Lampante
[lam-pàn-te]SIGN Lucente, splendente, limpido; chiaro, palese, evidente
participio presente di [lampare] 'lampeggiare', dal greco [lampo] 'splendere'.
Nella platea mentale delle parole il lampante si siede vicino al lampo, alla lampada, al lampione, ma rispetto a questi è un termine un pochino più ricercato.
Ha la forma di un participio presente, vestigio del verbo 'lampare', che nell'italiano corrente è del tutto desueto:
sopra di esso si è affermato, con lo stesso significato, il verbo
'lampeggiare'. Quindi il lampante sarebbe qualcosa che lampeggia, che
scintilla: in passato l'uso concreto andava più forte, e si dicevano
lampanti soprattutto le
monete, magari
nuove di zecca, così come i liquori e vini limpidi e di colore
brillante. Il lampante non ci presenta quindi una luce stabile, ma la
luce riflessa, interrotta e mobile, del trasparente e del lucido.
Oggi questi caratteri del lampante li rinvestiamo volentieri in un senso figurato - un senso che è emerso solo nel corso del Settecento, mentre gli altri erano quattrocenteschi: lampante diventa ciò che è di tutta evidenza,
palese. Come evidente e palese è ciò che è tanto chiaro e brillante da rimandar luce. Il menagramo trova nell'imprevisto la conferma lampante delle sue previsioni funeste, in tribunale l'
avvocato produce una prova lampante dell'innocenza
del suo assistito, fingiamo di credere alla menzogna lampante, e
serviamo cerimoniosamente le uova sode come fossero testimonianza
lampante delle nostre alte doti culinarie.
Un altro uso diverso e molto simpatico,
ma ormai quasi del tutto andato per obsolescenza tecnologica, vede nel
lampante ciò che è adatto a fare da combustibile per le lampade: il
suocero fa un olio d'oliva così immondo che è buono come olio lampante, e
riguardando il lume che ormai fa solo da soprammobile ci rammentiamo
del petrolio lampante che comprava il nonno.
Una parola leggera, immediata, che ha tutta l'incisività del parlare direttamente ai sensi.
* * *
Sparuto
[spa-rù-to]SIGN Macilento, smunto, gracile; di numero esiguo, irrilevante
forma arcaica del participio passato di [sparire].
L'origine di questo aggettivo può
disorientare: infatti, propriamente, sarebbe un participio passato
arcaico del comune verbo 'sparire' - quindi, un omologo
di 'sparito'. Ma i significati di 'sparuto' divergono molto da quelli
di 'sparito', e c'è da capire quale sia il sentiero di senso da
percorrere.
Il primo significato con cui 'sparuto' è emerso nella nostra lingua, nel Trecento, è quello di macilento, smunto, piccolo e gracile; iperbolicamente ci possiamo figurare
questa condizione di minutezza come a un passo dallo sparire. Dopotutto
anche la nonna, notando che
abbiamo perso un chilo dei molti in più che abbiamo addosso ci dice "Sei
sparito, tieni la terza porzione di lasagna". Possiamo quindi dire che
era sparuto il cagnolino abbandonato
che abbiamo adottato, l'influenza durata a lungo ci lascia deboli e
sparuti, e domandiamo all'amica che succede, vediamo che ha il viso un
po' sparuto.
Questa ideale tensione verso lo
sparire si trova anche - e forse in maniera più evidente - nel secondo
significato, tardo settecentesco, che questa parola ha acquisito: lo
sparuto diventa ciò che conta un numero esiguo
di elementi, fino all'irrilevanza. Il gruppo sparuto di manifestanti
cerca di raccontarsi come sollevazione popolare, in pochi minuti del
vasto buffet resta solo qualche tartina sparuta risparmiata per
cortesia, e l'amico ha in capo una chioma sparuta che si ostina a
portare lunga.
Una parola versatile, che trova un'immagine aggraziata per significare il malconcio e il rado.
* * *
Prerogativa
[pre-ro-ga-tì-va]SIGN Privilegio, diritto; peculiarità, caretteristica distintiva
voce dotta recuperata dal latino
[praerogativa], sostantivazione dell’aggettivo [praerogativus] 'che
esprime un parere prima degli altri', da [prae rogatus] 'interrogato
prima'.
Questa parola ci apparecchia dei significati davvero interessanti e utili, ma soprattutto ha un'etimologia sorprendente.
Nell'ordinamento dell'antica Roma la
prerogativa era la centuria che, fra i comizi centuriati, votava per
prima. Per chi non lo ricordasse, quella dei comizi centuriati fu forse
l'assemblea più importante
di Roma, dai tempi di re Servio Tullio fino ad Augusto: secondo la
logica per cui il cittadino era anche soldato, i cittadini romani erano
suddivisi in classi in base al censo, cioè in base alla loro ricchezza; i
cittadini delle classi più ricche erano tenuti ad avere (li pagavano di
tasca propria) armamenti migliori, e ricoprivano ruoli militari più
importanti, mentre quelli delle classi più povere portavano armi più
modeste e avevano ruoli più umili - fino ad essere
esentati del tutto dal servizio militare. Ciascuna classe si articolava
in un certo numero di centurie, gruppi (non necessariamente di cento
persone, a dispetto
del nome) che, nell'assemblea dei comizi centuriati, esprimevano
ciascuno un voto collettivo. Le competenze di quest'assemblea erano di
assoluto rilievo, e andavano dall'elezione delle magistrature maggiori,
alla votazione sulle leggi, fino anche a funzioni giurisdizionali. Ad
ogni modo, nell'assemblea votavano per prime le centurie delle prime
classi, in ordine discendente; e fra quelle della prima classe veniva
estratta a sorte - e qui chiudiamo il cerchio - la prerogativa, quella
che avrebbe votato avanti a tutte le altre. Un voto
importante, perché ad esso volentieri si uniformavano i seguenti.
In italiano la prerogativa riemerge nel XIV secolo, indicando un privilegio,
un diritto riconosciuto - qual era quello della prerogativa romana -
specie attribuito a cariche pubbliche: parliamo della prerogativa regia
per cui il Re d'Italia poteva nominare intere infornate di senatori,
delle immunità che sono prerogative di capi di Stato, di parlamentari,
di diplomatici. Ma possiamo anche parlare di come il più esperto della squadra
abbia la prerogativa dell'ultima parola, o della moglie
che ha la prerogativa nella scelta del menu. Inoltre - e sempre già dal
XIV secolo - la prerogativa prende anche il significato di peculiarità, di caratteristica specifica: non proprio un privilegio, ma comunque qualcosa che distingue. L'abilità straordinaria nel passaggio è una
prerogativa del tal giocatore di basket, il celebre accademico ha la prerogativa di una simpatia travolgente, e quel cuoco ha la prerogativa di un estro impareggiabile nella reinterpretazione dei piatti della tradizione.
Una parola delle più suggestive, che
a partire da una consistenza storica notevole è stata capace di trovare
sbocchi di significato sempre più vivaci.
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