«A» con l’acca o senza? Le avventure della lettera «H», la più odiata dagli italiani
Dall’alfabeto fenicio
all’Ariosto, la vicenda millenaria del simbolo grafico «H» ricostruita
dal ricercatore Fabio Copani e rilanciata dai social
La più strana delle lettere dell’alfabeto
«Mamma, ma perché “Mario ha un amico” si
scrive con l’acca visto che si pronuncia nello stesso identico modo di
“Mario va a scuola”?». Perché è voce del verbo avere. «E allora perché
non si scrive habbiamo e havete?». In latino effettivamente si scriveva
così, ma si pronunciava anche diversamente, aspirando l’acca. Mentre in
italiano la «H» è una lettera strana, una lettera muta. Si scrive ma non
si legge, si vede ma non si sente. Eppure è importantissima. Talmente
importante che se non ci fosse si scatenerebbe l’Apocalisse: le chiese
senza l’acca crollerebbero come sotto le bombe, i cherubini cadrebbero
dal cielo, i bicchieri esploderebbero in mano, i galli invece di cantare
starnutirebbero: CICCIRICÌ. E’ quanto immaginava Gianni Rodari in una
filastrocca del Libro degli Errori in
cui l’Acca - «stufa di non valere un’acca» - fuggiva dall’Italia.
Ebbene a restituire l’onore perduto alla più bistrattata delle lettere
dell’alfabeto ci ha pensato Fabio
Copani, giovane dottore di ricerca in Storia greca, che ha ricostruito
la sua lunga e travagliata odissea attraverso il Mediterraneo. Una
storia che comincia sulle spiagge fenicie, monta a bordo delle navi dei
commercianti libanesi, sbarca in Grecia, di lì a Cuma, e poi a Roma dove
indispettisce Catullo e insuperbisce l’Ariosto, per atterrare infine
sui manuali di scuola.
L’Acca in fuga di Gianni Rodari
La lettera Het nella lingua fenicia
La storia della H è antica quanto quella
dell’alfabeto che, come si sa, fu inventato dai fenici. La «het» era
l’ottava lettera dell’alfabeto fenicio e si scriveva con un segno a
forma di rettangolo con un trattino in mezzo («acca chiusa»).
Corrispondeva a un suono per noi sconosciuto che veniva prodotto con un
restringimento della cavità orale all’altezza della faringe (i linguisti
lo chiamano «spirante faringale»).
L’alfabeto fenicio
Dalle coste libanesi alla Grecia
A partire dal IX secolo a.C. i commercianti
libanesi ebbero contatti sempre più frequenti con i greci i quali non
restarono insensibili alle loro straordinarie invenzioni tecnologiche,
dal vetro all’alfabeto. L’adozione dell’alfabeto fu un processo
complesso perché il greco antico era una lingua indoeuropea con suoni
diversi dal fenicio che era una lingua semitica. In greco molte parole
iniziavano con delle vocali aspirate: quelle parole furono trascritte
con il segno «het» davanti che stava a indicare appunto un’aspirazione.
Dalla acca chiusa all’acca aperta
Verso la fine del VII secolo a.C. vi fu una
semplificazione dell’antico segno «het»: i due trattini superiore e
inferiore vennero tralasciati e la lettera assunse la forma della nostra
acca. Si passò così, gradualmente, dalla «acca chiusa» alle «acca
aperta».
«acca aperta».
Alfabeto greco arcaico
L’alfabeto di Mileto
In greco antico esistevano però molti
dialetti. A Mileto per esempio, e più in generale nella Ionia asiatica
corrispondente alla costa centrale della Turchia, i greci parlavano un
dialetto privo di aspirazioni (i linguisti lo chiamano «psilotico»).
Loro usavano il simbolo «het» fenicio per indicare la vocale «e» lunga.
Nel 403 a.C. la città di Atene decise con un decreto ufficiale di
adottare l’alfabeto di Mileto. Fu così che il segno a forma di «acca» si
impose quasi ovunque nel mondo greco come simbolo della lettera eta,
cioè della «e» lunga, mentre per indicare il suono aspirato entrò in uso
lo «spirito aspro» sopra le vocali iniziali.
L’alfabeto dei cumani
Il segno a forma di acca ebbe una sorte
diversa nelle colonie greche in Campania, prima fra tutte Cuma, che fu
fondata dai greci dell’isola Eubea nell’VIII secolo. Nell’alfabeto dei
cumani quel segno continuava a indicare il suono dell’acca aspirata e
così passò anche ai romani che adottarono il simbolo nella sua variante
aperta proprio per indicare il suono dell’aspirazione all’inizio di
molte parole latine (homo, uomo, habere, avere, da cui l’acca che sopravvive ancora in italiano - anche se muta - nelle voci del verbo avere).
Ariosto e l’uomo senz’acca che è senza onore
La lingua parlata italiana ereditò
la dizione del latino rustico che non pronunciava il suono aspirato
all’inizio della parola. Tuttavia la acca sopravvisse nell’italiano
scritto. Fra i suoi paladini più convinti, nel Rinascimento, vi fu
Ludovico Ariosto («Chi leva la H all’huomo, e chi la leva all’honore,
non è degno di honore»). Alla fine però i nemici dell’acca ebbero la
meglio e imposero una grafia semplificata senza il segno «H» all’inizio
della parola. A partire dalla fine del Seicento si definì una
consuetudine ortografica che salvava l’acca solo nelle prime tre persone
singolari e nella terza plurale dell’indicativo presente del verbo
avere («ho», «hai», «ha», «hanno»), quelle cioè che si prestavano a
confusione con altre parole dal suono uguale ma dal significato diverso
(«o», «ai», a», «anno»). E qui si chiude la storia millenaria di un
errore secolare.
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