro della contea, fu soprannominato le dauphin. La regione controllata dal Delfino fu chiamata il Delfinato. Il titolo di 'Delfino del Viennois' (la città di Vienne è eponima)
spettò a Ghigo V e alla sua discendenza per dieci generazioni, fino a
Umberto II, alla metà del Trecento. Senza eredi e rovinato, cedette il
Delfinato a Filippo VI di Valois, re di Francia; nel trattato fu
previsto che il Delfinato conservasse uno statuto speciale, e rimanesse appannaggio del principe ereditario. Così
il principe ereditario francese divenne 'Delfino di Francia'. Per
l'esattezza, rimase anche 'Delfino del Viennois' fino al quattrocentesco
re Luigi XI il Prudente — poi 'Delfino' fu solo un titolo onorifico, e
di grande successo, che trasmetteva tutta la freschezza, la forza,
l'agilità e l'eleganza di un principe gagliardo.
Durò fino al 1830, alla rivoluzione di luglio (quella della Libertà che
guida il popolo, di Delacroix), che pose fine alla monarchia borbonica
restaurata. Ancora oggi si parla di come Tizio sia il delfino del
grande professore, di chi sia il delfino del dittatore nell'autocrazia
orientale, del delfino di un capitano d'impresa: successore di un pezzo
grosso, descritto con un tono lievemente derisorio, visto il paragone. E c'è un'ultima questione. Il Gran Delfino, figlio del Re Sole, per la sua educazione poté contare su un'intera collana di classici che i suoi precettori avevano fatto appositamente stampare: ad usum Delphini, "per uso del Delfino" era stampato su tutti i frontespizi. Ora, i testi erano stati convenientemente epurati di tutti i passaggi licenziosi e scabrosi. Fu una scelta che fece tendenza. La locuzione ad usum Delphini è rimasta per descrivere tutti i documenti addomesticati in favore di un uso non maturo, semplificati, edulcorati — talvolta anche con intenti manipolatorî. Della storia controversa viene diffusa una rassicurante versione ad usum Delphini, si danno istruzioni ad usum Delphini sulle norme igieniche, e i miti greci smussati ad usum Delphini diventano storie che non vogliono dire più niente.
SIGN
Fiore dell'arancio, del limone e degli altri agrumi
dall’arabo
[zahr] ‘fioritura’, derivato dalla radice trilittera [z – h – r] propria
del verbo [zahara], ‘risplendere’, giunto in italiano attraverso il
dialetto siciliano.
Che cosa hanno in comune le spose che si
apprestano ad andare all’altare nel loro stupefacente
abito bianco, l’università del Cairo al-Azhar e gli studiosi della
cabbala ebraica?
Una parola: lo splendore.
Quello cabalistico è contenuto nel Sefer HaZohar, cioè ‘Il libro
dello splendore’, un testo molto importante per gli iniziati alla
disciplina
mistica ebraica - abbiamo sovente ribadito che le radici trilittere
delle parole arabe sono condivise in gran parte anche con la lingua
ebraica, e z – h – r non è da meno.
Lo splendore dell’università cairota di al-Azhar, fondata nel X
secolo, è nella sua storia illustre, certo, ma specialmente nel
significato del nome, che vuol dire ‘La Luminosa’.
La lucentezza abbagliante delle spose, invece, oltre ad essere
donata dalla gioia provata in un giorno di letizia come dovrebbe
essere quello del matrimonio,
è la bellezza semplice e chiara dei fiori d’arancio che decorano
tradizionalmente la toilette del gran giorno, magari nel
bouquet, o in una corona che cinga il capo e tenga fermo
il velo.
Se si apre il vocabolario di lingua araba e si cerca la famiglia
delle parole collegate alla radice z – h – r ci si rende conto che
quasi tutti i termini derivati appartengono al campo semantico
della fioritura, della prosperità, della lucentezza, dello
splendore e della bianchezza, caratteristiche reali e metaforiche
di un fenomeno
naturale come la fioritura di una pianta mediterranea che porta
succosi frutti grazie all’azione impollinatrice di insetti molto
importanti come le api. Che sia questo il legame tra il fior
d’arancio e lo sposalizio, un augurio di
prosperità e splendore ai novelli sposi? È bello credere che sia
così.
Zagara
Parole semitiche
zà-ga-ra
Significato Fiore dell'arancio, del limone e degli altri agrumi
Etimologia
dall’arabo zahr ‘fioritura’, derivato dalla radice trilittera z – h – r
propria del verbo zahara, ‘risplendere’, giunto in italiano attraverso
il dialetto siciliano.
Che cosa hanno in comune le spose che si
apprestano ad andare all’altare nel loro stupefacente abito bianco,
l’università del Cairo al-Azhar e gli studiosi della cabala ebraica?
Una parola: lo splendore.
Quello
cabalistico è contenuto nel Sefer HaZohar, cioè ‘Il libro dello
splendore’, un testo molto importante per gli iniziati alla disciplina
mistica ebraica - abbiamo sovente ribadito che le radici trilittere
delle parole arabe sono condivise in gran parte anche con la lingua
ebraica, e z – h – r non è da meno.
Lo splendore dell’università
cairota di al-Azhar, fondata nel X secolo, è nella sua storia illustre,
certo, ma specialmente nel significato del nome, che vuol dire ‘La
Luminosa’.
La lucentezza abbagliante delle spose, invece, oltre
ad essere donata dalla gioia provata in un giorno di letizia come
dovrebbe essere quello del matrimonio, è la bellezza semplice e chiara
dei fiori d’arancio che decorano tradizionalmente la toilette del gran
giorno, magari nel bouquet, o in una corona che cinga il capo e tenga
fermo il velo.
Se si apre il vocabolario di lingua araba e si
cerca la famiglia delle parole collegate alla radice z – h – r ci si
rende conto che quasi tutti i termini derivati appartengono al campo
semantico della fioritura, della prosperità, della lucentezza, dello
splendore e della bianchezza, caratteristiche reali e metaforiche di un
fenomeno naturale come la fioritura di una pianta mediterranea che porta
succosi frutti grazie all’azione impollinatrice di insetti molto
importanti come le api. Che sia questo il legame tra il fior d’arancio e
lo sposalizio, un augurio di prosperità e splendore ai novelli sposi? È
bello credere che sia così.
Molto più semplicemente pare che,
essendo la primavera la stagione delle nuove unioni e della fioritura
degli agrumi, le giovani spose del sud Italia usavano adornarsi con
questi fiorellini bianchi e odorosi di cui vi era grande abbondanza e
facilità di approvvigionamento. Da lì la tradizione che vuole la
locuzione ‘fiori d’arancio’ essere un sinonimo di ‘sposalizio’: hai
visto Marco e Francesca di recente? Non so nulla di ufficiale, ma
secondo me c’è aria di fiori d’arancio tra quei due!
La parola
zagara è giunta in italiano come un sicilianismo, ed è probabilmente
un’eredità araba lasciata alla meravigliosa terra siciliana, la ‘patria
delle arance’ nostrana. Ed è entrata nella società non solo come termine
prettamente botanico, ma anche come cognome: non è raro infatti trovare
le famiglie ‘Zagarella’ o ‘Zagara’ se si sfoglia l’elenco telefonico
della provincia di Catania, ad esempio.
Non va dimenticato
inoltre che l’acqua di fior d’arancio (o di limone) è un ingrediente
molto importante nella pasticceria araba (famose le deliziose ‘corna di
gazzella’) e in quella siciliana, così come nella cosmesi tradizionale,
in cui viene usato come tonico per la pelle e componente di olii
odorosi.
Un fiorellino così semplice e profumato, perfino umile
nella sua delicatezza e discrezione, le cui virtù sono apprezzate sia in
cucina che alla toeletta, porta un nome che racchiude in sé beltà,
candore, luminosità e prosperità. Vale la pena pensarci la prossima
volta che si vuol fare colpo col classico mazzo di rose…
Significato Fiore dell'arancio, del limone e degli altri agrumi
Etimologia
dall’arabo zahr ‘fioritura’, derivato dalla radice trilittera z – h – r
propria del verbo zahara, ‘risplendere’, giunto in italiano attraverso
il dialetto siciliano.
Che cosa hanno in comune le spose che si
apprestano ad andare all’altare nel loro stupefacente abito bianco,
l’università del Cairo al-Azhar e gli studiosi della cabala ebraica?
Una parola: lo splendore.
Quello
cabalistico è contenuto nel Sefer HaZohar, cioè ‘Il libro dello
splendore’, un testo molto importante per gli iniziati alla disciplina
mistica ebraica - abbiamo sovente ribadito che le radici trilittere
delle parole arabe sono condivise in gran parte anche con la lingua
ebraica, e z – h – r non è da meno.
Lo splendore dell’università
cairota di al-Azhar, fondata nel X secolo, è nella sua storia illustre,
certo, ma specialmente nel significato del nome, che vuol dire ‘La
Luminosa’.
La lucentezza abbagliante delle spose, invece, oltre
ad essere donata dalla gioia provata in un giorno di letizia come
dovrebbe essere quello del matrimonio, è la bellezza semplice e chiara
dei fiori d’arancio che decorano tradizionalmente la toilette del gran
giorno, magari nel bouquet, o in una corona che cinga il capo e tenga
fermo il velo.
Se si apre il vocabolario di lingua araba e si
cerca la famiglia delle parole collegate alla radice z – h – r ci si
rende conto che quasi tutti i termini derivati appartengono al campo
semantico della fioritura, della prosperità, della lucentezza, dello
splendore e della bianchezza, caratteristiche reali e metaforiche di un
fenomeno naturale come la fioritura di una pianta mediterranea che porta
succosi frutti grazie all’azione impollinatrice di insetti molto
importanti come le api. Che sia questo il legame tra il fior d’arancio e
lo sposalizio, un augurio di prosperità e splendore ai novelli sposi? È
bello credere che sia così.
Molto più semplicemente pare che,
essendo la primavera la stagione delle nuove unioni e della fioritura
degli agrumi, le giovani spose del sud Italia usavano adornarsi con
questi fiorellini bianchi e odorosi di cui vi era grande abbondanza e
facilità di approvvigionamento. Da lì la tradizione che vuole la
locuzione ‘fiori d’arancio’ essere un sinonimo di ‘sposalizio’: hai
visto Marco e Francesca di recente? Non so nulla di ufficiale, ma
secondo me c’è aria di fiori d’arancio tra quei due!
La parola
zagara è giunta in italiano come un sicilianismo, ed è probabilmente
un’eredità araba lasciata alla meravigliosa terra siciliana, la ‘patria
delle arance’ nostrana. Ed è entrata nella società non solo come termine
prettamente botanico, ma anche come cognome: non è raro infatti trovare
le famiglie ‘Zagarella’ o ‘Zagara’ se si sfoglia l’elenco telefonico
della provincia di Catania, ad esempio.
Non va dimenticato
inoltre che l’acqua di fior d’arancio (o di limone) è un ingrediente
molto importante nella pasticceria araba (famose le deliziose ‘corna di
gazzella’) e in quella siciliana, così come nella cosmesi tradizionale,
in cui viene usato come tonico per la pelle e componente di olii
odorosi.
Un fiorellino così semplice e profumato, perfino umile
nella sua delicatezza e discrezione, le cui virtù sono apprezzate sia in
cucina che alla toeletta, porta un nome che racchiude in sé beltà,
candore, luminosità e prosperità. Vale la pena pensarci la prossima
volta che si vuol fare colpo col classico mazzo di rose…
L’alfabeto della crisi. Luoghi comuni, frasi fatte, parole chiave e tormentoni al tempo del Coronavirus
APERITIVO
Quello razzista fu inventato da Nicola Zingaretti e Alessandro
Cattelan, per dimostrare che il virus era un’invenzione dei leghisti. Si
distinguono di due tipi: pessimi se presi al Papeete, ottimi sui
Navigli. Tipologie: arcobaleno, hipster, Vip, scellerato. Con o senza
oliva. Comunque, non avrà più il gusto di una volta.
APOLOGO
Ricordare quello manzoniano di Don Ferrante che, con dotte e raffinate
tesi, si era intestardito a voler dimostrare che la Peste non esistesse;
e fu il primo a morirne. Stessa cosa alla redazione de La7: Mentana,
Formigli, Myrta Merlino… Poi, è successo quello che è successo.
AUTOCERTIFICAZIONE Muta più velocemente del virus.
BALCONI
«Non si sente più la gente cantare dai balconi» (peccato...). Moniti:
«Prima i balconi, poi i forconi». Ma anche: «Tanti balconi, pochi
tamponi». I runner ci fanno le maratone. La Sinistra preferisce le
terrazze.
controlli delle forze dell'ordine
BOLLETTINO
Ha sostituito il rito dell’aperitivo alle 18. «Com’è il bollettino di
oggi?». «Positivo». Parole chiave: Indice di trasmissione, picco,
plateau, curva, ansia... Domanda irrisolta: «Ma quando finirà?». Si
attende il bollettino come fosse lo stipendio. Modi di dire: «Bollettino
di guerra», «Bollettino truccato». «Quando arriva il bollettino?». E,
verso l’ora di cena: «Cosa bolle in pentola stasera?».
CINESI
Abbracciare un cinese. Visitare le scuole con i cinesi. Mangiare
cinese. Ma anche (indignati): «La Cina ha taciuto!» oppure (ironici):
«Beati voi che vi fidate dei cinesi». E soprattutto: «I cinesi mangiano i
pipistrelli!». Non cedere di un millimetro sul fatto che il virus viene
dalla Cina. «Ce l’hanno portato loro» (da destra). «Sì, ma anche le
mascherine...» (a sinistra).
CRISI Citare
sempre la falsa etimologia secondo cui la parola «crisi», in cinese, è
composta di due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro
l’opportunità. Kennedy la utilizzava regolarmente nei suoi discorsi.
Abusata da consulenti finanziari e motivatori. Ha guadagnato grande
popolarità nei talk, sulla stampa e sui social. Non è vero, ma fa colpo.
«Questa crisi può essere una opportunità». Variante: «Grazie a questa
crisi, dopo avremo un boom». Speriamo.
CULTURA «Ottima per combattere i virus!».
controlli delle forze dell'ordine 2
D-DAY «La prima cosa che farò appena potrò uscire è...».
ERRORI Tra i maggiori della Storia: 1) Hitler quando attaccò la Russia 2) la Decca Records che scartò i Beatles 3) #MilanoNonSiFerma.
EUROPA «Senza Europa saremo soli» (molto divertente...).
FIERA Fieri.
FOCOLAI Senza tentennamenti: «Sono gli ospedali!».
GENIO
Ce ne sono stati molti. «Quel genio che ha programmato il film Virus
letale in prima serata...». «Chi è il genio che ha detto che si può
ricominciare a uscire?». «Il genio italiano ha costruito un ospedale in
dieci giorni...». «Hai visto quanta gente all’inaugurazione? Che
geni...».
GIORNALI «La diffusione di notizie false è un virus pericolosissimo».
INFERMIERI Commossi: «Eroi».
INFLUENZA Malattia infettiva respiratoria acuta, appena meno grave del Coronavirus. Citare anche le influencer, in crisi.
INVOLTINO Uno, non fa primavera.
controlli delle forze dell'ordine
JOGGING «Spiegami perché non posso fare jogging se sono da solo?! No, spiegamelo!».
LIVE
Le dirette live si sono diffuse a macchia di leopardo. «E ora
prepariamo la torta al latte caldo in diretta live con...». «Giuseppe
Conte stasera alle 21 in live streaming». «Una giornata di live
streaming con...». «A che ora oggi c’è la conference in streaming?».
«Stasera ci facciamo un party in streaming?». La quarantena è un
mortorio. Ma live.
MASCHERINE
Mascherine mancanti. Mascherine fai-da-te. Mascherine sbagliate.
Mascherine rubate. Mascherine ferme in magazzino. Aziende riconvertite
nella produzione di mascherine (quante sono!?). «Ma le mascherine, se
non sei un medico, servono?». «Sì. Per l’inquinamento». Rinfacciare sui
social che il tale vip o il talaltro non indossa la mascherina, da cui
il detto: «Fare gli infermieri con le mascherine degli altri».
METRO (UN) Meglio due.
MILANO Dall’apericena all’epicentro.
NATURA
Quella del virus non si conosce. «Alla fine la Natura ha ripreso i suoi
spazi». Citare la fake dei delfini a Venezia, i fagiani in piazza
Duomo, le polveri sottili azzerate. Minimizzare sul fatto che è la
plastica che ci sta salvando. «Ma Greta, che fine ha fatto».
controlli delle forze dell'ordine
OLANDA Uno
dei peggiori paradisi fiscali del mondo, che ha incassato miliardi di
entrate da altri Paesi, nega gli Eurobond e l’aiuto finanziario a Italia
e Spagna. Citare il contratto choc sottoposto agli anziani che
contempla l’eutanasia. Con enfasi: «Ah, l’Olanda: la patria delle
libertà».
POST
(su Facebook): «Anche se viviamo un’emergenza senza precedenti possiamo
cogliere tante opportunità». «Il virus cambierà i nostri stili di
vita». «Ne usciremo migliori» (mah...).
PAROLE
(che hanno cambiato significato) «Positivo». «Domiciliari». «Ferie».
«Febbre». «Convivenza». «Europeismo». «remoto». (Al telefono): «Dove
sei?». «Che bello starsene a casa sul divano...».
PREGIUDIZI Pericolosissimi.
«Quello che non si giustifica è l’allarmismo che ha portato molti
italiani ad evitare ogni contatto con i cinesi che vivono qui,
addirittura smettendo di frequentare i negozi e i ristoranti gestiti da
cinesi. Il danno per questi ultimi rischia di essere molto rilevante»
(il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori).
PREPOSIZIONI Ma si muore con o per il virus? A volte anche di, a, da, in, con, su, per, tra, fra.
controlli delle forze dell'ordine 5
QUARANTENA
Torta. Videochiamate. Sirene di ambulanza. «Non dirmi niente, non ci
voglio pensare!». Altra torta. Dirette dal salotto. «Ma quando
finirà?!». Le bambine di Conte. Ronzio di aspirapolvere. Affetti
ritrovati. Pazienza. Tanta pazienza. Torta. Meme che invadono le chat.
Troppe chat. Il senso di unità nazionale. «La quarantena ci costringe a
cogliere ogni spiraglio di luce nel buio». Frasi fatte. Ancora torte.
#UnitiSiVince. #CeLaFaremo. Ma anche no. «Cosa dite, oggi facciamo una
torta?».
RAI Ottimo il servizio del 2015 sul virus creato in un laboratorio cinese, a Wuhan.
SILENZIO Ce ne sarebbe bisogno di più. È durato un minuto.
SLOGAN
Di solito, eccellenti antivirali. Esempi: «Senza Europa saremo soli».
«Salvini untore!». #MilanoNonSiFerma (#PerchéNo?), ma anche: «Non c’è
nessun pericolo». «Siamo prontissimi». #AndraTuttoBene «La situazione è
assolutamente sotto controllo». “#Maledettttttttiiiiiiiii!!!!”.
TAMPONE Non tutti sono uguali davanti a un tampone. Priorità del tampone: 1) Calciatori 2) Politici 3) Giornalisti 4) Gli altri.
(SMART) WORKING
«Svolta epocale». «Certo che lavorare da casa è un’altra cosa...».
«Pensa a chi non ha il wi-fi». «Dopo cambierà tutto». «Una nuova sfida»
(hai detto «sfiga?»). Scoperta: la chiave dello smartworking sono le
pause. Molte pause. Step dello smartworker: Frigo. Caduta connessione.
«Mi sentite?». Frigo. Flessibilità. «Mi vedete?». Frigo. «Per fare un
buon smartworking occorre: un buono schermo, comunicazione efficace,
tastiera comoda, sedia ergonomica». Frigo. «Abbiamo cambiato la modalità
di lavoro, ma non la qualità del servizio!». Pausa. Tante pause.
«Niente sarà più come prima!». «Purtroppo...».
aperitivo su skype
ZONA ROSSA
Dove molti rinchiuderebbero i politici e gli opinionisti.