Polizza
[pò-liz-za]SIGN Contratto, specie d'assicurazione; ricevuta
dal latino [apodìxis], che è dal greco
[apódeixis] 'dimostrazione, prova', derivato di [apodeiknýmai]
'dimostrare', composto di [apo-] 'da' e [déiknymi] 'mostrare'.
Le parentele delle parole sanno sempre stupire.
Non so quanti si siano mai chiesti da dove salta fuori il termine 'polizza', ma è una domanda meritevole, visto che ci rimbomba nelle orecchie tutti i giorni e che il nostro portafogli ringhia ogni volta che lo sente. Di primo acchito appare isolato, privo di nessi
evidenti che lo legano ad altri - un frutto che penzola in fondo a un ramo liscio e nudo. E invece scopriamo che ha un parente aulico e sorprendente: l'aggettivo 'apodittico',
che significa 'evidente, inconfutabile' con tutta l'intensità di una
dimostrazione, di una necessità logica (difatti è propriamente un
termine fisolofico). Se però 'apodittico' è una voce dotta,
recuperata nel tardo Cinquecento e conservata in ottime condizioni rispetto
all'originale greco, la parola 'polizza', documento che
etimologicamente prova il vincolo contrattuale o il suo adempimento, è
il risultato di usure, storpiature, maciullamenti dell'originale da
parte di migliaia di bocche in millenni di mercatura. 'Apodittico' è il
fratello che ha condotto un'esistenza silenziosa nei monasteri e
disquisisce di verità e virtù, 'polizza' è la sorella che ha passato la
vita a fare affari nei porti
del mediterraneo e ha un coltello nello stivale.
Oggi, se parliamo di polizze,
parliamo di polizze assicurative: banalmente contratti di assicurazione
per cui tu mi paghi una somma, io ti sollevo da un rischio.
E si dice polizza tanto il contratto-rapporto quanto il
contratto-documento. In passato il temine 'polizza' ha descritto
qualunque tipo di contratto e di ricevuta: quella assicurativa ha
prevalso per una sorta di antonomasia.
Un quadro più bello di quel che prometteva, nevvero?
* * *
Olire
[o-lì-re (io o-lì-sco)]SIGN Mandare un odore gradevole
dal latino [olēre] od [olĕre] 'mandare odore', con mutamento di coniugazione in '-ire'.
Questa parola è una vera chiave di volta: ne raccorda molte altre, fondamentali, che afferiscono alla sfera dell'odore.
L'odore stesso è etimologicamente affine all'olire - che nell'originale latino, olere, aveva il senso neutro di 'mandare odore'. L'olfatto idem, composto di olere e facere. E ovviamente anche l'olezzo scaturisce dal tema dell'olere
latino. Ma, fatto curioso e del tutto arbitrario, mentre all'olezzo
associamo oggi un odore sgradevole, l'olire si afferma stabilmente in
italiano (con un cambio di coniugazione, da '-ere' a '-ire') in senso
opposto,
significando il mandare profumo, un odore gradevole.
Le parole rare e ricercate rivelano
un'utilità speciale quando descrivono delle realtà che richiedono un
certo versamento poetico. Insomma, il pregio di un profumo, per essere
descritto in maniera efficace, può aver bisogno di termini che si
discostino da quelli soliti: quella delle rose che profumano è
un'immagine lisa. In questo senso l'olire ci si presenta come
un'alternativa notevole su due fronti: se contrappone la sua finezza
insolita a un profumare troppo rimasticato, la sua forma popolare non lo
fa cadere nell'affettazione dell'
aulire, o dell'olezzare.
Così oliscono di resina le frasche
d'abete che abbiamo portato in casa, aprendo il cassetto restiamo
frastornati dall'olire delle saponette, respiriamo il cuscino olente dei
capelli di lei.
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(Bonvesin de la Riva, Disputatio rosae cum viola, vv. 13-20.)
Incontra la vïora, la rosa sì resona
e dise: “Eo sont plu bella e plu grand im persona,
eo sont plu odorifera e plu cortese e bona […]”
Incontra quest parolle respond la vïoleta: […]
“Ben pò stà grand tesoro in picenina archeta;
quant a la mia persona, ben sont olent e neta.”
XIII secolo: mentre in Toscana nasce
la poesia amorosa, al Nord fiorisce quella moralistico-didattica.
Bonvesin era appunto un grammatico milanese, e questo è forse il suo
testo più simpatico: un ‘contrasto’ (in pratica un litigio) tra la rosa e la viola.
La rosa si vanta infatti di essere “più bella e grande”, nonché “più profumata, nobile e piacevole”. La violetta però risponde, piccata, che anche in un piccolo scrigno ci può stare un grande tesoro. È la versione aulica
di “il vino buono sta nelle botti piccole” (un proverbio che anche mia
mamma ripete volentieri, essendo ormai la 'picenina' della famiglia).
Inoltre la viola si descrive come
“linda e profumata”. Ora, 'olente' (la variante popolare di aulente) è
sostanzialmente sinonimo di 'odorifera'. Tuttavia il secondo dà l’idea
di un profumo penetrante, mentre il primo evoca un odore più indefinito,
aleggiante sullo sfondo.
Insomma la rosa è la femme fatale
della situazione, mentre la violetta è una signorina acqua e sapone. La
prima frequenta solo i giardini d’alto rango, invece la seconda non disdegna di nascere anche sui fossati, a rischio di essere calpestata per distrazione. La sua bellezza è più
discreta, ma più generosa;
e, se il profumo della rosa può stordire, quello della viola accarezza
chi le passa accanto, portando in sé l’annuncio della primavera.
Così, con buona pace della rosa, la
violetta è incoronata regina del giardino. E tale vittoria ha anche una
sfumatura socio-politica: Bonvesin infatti era uno strenuo difensore dei
comuni, e preferiva la laboriosità dei borghesi all’eroismo nobiliare.
Del resto, spesso le virtù più belle sono davvero le meno evidenti. La generosità nel regalare un sorriso a tutti; la pazienza
quando le cose non vanno nel verso giusto; la sollecitudine
nell’aiutare gli altri prima ancora che lo chiedano. Sono virtù piccine,
da violetta. Ma sono proprio loro a diffondere tra gli uomini un
profumo “allegro e confortoso” (v. 242).
* * *
Lucia Masetti, dottoranda in studi umanistici all'Università
Cattolica di Milano, ogni lunedì apre uno scorcio letterario sulla
parola del giorno.La parola del giorno è
Fornicare
[forn-ni-cà-re (io fòr-ni-co)]SIGN Intrattenere rapporti sessuali con una persona che non sia il coniuge; avere un'intesa occulta o illecita
voce dotta recuperata dal latino [fornicare], derivato di [fornix] 'fornice'.
Il carattere dotto di questa parola assicura un certo distacco rispetto
all'azione che descrive, e non è un caso che i suoi più eccellenti
impieghi si trovino in ambito religioso. Inoltre vi troviamo il pregio
di un'etimologia molto vivida.
Il fòrnice è un elemento
architettonico: la luce, l'apertura di un arco di un edificio, o
monumentale. Queste aperture, molto comuni in ogni città e che specie di
notte offrono un riparo discreto, per millenni sono state luoghi d'elezione per postriboli
e attività di prostituzione. Figuriamoci che cosa non erano fino a
pochi secoli fa gli anfiteatri romani abbandonati. Comunque, dalle
attività che si svolgevano nei fornici scaturisce il fornicare.
Ora, con l'apertura dei costumi l'atto descritto da questo verbo ha perso molto del severo smalto
che aveva: è quasi buffo scrivere il significato di 'intrattenere
rapporti sessuali con una persona che non sia il coniuge'. Ma se si è
ridotto il margine d'uso serio di
questa parola, i significati figurati e ironici vanno fortissimo.
Sicuramente potremo parlare del marito colto a fornicare con la
caldaista, ma possiamo volentieri parlare degli amici che si defilano
dalla festa per fornicare in santa pace, o del collega
che dopo una certa ora è irreperibile perché - dice lui - è sempre a
fornicare. Inoltre possiamo anche parlare dell'ingegnere sorpreso a
fornicare con la concorrenza, o del politico che fornica occultamente
con i suoi avversari.
Il tono dell'illecito rimane, seppur con una sfumatura diversa dal peccato religioso, e questa parola resta una risorsa davvero versatile.
* * *
Grazie a Matteo per il suggerimento!________________________
[Dal catalogo di Audible, audioconsiglio #35]
Li leggevo con mia nonna, i romanzi di Valerio Massimo Manfredi. Sono romanzi storici piacevoli, suggestivi, ricchi ed eleganti, che riescono ad avere il giusto equilibrio fra fedeltà e finzione. Questo tratta di una delle vicende più incredibili della storia romana, la storia di Arminio. Forse la mia preferita. Se non la conoscete vi invidio perché vi resta un piacere enorme da godere. Se la conoscete, questo libro ve la farà conoscere molto meglio.
Su Audible è narrato da Lorenzo Loreti, per quasi dodici ore e mezzo d'ascolto. Non perdetevelo. Lo trovate qui: http://bit.ly/teutoburgo
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