DA CHE MONDO È MONDO, UN’EPIDEMIA È
SEMPRE COLPA DEGLI “ALTRI” - TRUMP E LA CINA SI SCAMBIANO ACCUSE SU CHI
ABBIA DATO INIZIO ALLA PANDEMIA - MA DALL'ANTICHITÀ, I PREGIUDIZI HANNO
PORTATO A CERCARE DI VOLTA IN VOLTA UN CAPRO ESPIATORIO COME ACCADDE
AGLI EBREI DURANTE LA PESTE - PER I FRANCESI LA SIFILIDE ERA IL MALE
NAPOLETANO, PER GLI ITALIANI MAL FRANCESE, PER I PORTOGHESI MORBO
CASTIGLIANO, PER I GIAPPONESI MORBO PORTOGHESE, PER GLI OLANDESI VAIOLO
ISPANICO, PER I POLACCHI MAL DEI TEDESCHI…
Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
«Nel
1321, si legge nella cronaca del monastero di Santo Stefano di Condom,
cadde in febbraio moltissima neve. Furono sterminati i lebbrosi. Cadde
di nuovo molta neve prima di metà Quaresima; poi venne una gran
pioggia». Così lo storico Carlo Ginzburg ricorda in Storia notturna
(Einaudi, 1989; edizione più recente: Adelphi, 2017) l'assatanata caccia
a quelli che oggi con pudore politicamente corretto chiamiamo
«hanseniani» e agli ebrei, additati come loro complici: «Allo sterminio
dei lebbrosi l'anonimo cronista dedica la stessa distaccata attenzione
riservata a insoliti eventi meteorologici».
carlo ginzburg
Era
«normale», da sempre, dare la colpa agli altri. Da molto prima che
Donald Trump difendesse rabbioso la sua scelta di bollare il
coronavirus, piacesse o no agli esperti, col nome di chinese virus e
fosse a sua volta ricambiato dal portavoce del ministero degli Esteri di
Pechino Zhao Lijian con un tweet non meno bellicoso: «Quando c'è stato
il paziente zero negli Usa? Quante persone sono infette? Come si
chiamano gli ospedali? Potrebbe essere stato l'esercito americano a
portare l'epidemia a Wuhan. Sii trasparente! Rendi pubblici i tuoi dati!
Gli Stati Uniti ci devono una spiegazione!»
Anche
il re di Francia Filippo V il Lungo, quando firmò nel 1321 l' editto di
Poitiers che autorizzava la strage, diede una sua spiegazione, inviando
a siniscalchi e balivi, narra Ginzburg, «una lettera in cui dichiarava
enfaticamente di aver "fatto catturare tutti gli ebrei del nostro regno"
per i crimini orrendi da loro commessi, in modo particolare per la loro
"partecipazione e complicità ai convegni e cospirazioni fatti da molto
tempo in qua dai lebbrosi per porre veleni mortali nei pozzi e nelle
fontane e altri luoghi...per far morire il popolo e i sudditi del nostro
regno"». D' intesa, ovvio, coi «perfidi giudei».
Saltarono
fuori, a sostegno della tesi d' una congiura, due lettere dagli stessi
contenuti: una del «Re di Tunisi» indirizzata a «Samson, figlio di
Helias, ebreo», l'altra del «Re di Granada» rivolta «ai miei fratelli e
ai loro figli». Entrambe in arabo e tradotte («fedelmente», giurò
davanti a giudici, chierici e notai) da un medico, un certo Pierre de
Aura. «Cercate di eseguire bene la faccenda che sapete, perché vi farò
avere oro e argento a sufficienza per le spese», diceva quella dello
pseudo Re di Tunisi, «Come sapete, l' accordo tra noi, gli ebrei e i
malati ha avuto luogo poco tempo fa, il giorno di Pasqua fiorita. Badate
a avvelenare nel più breve tempo possibile i cristiani, senza badare a
spese».
Due
falsi. Costruiti a tavolino per gonfiare l' odio. Sfociato in episodi
di tale ferocia che a Chinon, nei pressi di Tours, secondo i cronisti di
allora ripresi dallo storico torinese, «era stata scavata una gran
fossa dove erano stati gettati e dati alle fiamme 160 ebrei, uomini e
donne» e «molti si gettavano nella fossa cantando, come se andassero a
nozze» per non dire di Vitry-le-François dove «quaranta ebrei che erano
stati incarcerati decisero di sgozzarsi reciprocamente per non cader
nelle mani dei cristiani».
Nessuno stupore,
insiste Ginzburg: «La connessione tra ebrei e lebbrosi è antica. Fin dal
I secolo d.C. lo storico ebreo Flavio Giuseppe polemizzava nel suo
scritto apologetico Contro Apione con l' egiziano Manetone, il quale
aveva sostenuto che tra gli antenati degli ebrei c' era anche un gruppo
di lebbrosi cacciati dall' Egitto».
Va
da sé che quando nel 1347, venticinque anni dopo, arrivò in Europa la
Peste Nera portata a Messina dai topi a bordo da una dozzina di navi
genovesi provenienti da Costantinopoli (la Peste Nera avrebbe sterminato
tra i venti e i venticinque milioni di europei), chi finì di nuovo
sotto accusa? Loro, gli ebrei. E gli eccidi furono tali che dovette
intervenire lo stesso Papa Clemente VI che, sia pure dopo due premesse
insane («Quantunque detestiamo con merito la perfidia dei giudei» e
«quantunque vorremmo che essi, se colpevoli... fossero abbattuti»),
diffidava i suoi fedeli «perché non si permettano mai, con propria
temerarietà, di perseguitare, ferire, uccidere i Giudei».
A
farla corta, come dicevamo, ogni male ignoto che abbia seminato morte e
dolore nella storia è stato troppo spesso, se non sempre, attribuito
agli «altri». Basti rileggere Tucidide, colpito lui stesso dalla peste
nel 430 a.C. Peste che «prese inizio prima di tutto, come si dice, dall'
Etiopia che sta oltre l' Egitto, ma poi si diffuse in Egitto e in Libia
e nella maggior parte della terra del re. E nella città degli ateniesi
piombò improvvisamente, e dapprima attaccò le persone nel Pireo,
cosicché si disse anche da loro che i peloponnesiaci avessero gettato
veleni contagiosi nei pozzi...».
E
così forte è stata, giù giù per i secoli, la ricerca del capro
espiatorio e l' ossessione che il «male» non potesse essere «nostro» ma
dovesse comunque venire da fuori, che perfino lo scienziato John Langdon
Down, che pure avrebbe dato alla «sindrome di Down» il suo stesso nome,
arrivò a scrivere nel 1866 d' aver individuato tra i suoi pazienti
londinesi e del Surrey un «gran numero di idioti e imbecilli»
riconducibili alle «grandi suddivisioni della razza umana» e tra questi
moltissimi «idioti congeniti sono tipici mongoli». Così simili fra di
loro che «è difficile credere che, posti a confronto, non siano figli
degli stessi genitori». Una tesi che appiccicò per un secolo a questi
figli disabili la parola «mongoloide» come un insulto.
Dicono
tutto, su questi rimpalli di accuse che trasudano diffidenza,
pregiudizi o peggio razzismo verso gli altri, i rivali, i nemici di
sempre, le definizioni della sifilide, che qualche lettore ricorderà,
riassunte dalla storica Eugenia Tognotti nel saggio L'altra faccia di
Venere (FrancoAngeli, 2006). Per i francesi era il «male napoletano o
italiano, per gli italiani mal francese, per i portoghesi morbo
castigliano, per i giapponesi morbo portoghese, per gli olandesi vaiolo
ispanico, per i polacchi mal dei tedeschi, per i moscoviti mal dei
polacchi, per i persiani morbo dei turchi, per gli africani mal
spagnolo...».
E via così.
Più
ancora, però, colpisce come la stessa «Spagnola» che uccise un secolo
fa tra venti e quaranta milioni di persone in tutto il pianeta e prese
il nome quasi certamente dal fatto che i giornali iberici, non
sottoposti alla censura vigente in tutti gli Stati coinvolti nella Prima
guerra mondiale, lanciarono per primi l' allarme, fosse chiamata in
realtà in tante maniere diverse.
Come
ricorda la stessa Tognotti nel libro dedicato a quella terrificante
pandemia, lo sgomento per l' impatto assassino dell' influenza
sconosciuta, che nessuno sapeva come chiamare, fu tale che «i diversi
popoli tendevano a imporre un nome che scaricava su qualcun altro la
responsabilità della sua insorgenza». E così «essa fu indicata col nome
di "fièvre de Parme" in Francia, di "febbre delle Fiandre" in
Inghilterra, di "malattia bolscevica" in Polonia, di "febbre di Bombay" a
Ceylon, di "febbre di Singapore" a Penang , di "soldato di Napoli" in
Spagna...». Sfumature secondarie, spazzate via dalla grande
livellatrice.
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