SCHADENFREUDE, O ROSICARE –
CECCARELLI E IL LIBRO CHE RACCONTA L’INTRADUCIBILE PAROLA TEDESCA:
“L’AUTRICE PROVA A RENDERLA IN ITALIANO CON ‘MALEVOLENZA’, MA È
IRRESISTIBILE LA TENTAZIONE DI DECLINARLA A PARTIRE DAL VERBO
‘ROSICARE’, DONDE LA GRANDE ROSICATA DI CUI L'ITALIA SI È FATTA OGGI
PATRIA, TEMPIO, TEATRO E RIFUGIO” – LE MANETTE MIMATE DA GIARRUSSO, LA
CADUTA DI RENZI, LE PERIPEZIE DI GIULIA SARTI E “L’ IMMATURITÀ
TARDO-ADOLESCENZIALE DEI NUOVI ARRIVATI, CHE DEL RANCORE HANNO FATTO UNA
LEVA DI CONSENSO”
-
Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”
Una
parola tedesca racchiude un sentimento universale: il godere delle
disgrazie altrui. Lo racconta in un libro una studiosa inglese. Ma è l'
Italia la culla della malevolenza: dalle manette di Giarrusso alla gioia
per il flop di Celentano. È fuori e dentro di noi, gemella nera dell'
empatia, cugina dell' invidia e della competizione, vicina di casa dell'
istinto tribale che va riemergendo in una società sempre più sminuita e
incattivita.
Per
quel poco che si riesce a esprimere delle passioni dell' anima, è
qualcosa - uno stato, uno spasmo, un soffio - che esalta, ma anche
spaventa, dà sollievo e insieme sporca, procura euforia e senso di
colpa. Nell' atlante geografico delle emozioni la precisione lessicale
tedesca le ha dato nome Schadenfreude, parola composta che designa la
gioia ("Freude") per la disgrazia ("Schaden") altrui.
MARIO GIARRUSSO
Ma
senza dubbio si tratta di un sentimento universale che fa parte della
natura umana. Nel suo crudo, acuto e divertente, Schadenfreude, appunto,
(Utet) Tiffany Watt Smith prova a tradurla in italiano con
"malevolenza", anche se nell' estenuato teatrino domestico è
irresistibile la tentazione di declinarla a partire dal verbo
"rosicare", donde la Grande Rosicata di cui l' Italia si è fatta oggi
patria, tempio, teatro e rifugio.
Di
tutto questo il più recente campione rosicone può considerarsi il
senatore grillino Giarrusso che con allegra esuberanza in una sede
istituzionale si è esibito nel gesto plateale delle manette. Celebrava
in tal modo l' arresto di babbo e mamma Renzi, giubilante alfiere di
quanti in cuor loro avevano esultato dinanzi alla foto del papà dell' ex
premier che, ai domiciliari, fumava il sigaro sul terrazzo.
Ma
quanti poco dopo hanno assaporato il più sordido piacere allorché il
Celeste Formigoni, che nelle ore liete del potere si disegnava le
giacche color aragosta, ha imboccato la via della galera? E quanti,
ancora, hanno felicemente condiviso il video aeroportuale nazional
populista sull' assassino Battisti finalmente in manette o quell' altro
del comune di Roma con la ruspa che con adeguata colonna sonora
abbatteva povere baracche di un accampamento rom?
La
pacchia, del resto, è finita, e anche se nella realtà l' asserzione è
dubbia, non c' è slogan né brand più adatto a stimolare un compiacimento
così subdolo da proporsi addirittura come una civica variante di
Schadenfreude. Così, se per molti tifosi interisti o laziali la vittoria
della propria squadra non vale nemmeno la metà della gioia gufata per
la sconfitta del Milan o della Roma, nel paese della commedia e del
melodramma le disdette, i fallimenti e le sventure fanno davvero molto
presto a diventare spettacolo di eccitato intrattenimento.
Vedi
i "famosi" dell' isola che tra fame e zanzare non resistono, si
ammalano, tornano a casa; vedi gli autoreclusi del Grande Fratello fatti
cornuti, e "ben gli sta!"; vedi certi poveri aspiranti chef maltrattati
da Bastianich e Cannavacciuolo, che manca poco gli sputino nel piatto.
Nelle
cronache come negli spettacoli l' oscura malignità della Schadenfreude
afferra e punisce ogni giorno una quantità di "colpevoli" per il
compiacimento di enormi platee: dalle vittime degli agguati delle Iene
ai degradati del tapiro, dal flop di Celentano ai video amatoriali delle
feste di matrimonio andate a male, è tutto uno sciogliersi liberatorio
di fronte alla figuraccia, pure detta "epic fail", non di rado
determinata da "shit storm", o tempesta di merda, con rispetto parlando.
Eppure ridere delle umiliazioni rientra a pieno titolo nei codici della
vita, quindi anche dell' arte.
tiziano renzi e laura bovoli al balcone di casa 1
Molto
inglese e molto simpatica, l' autrice s' inoltra citando Hobbes, Locke,
Nietzsche, le teorie sul riso di Bergson; ma ha pure incontrato diversi
psicologi e neuroscienziati per scrivere un libro onesto e assai ben
riuscito anche nella sua dimensione lievemente autobiografica; un saggio
per certi versi delizioso, con fior di bibliografia e uno strepitoso
indice analogico che rinvia a spassosi incidenti legati a diete,
divorzi, vetri rotti, pozzanghere, fino alle "scorregge e affini"
(proprio così).
Eppure
è soprattutto un libro che, rapportato alle cronache dell' Italia di
oggi, mette a disagio e fa male. Perché fin troppo e amaramente si ride
in questa Italia «che non sta in pace con sé stessa», secondo il capo
della Cei cardinale Bassetti; un Italia dove «la gente vive per vedere
le disgrazie altrui», come l' ha sperimentata sulla sua pelle Fausto
Brizzi dopo il dramma del #MeToo.
E
ben al di là del garantismo o del giustizialismo, questa inesorabile
malattia dell' anima sembra fiorire in un paese che «ha fatto del
rancore la sua cifra politica», per dirla con Giuseppe De Rita, sicché
la recente storia può rileggersi come unico e perenne gongolamento a
spese di un potere comunque destinato a finire nella polvere e nel
fango: la caduta di Craxi, la disfatta democristiana, la nemesi di Di
Pietro, la rotta dell' altezzoso D' Alema, gli scandalacci di
Berlusconi, il tonfo di Monti, il disastro autoreferendario di Renzi.
Più difficile stabilire perché la Grande Rosicata sia divenuta una
chiave indispensabile per comprendere questo tempo.
Per
cui si può ipotizzare che la scomparsa delle culture politiche ha
portato a concepire la vita pubblica a partire da impulsi psicologici,
soggettivi, sentimentali; mentre le forme e i linguaggi si sono
modellati sul manicheisimo del tifo e la crudeltà del gossip.
L'
immaturità tardo-adolescenziale dei nuovi arrivati, che del rancore
hanno fatto una leva di consenso, non ha certo aiutato; e l' uso
compulsivo dei social ci ha messo infine il carico da undici, per cui «è
come vivere portandosi dietro una bombola d' ossigeno vuota - ha
scritto Franco Arminio - non c' è aria in rete, solo un traffico di
ombre». Intanto alla Borsa delle risate malefiche sale l' indice della
casa negata a Mamma Traversa, degli abusi di babbo Di Maio, dei debiti
di babbo Dibba; e sempre ci sono degli scontrini di cui vergognarsi, e
vitalizi felicemente sottratti, a parte la cellulite di Boschi, le
peripezie amorose di Sarti, le disavventure del Trota o di Titti
Brunetta. Chi scommette sullo spread, chi gioisce della Isoardi.
Salvo
poi scoprire che non solo la Rosicata è arida, sterile e incapace di
determinare cambiamenti, ma all' ennesima uniforme di Salvini "indagato
fra gli indagati" o gaffe di Giggino che ha sbagliato l' ennesimo
congiuntivo, si finisce per incontrare la noia, e dietro questa noia si
intravede il nulla.
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