Monday, March 26, 2018

IRCOCERVO

MATTEO, TU UCCIDI UN SILVIO MORTO
BACIAMI STUPIDO...
 Cavaliere, Salvini e Di Maio possono governare insieme, da soli?
«Sarebbe un ircocervo, l’animale mitologico spesso citato dai filosofi antichi come esempio di assurdità, perché in esso convivono caratteri opposti e inconciliabili.


La parola del giorno è

Inizio

[i-nì-zio]
SIGN L'atto, il luogo, il momento in cui qualcosa comincia; prima manifestazione; manifestazione debole
dal latino [initium], derivato di [inire] 'entrare, cominciare', composto di [in] e [ire] 'andare'.
Questa parola è così umile e ricorrente da non farci mai alzare un sopracciglio, ma riposa su un'immagine sintetica più complessa di quel che si direbbe (dopotutto lo stupore per lo scorcio di casa è il più sorprendente).
Sappiamo che l'inizio è l'atto, e il luogo, e il momento in cui un fenomeno prende avvio: fin qui niente di strano. Si ode il segnale d'inizio della partita, l'inizio del percorso è più accidentato del prosieguo, devo rivedere il film dall'inizio perché mi sono addormentato subito.
Eppure nell'etimo lo troviamo descritto letteralmente come una entrata in. Se parliamo di 'entrare in' presupponiamo che ci sia un dentro, ma un dentro che spesso è tutt'altro che fisico. È il dentro del futuro, della storia ventura, della realizzazione: l'inizio è l'atto e il luogo e il momento dinamico in cui si entra nella narrazione, nel processo, nel fenomeno. Narrazione, processo, fenomeno che individuiamo, e perciò ritagliamo mentalmente dal foglio del mondo, e di cui quindi riconosciamo un dentro e un fuori, e così un'entrata, un inizio.
Per questo l'inizio può anche diventare una prima manifestazione o una manifestazione debole - per questo possiamo parlare di un inizio di consapevolezza rivelato da un gesto di compassione o di un inizio d'influenza che abbiamo scongiurato con tè e miele. L'inizio può anche essere un primo ingresso, o solo un ingresso senz'altro - così come il primo passo di un lungo cammino in un dentro enorme.
Bellezza del termine poetico: nasconde una metafora che condividiamo e richiamiamo senza accorgercene.
* * *


Prelibato

[pre-li-bà-to]
SIGN Squisito, di eccellente sapore; pregevole, egregio; accennato in precedenza
propriamente, participio passato di [prelibare], dal latino [praelibare], composto di [prae-] 'avanti' e [libare] 'gustare, assaggiare'.
In questa parola osserviamo uno scarto fra il significato originale e i suoi esiti più comuni - ed è uno scarto intelligente, poetico.
Letteralmente il prelibato sarebbe il pregustato, ciò che viene assaggiato prima. Tant'è che il praelibare latino, oltre a questo, aveva i significati di sguardare, di sfiorare, di accennare: azioni in cui troviamo un'anticipazione di un futuro contatto più corposo.
Lo scarto bellissimo è che il pregustato diventa ciò che ha sapore eccellente: vivande e bevande, quelle squisite, sono catalogate in un cassetto della memoria sempre a portata, e ci pesano sul desiderio tanto che iniziamo a gustarle alla loro sola prospettiva. Quando la mamma dichiara "Ho fatto la parmigiana di melanzane" Pavlov prende un appunto: non l'abbiamo vista, non l'abbiamo odorata, ma è prelibata, e qui troviamo la coda di rondine che incastra pregustato e squisito.
Poi nei dizionari si trova registrato che 'prelibato' signfica anche pregevole, egregio in virtù di qualità personali straordinarie - anche se parlare di una persona prelibata invita facilmente uno sguardo cannibalesco. Invece gagliardo (pur se desueto) è il significato che vede nel prelibato ciò che è accennato in precedenza: torneremo su un argomento prelibato, il buon giallo fa arrivare all'assassino con un sistema di indizi prelibati. Mantiene quella prospettiva, quell'anticipazione che è il vero cuore di questa parola, fine ma comune, buona per ogni palato.
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Mirabolante

[mi-ra-bo-làn-te]
SIGN Straordinario, stupefacente, meraviglioso
dal francese [mirabolant], derivato di [myrobolan] 'mirabolano', per accostamento scherzoso al latino [mirari] 'stupirsi, sorprendersi'.
Davanti a una parola del genere, peraltro bellissima, pensare a certi discorsi sulla purezza della lingua e sulla corretta formazione delle parole fa sorridere.
Il mirabolano è una pianta, detta anche brombolo, amolo o rusticano, che è una sorta di prugno, e prende il suo nome dal greco myrobàlanon, letteralmente 'ghianda profumata' (myros è giusto 'profumo'). L'inizio del suo nome - senza che c'entri niente - ha evocato all'orecchio francese il mirari latino, e quindi qualcosa che desta stupore, sorpresa. Così il mirabolano (o mirabolone) torna in italiano dall'esperienza francese con il significato specifico di fanfarone, di spaccone, di persona che racconta meraviglie esagerate. E il mirabolante segue.
Per mirabolante s'intende lo straordinario, lo stupefacente, il meraviglioso, con una possente carica d'inconseutudine se non di esagerazione. Come abbiamo visto non è un participio presente (non c'è il verbo 'mirabolare') però ne ha la forma, e questo, nel nostro orecchio, rileva. Infatti c'è un che di dinamico, nel mirabolante, già nel suono uno straordinario che si compie, quasi rocambolesco, quasi pirotecnico, quasi fantasmagorico. L'amico ci racconta delle mirabolanti avventure che ha vissuto in Thailandia (ma non era un viaggio organizzato?), con un bicchiere in più lo zio si abbandona a sproloqui mirabolanti, il libro che partiva noioso rivela una fantasia mirabolante.
Una parola comune e ricca, che accende il discorso.
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Thursday, March 22, 2018

i vostri dati

https://medium.com/@azael/dati-personali-e-altre-cazzate-che-vi-hanno-rubato-5bba724f9e43

Ok, a questo punto avrete senz’altro appreso del crollo in borsa di Facebook, dovuto allo scandalo legato all’inchiesta sull’utilizzo illegale dei dati da parte di Cambridge Analytica.
Cambridge Analytica Cambridge Analytica
La questione è molto più semplice di quanto appaia nei colonnini morbosi dei quotidiani online: questa società inglese non ha *esattamente* rubato i dati personali degli utenti. Questa società ha

1. creato una specie di sondaggetto su Facebook, di quelli che facciamo continuamente con grande gioia, tipo “Scopri che alimento senza glutine saresti se fossi un ex parlamentare repubblicano”
2. vi ha chiesto se poteva prendere alcuni dati del vostro profilo
3. voi gli avete detto di sì perché voi non avete niente da nascondere, perdìo
4. vi ha chiesto anche se poteva avere la lista dei vostri amici
5. voi gli avete detto di sì (e all’epoca per Facebook non era illegale farlo)

storie su facebook storie su facebook
6. sulla base di analisi psicometriche ha dedotto, ad esempio, che l’utente Guiseppe, dato che gli piacciono i tarallucci e le Dolomiti, allora vota a destra e ha paura che i clandestini gli rubino il lavoro. L’utente Mariabudella invece vota la Bonino perché le piacciono le poesie di Neruda e i labrador.

7. su questa base, la società ha creato un grosso grasso foglio excel in cui ha messo tutte le tendenze politiche delle persone (“lui voterà Ingroia”), le paure (“lui teme l’invasione degli Unni”), i gusti (“a lui piacciono molto i grassi saturi”) e le opinioni (“per lui la terra è trapezoidale”), poi ha spedito il foglione a Trump, facendosi dare in cambio un po’ di soldi
8. Trump ha preso questo foglione Excel e sulla base dei dati in esso contenuto ha mostrato delle pubblicità su Facebook e su altri siti in giro per il web, spiegando
Cambridge Analytica Cambridge Analytica
— a Guiseppe che — se Trump avesse vinto le elezioni — Trump avrebbe ucciso i clandestini con la fibia della cinta e avrebbe regalato tarallucci al casello di Civitanova Ovest,
— a Mariabudella che - se Trump avesse vinto le elezioni — Trump avrebbe invece liberalizzato l’uso personale della Bonino e regalato labrador ai poeti poveri
9. la signora Mariabudella e il giovane Guiseppe, guardando con attenzione queste pubblicità, in virtù di un complicato calcolo di costi/benefici, hanno deciso quindi di votare Trump,
facebook facebook
10. Trump ha vinto le elezioni.
10bis. Bellammerda.

Ora, posto che la società Cambridge Analytica è stata cattiva perché non vi ha spiegato bene come avrebbe usato i nomi dei vostri amici e i vostri like a Tiziano Ferro, che Trump è stato cattivo perché d’altra parte lo è di natura, il problema non vi sembra che sia un altro?
gruppo facebook esplicito gruppo facebook esplicito

Cambridge Analytica ha fatto — molto velocemente, grazie a un bel programmino che ha sviluppato — un’operazione volgarmente meccanica: ha preso la lista degli utenti Facebook e ha preso nota delle informazioni utili che c’erano dentro: like, commenti, amici, contenuti, poi ne ha dedotto gli argomenti su cui puntare per orientare il voto degli utenti stessi (Es: se devo far cambiare il voto di Mariabudella, posso dirle che Trump ama come lei i labrador, mentre la Clinton e la Bonino li detestano e li stuprano di nascosto). Giusto per capire: se avessi un po’ di decenni a disposizione e un foglio Excel molto grande, potrei farlo anch’io, A MANO.

Quindi no, il problema, evidentemente, non è questa razzia di dati personali. Il problema, mannaggia alle peonie putrefanti, è che questi cazzo di americani hanno deciso per chi votare sulla base delle pubblicità — pubblicità personalizzatissime, per carità — , ma pur sempre pubblicità viste su Facebook. Il problema è che le persone han preso a decidere il proprio voto con lo stesso processo mentale che fino a qualche anno fa serviva per scegliere il succo di frutta al mirtillo e i detersivi al bergamotto. Il problema — signori della corte — è che la gente vota a cazzo di cane, sulla base di paure, promesse, convenienze personali, notizie finte, teorie sbagliate, idee sceme di ogni forma e colore.
mussolini su facebook mussolini su facebook

Certo, è la fine delle ideologie, signora mia, lo sapevamo, è l’epoca delle opinioni personali, della valutazione soggettiva e della politica liquida (saranno finiti i politici ricchi di fibre?). L’epoca dei cittadini e non dei partiti, perché chi più di un cittadino del Wisconsin può decidere della politica estera di una superpotenza nucleare? Lo sapevamo, e ci è anche stato bene, perché così abbiamo mandato al confino i partiti, i politici e il carrozzone incomprensibile della rappresentatività.

Lo sapevamo, ma proprio per questo adesso dovremmo evitare di cercare il colpevole in chi *ruba* i vostri dati personali. I vostri dati personali, detto per inciso e fuori dall’enfatica rappresentazione che in genere ne fanno i conduttori dei talkshow, sono una montagna di merda, composta per lo più da citazioni con refusi di Fabio Volvo e foto di voi che mangiate il sushi a Pavia. I vostri dati personali non contano un santissimo cazzo. Voi non contate un cazzo.
FACEBOOK E ANZIANI FACEBOOK E ANZIANI

Non avete nulla da proteggere, e dovreste preoccuparvi di una sola cosa: informarvi, studiare, cercare di capire qualcosa prima di scegliere se votare per un imbecille. Solo questo. Se faceste questo piccolo esercizio di umiltà e di senso civico potrebbero venirvi a rubare pure la cuccia del cane e la password di Tinder e non avrebbero comunque cambiato la vostra idea politica. E la democrazia, come l’antico vaso, sarebbe stata portata in salvo.

UNA MIGNOTTA

Grandi ovazioni per il monologo della Cortellesi ai David di Donatellonma è una vecchissima catena on line dal 2006 RUBATA da Bartezzaghi che la pubblicò in un suo libro facendo i danè.
Dico io, uno dei tanti derubati da questi autori di carta, ma per un
monologo così importante, per un pubblico così importante in una manifestazione così importante
possibile che non abbiano trovato un'autrice che sapesse scrivere qualcosa di meno stantìo?
mah

MATER IGNOTA
Stefano Bartezzaghi per il suo blog su www.repubblica.it (3 maggio 2006)

Ricevo quel che pare essere un elenco che gira in rete anonimo (come nel caso del gioco dell'Ici se esce l'autore - o più probabilmente l'autrice - ne darò conto):

Fateci caso: 
Un cortigiano: un uomo che vive a corte
Una cortigiana: una mignotta

Un massaggiatore: un Kinesiterapista
Una massaggiatrice: una mignotta

Un professionista: un uomo che conosce bene la sua professione
Una professionista: una mignotta

Un uomo di strada: un uomo duro
Una donna di strada: una mignotta

Un uomo senza morale: un politico
Una donna senza morale una mignotta

Un uomo pubblico: un uomo famoso, in vista
Una donna pubblica: una mignotta

Un segretario particolare: un portaborse
Una segretaria particolare: una mignotta

Un uomo facile: un uomo con il quale è facile vivere
Una donna facile: una mignotta

Un intrattenitore: un uomo socievole e affabulatore
Una intrattenitrice: una mignotta

Un adescatore: un uomo che coglie al volo persone e situazioni
Un'adescatrice: una mignotta

Un uomo molto disponibile: un uomo gentile e premuroso
Una donna molto disponibile: una mignotta

Un uomo molto sportivo: uno che pratica diversi sport
Una donna molto sportiva: una mignotta (che pratica un solo sport)

Un cubista: un uomo che dipinge
Una cubista: una mignotta(?)

Un uomo d'alto bordo: un uomo che possiede uno scafo d'altura
Una donna d'alto bordo: una mignotta

Un tenutario: un proprietario terriero con una tenuta di campagna
Una tenutaria: una mignotta (che ha fatto carriera)

Un passeggiatore: un uomo che cammina
Una passeggiatrice: una mignotta

Uno steward: un cameriere sull'aereo
Una hostess: una mignotta

Un uomo con un passato: un uomo che ha avuto una vita, in qualche caso non particolarmente onesta, ma che vale la pena di raccontare
Una donna con un passato: una mignotta

Un maiale: animale da fattoria
Una maiala: una mignotta

Un lupo: animale feroce che vive libero
Una lupa: una mignotta

Uno squillo: il suono del telefono
Una squillo: una mignotta

Un uomo da poco: un miserabile da compatire
Una donna da poco: una mignotta

Avrei due aggiunte. Su una non sono molto convinto:
Un uomo di vita: un esuberante compagnone
Una donna di vita: una mignotta

L'altra, invece, è proprio un vero classico:
Un uomo di mondo (un mondano): un gran signore
Una donna di mondo (una monda): una mignotta

Wednesday, March 21, 2018

la parola del giorno

La parola del giorno è

Concitato

[con-ci-tà-to]
SIGN Agitato, che manifesta emozione; vivace, incalzante
da [concitare], uguale in latino da cui è recuperato come voce dotta, intensivo di [concire] o [conciere] 'eccitare, incitare', derivato di [ciere] 'muovere, agitare, chiamare'.
Per quanto sia comunemente noto e usato, questo è un aggettivo sottile e incisivo, e ha una grazia profonda che merita ragione.
Se dicessimo che è sinonimo di 'agitato' non saremmo fuori strada, anzi; ma nel concitato troviamo un movimento più complesso. Dico un movimento perché anche se l'agitato, l'eccitato, l'incitato, il concitato non evocano gesti precisi, sono qualità di inquietudine vibrante, mossa, che si declina in maniere diverse.
Se l'agitato, dentro, fuori, frigge palpita e si rivolge, il concitato colloca questa inquietudine emozionata in una situazione. Quel 'con-', al solito, è tutto: evoca insieme, relazione, e fa del concitato una manifestazione di sentimento echeggiante - ne trema l'aria. Insomma, posso essere agitato o eccitato nel pozzo astratto della mia mente, ma il concitato chiede circostanze, se non addirittura condivisione. Inoltre non si presenta in maniera direzionata: l'eccitato esonda da dentro a fuori, l'incitato a capofitto si volge in un verso - il concitato no. Il concitato, nel manifestare l'emozione agitata, echeggia, si riprende, interferisce, comunica. Tanto da diventare anche il vivace, l'incalzante, mai in un tratto singolo astratto, sempre in una dinamica viva concreta.
Ci ricordiamo il momento concitato dell'esposizione dei quadri coi voti dopo l'esame di maturità; sentendoci la pressione addosso diamo una risposta concitata prendendoci meno tempo di quanto sarebbe stato saggio fare; la ricerca concitata della chiave nella sabbia si conclude con un sospiro di sollievo; il ritmo concitato della canzone si scioglie in un ritornello ampio.
È curioso come una parola così difficile sia usata con tanta disinvoltura.
* * *


Tanfo

[tàn-fo]
SIGN Odore pesante e sgradevole
dal longobardo [thampf] 'vapore'.
Nella galassia di parole esatte che la nostra lingua ci apparecchia per gli odori sgradevoli, il tanfo è uno degli astri più luminosi.
'Tanfo' è una delle parole portate all'italiano dai Longobardi, nella lingua dei quali il suo omologo aveva il signficato di 'vapore' (peraltro dalla stessa radice trae origine il tedesco moderno Dampf, con questo stesso significato). Ora, usare il significato di vapore per intendere il puzzo è piuttosto intelligente e molto calzante: comunica in modo incisivo la natura di effluvio del puzzo, di esalazione, un passaggio di sostanze nell'aria che promanano da una fonte malsana. Ma resta da capire quale peculiare tipo di puzzo sia il tanfo (purtroppo non sarà una passeggiata fra i glicini).
Il tanfo è pesante, stagnante. Non è un odore sottile e tagliente, ma grosso, grasso, che occupa e ammorba l'aria; non è mobile e volatile, ma fermo, quasi solido - hai voglia ad aprire le finestre. Accettando e seguendo la suggestione di una vicinanza non etimologica con un'altra parola, il tanfo si allarga nel suo mezzo come un tonfo, grave, echeggiante, di cui non si sente la fine. Come il tonfo, il tanfo resta lì.
Si trova scritto nei dizionari che il tanfo è in specie un malodore di muffa, di umido, di chiuso, ma è un'osservazione esageratamente pulita: il tanfo sa essere sulfureo, batterico. La sua non è una sgradevolezza che fa arricciare il naso sensibile: è ripugnante, colpisce le viscere - concretamente o figuratamente. Le cipolle trascurate si vendicano imputridendo con un tanfo cadaverico, impallidiamo al tanfo che grava durante lo spurgo (anche se il tecnico, con vena filosofica, ci conforta dicendoci che è nulla in confronto al tanfo morale che si respira in città), e il tanfo di una compagnia ci ricorda in un attimo perché non la frequentiamo.
Grave, intenso, stagnante, permanente: caratteri d'olfatto che solo una parola potente come questa sa evocare.
* * *


Vano

[và-no]
SIGN Vuoto, cavo; incorporeo; privo di sostanza, di contenuto, d'effetto; spazio
dal latino [vanus].
Sì, il vano umido dell'ascensore, i cinque vani dell'attico di pregio, l'ampio vano portabagagli sono esiti quotidiani del 'vano' letterario. Ma andiamo con ordine.
Il vanus latino è una parola grande, che nei rapporti con parole affini - come vacare e vastus - ci fa intravedere la radice antica, indoeuropea, del vuoto. In effetti il vanus latino, come aggettivo, indicava in concreto proprio il vuoto, il cavo, il privo di contenuto o di sostanza, l'inconsistente. Giusto le prime qualità che riconosciamo nel nostro vano: se al picchiettare della nocca il muro suona vano, è meglio non tentare di appenderci la specchiera pesante, alla fine della vana merenda abbiamo ancora una fame terrificante, il cane abbaia al vano gonfiarsi delle lenzuola stese fuori.
Il passo al significato figurato è tanto breve quanto capitale, e ci rende un vano che è privo di valore, di fondamento, di corpo ideale, soprattutto di effetti fruttuosi - una vescica vuota, illusoria, o frivola. Dissipiamo la vana paura e facciamo ciò che è giusto, l'argomento vano si infrange sull'affermazione intelligente, il discorso vano ci annoia. Di qui anche il sostantivo, da accostare ciò che è inutile: il vano diluisce una bella storia, confonde una ricetta. Di qui anche la locuzione avverbiale in vano, che vale per 'inutilmente' e conosciamo meglio come invano, unito: ti chiamo invano al telefono, evidentemente lo usi solo per Instagram.
Ma il vuoto è anche spazio; e se letterariamente il vano può essere uno spazio grande e indefinito (perfino l'aria stessa), quotidianamente diventa uno spazio definitissimo, uno spazio di azione, di vita, e lo troviamo in abitazioni, contenitori, suddivisioni.
Così il vano finisce di presentarsi come una parola di spessore, di altezza poetica e di funzionalità ordinaria, che ragiona significati torniti da ogni lato.
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L. Ariosto, Orlando furioso, canto XXXIV, strofa 75

Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l'inutil tempo che si perde a giuoco,
e l'ozio lungo d'uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
i vani desideri sono tanti,
che la più parte ingombran di quel loco:
ciò che in somma qua giù perdesti mai,
là su salendo ritrovar potrai.

Questo celebre canto narra il volo di Astolfo sulla luna: il luogo dove si radunano tutte le cose perse e dove lui spera di recuperare il senno di Orlando, impazzito per amore.
E qui il tema basilare del poema, la vanità dei desideri umani, si fa esplicito: la vita è osservata da un punto di vista straniante (la luna), apparendo in tutta la sua piccolezza e futilità.
Molti autori moderni, come Leopardi o Pirandello, utilizzano tale straniamento in una chiave tragica, mostrando una vita priva di senso e costellata di delusioni.
In Ariosto però il tema ha ancora una sfumatura ludica. La vita, sembra dirci il poeta, va vissuta con leggerezza: lasciamoci trasportare dai sogni, ma senza la pretesa che si realizzino sempre; e ricordiamo che molte cose per cui ci affanniamo non sono poi così importanti. Tale leggerezza, che tanto piacerà a Calvino, non è una forma di superficialità, ma un modo per conoscere il mondo senza farsene impietrire.
L’Ariosto ci mostra così che la vita umana è piena di cose vane, che passano senza dare risultati concreti: l’amore infelice, il tempo del gioco e dell’ozio, i progetti sognati, e soprattutto i desideri. E così facendo ci invita alla moderazione e al buon uso del tempo, in modo da cogliere le occasioni prima che scompaiano.
Forse, però, il vano non è del tutto privo di valore. In fondo Astolfo scopre che le cose perse non sono mai veramente perdute. Non solo: proprio le cose piccole, vane e sciocche fanno vivere la narrazione. Senza i pazzi desideri dei personaggi il poema non sarebbe tanto affascinante; anzi, non sarebbe neppure cominciato. E lo stesso si può dire, del resto, per la vita stessa.
Perciò nell’ironia di Ariosto c’è anche una certa tenerezza verso quei piccoli esseri umani che, malgrado tutto, sperano sempre, tentano tutte le strade per essere felici. Il che, in fondo, è una forma di grandezza.
* * *



Deiscenza

[de-i-scèn-za]
SIGN In botanica, proprietà di certi apparati vegetali di aprirsi spontaneamente; in medicina, riapertura di una ferita suturata
da [deiscente], voce dotta recuperata dal latino [dehiscens], participio presente di [dehischere] 'spaccarsi, aprirsi'.
Ancora una volta siamo davanti a una parola poco nota che significa qualcosa di ben noto, quotidiano, e tanto suggestivo. (Scoprire questo genere di parole dà un gran letizia.)
Pensiamo al fico maturo, che sensualmente si fessura e ci invita a coglierlo prima che vi entrino le vespe; pensiamo al baccello che si squarcia appena, lasciando intravedere le fave al suo interno. Questa è la deiscenza. La proprietà che hanno certi apparati vegetali chiusi di aprirsi spontaneamente: se il verbo 'deiscere' ci suona desueto, ce la possiamo far suonare come un'ipotetica 'aprenza'. Peraltro non è una parola che vive propriamente solo in botanica, ma anche in medicina, dove meno simpaticamente diventa la riapertura della ferita che era stata suturata: la deiscenza del taglio ricucito è una complicazione post-operatoria, l'assoluto riposo scongiura la deiscenza. Ora, come s'immagina una suggestione del genere invita dei significati figurati: per esempio il detto verbo 'deiscere', oltre ai singificati di 'aprirsi, spalancarsi', aveva anche quelli di 'stupirsi, meravigliarsi' - aperture delle più belle e profonde. E anche se quel ramo è ormai secco, possiamo trarne ispirazione.
Possiamo parlare della deiscenza di una curiosità, naturalmente allargata da un'esperienza eccitante; della deiscenza di un'idea matura che si spalanca a spargere semi; della deiscenza della persone timida che finisce per aprire la sua intimità; di come il lavoro paziente, senza fretta, attende sicuro la deiscenza di una realizzazione.
Questo è il potere della deiscenza: significare un'apertura spontanea, volentieri fertile. Non è di certo la parola che usiamo più spesso, ma significa un fenomeno, una proprietà che è ben presente nella nostra osservazione del mondo - ed è bello avere una parola così esatta.
* * *


Acquiescente

[ac-quie-scèn-te]
SIGN Remissivo, accondiscendente
dal latino [acquiescens], participio presente di [acquièscere] 'acconsentire', composto di [ad-] 'a' e [quiescere] 'riposare'.
Questa parola formidabile comunica un concetto con una sfumatura di un'esattezza prodigiosa. Quando si dice che la nostra è una lingua raffinata parliamo anche di casi come questo.
Per apprezzare questa raffinatezza va notato che l'acquiescente (è difficile anche scriverlo) ha una galassia di sinonimi: remissivo, accondiscendente, arrendevole, conciliante, accomodante, docile, sottomesso, e via e via. Ma il remissivo si rimette al volere altrui, l'accondiscendente vi aderisce, l'arrendevole alza le mani e cede, il conciliante e l'accomodante ne convengono, il docile e il sottomesso vi ubbidiscono. L'acquiescente ci parla invece di quiete.
Ce ne parla in una maniera precisa: il verbo latino quiescere è un incoativo, cioè descrive l'iniziare di un'azione - in questo caso l'acquietarsi, il calmarsi. Così l'acquiescente ci si presenta come la qualità di chi si sta volgendo alla quiete, e in particolare di chi, entrato in contatto con una volontà esterna, ne è tranquillamente persuaso, serenamente convinto, senza l'increspatura di un'obiezione, senza un pensiero ruvido o dissonante.
Un factotum acquiescente ai capricci dell'artista serve a costruire il personaggio; ci mostriamo cortesemente acquiescenti a una decisione, intendendo scambiare il nostro favore presente per un altro futuro; l'erede si dichiara acquiescente a volontà testamentarie bizzarre; per la piacevolezza della compagnia siamo così poco interessati al menu che ogni vivanda proposta ci trova acquiescenti; e dopo tanto crucciato pensare optiamo acquiescenti per l'articolo che ci ha consigliato il commesso suadente.
Nel bene o nel male, l'acquiescente è uno specchio d'acqua che si calma come se un immissario ne smorzasse l'agitazione. Non è certo un'immagine grossolana. E si vede in maniera lampante quale sia la differenza con ogni altro suo sinonimo.
* * *