Wednesday, March 24, 2021

ASPARIZIONE

 

Asparizione

Parole d'autore

A-spa-ri-ziò-ne

Significato Comparsa di qualcosa seguita quasi simultaneamente dalla sua scomparsa; paradossale manifestazione di una cosa nella sua assenza

Etimologia Incrocio di 'apparizione' e 'sparizione', coniato da Giorgio Caproni in Il franco cacciatore (1982) e ripreso nel Conte di Kevenhüller (1986).

Questa , diciamolo subito, non si trova nei vocabolari; eppure è così evocativa, nella sua , che è un peccato lasciarne a Caproni l’uso .

Il suo significato a prima vista è elementare: una cosa appare giusto il necessario per essere intravista. È un’asparizione quella dell’uccellino che ci frulla di fianco sul sentiero di montagna, o quella del passante che ci supera frettoloso in una giornata di nebbia.

Ma le asparizioni possono verificarsi anche se siamo soli in una stanza vuota. Per esempio quando nel nostro pensiero i tanti ‘io’ che ci compongono: le persone che ciascuno di noi è stato nel passato, quelle che avrebbe potuto essere, quelle che desidera o teme di essere. Tale è appunto l’oggetto di Oh cari, la prima delle poesie del Conte di Kevenhüller che Caproni intitola Asparizioni.

Se poi fossimo di umore particolarmente meditativo, potremmo anche interpretare ogni elemento della vita come un’asparizione, creata e subito disfatta dal rapido divenire del tempo. È la riflessione insita in molte poesie di Caproni, che mettono a nudo l’inconsistenza delle cose: “Dalle crepe / del nulla, filtravano / nell’apparenza” (Pasqua di Resurrezione).

D’altra parte 'asparizione' possiede anche un diverso significato: è la comparsa di qualcosa proprio in virtù della sua assenza. Può sembrare un concetto ma, nella realtà, è comunissimo.

Tutte le mattine il signor Rossi esce per andare al lavoro e passando scambia un saluto con la portinaia. La scena si ripete ormai da anni in automatico. Un giorno però la portinaia resta a letto con l’influenza; ed ecco che, all’improvviso, il signor Rossi vede l’assenza della portinaia. Proprio per il fatto di non esserci, lei è assai più presente del giorno prima.

L’asparizione può avere anche un volto drammatico, purtroppo noto a chiunque abbia subìto un lutto. Ci sono momenti in cui il vuoto diventa quasi tangibile: basta un attimo – un odore associato a un certo ricordo, un’esperienza che in altri tempi si sarebbe – e la persona mancante ‘aspare’ davanti a noi, dolorosamente irraggiungibile.

Le raccolte mature di Caproni, fino alla Res amissa (la “cosa perduta”), si incentrano proprio su questa dinamica, salvo che l’oggetto dell’asparizione è di natura ben più misteriosa. Neppure il poeta sa bene di cosa si tratti: forse è Dio, forse è l’essenza profonda delle cose (quella che Kant chiamava il noumeno). L’unica certezza è che al centro dell’esistenza c’è un vuoto, qualcosa di innominabile che brilla per la sua assenza. Nulle sono, parrebbe, le possibilità di raggiungerlo; perciò la sua mancanza irradia un’artigliante disperazione.

la parola di Caproni ha un’ultima sfumatura da regalarci. Forse la “cosa perduta” non è realmente assente: i nostri occhi sono incapaci di coglierla, per questo ci appare come uno spazio vuoto o, al massimo, come qualcosa di ai margini del campo visivo.

Proprio l’asparizione allora potrebbe essere la modalità con cui si la “cosa perduta”, che può essere trovata solo da chi non pretende di catturarla. Almeno così suggerisce l’ultima delle Asparizioni, Versi controversi,: “Godilo e non lo cercare / se non vuoi perderlo… / […] Là in fronte / a te, anche se non lo puoi arrivare… / Negalo, se lo vuoi trovare… / … / Non lo nominare…”

TIRTAICO

 

Tirtaico

tir-tài-co

Significato Di Tirteo, poeta greco del VII secolo a.C.; che esorta al valore militare e civile, di ispirazione eroica

Etimologia dal nome di Tirteo, Tyrtâios in greco.

Questo è uno dei giorni in cui ci dobbiamo assicurare che i moschettoni siano fissati bene, perché si scala in cordata una parete . Partiremo da una figura quasi leggendaria dell'antica Grecia, guarderemo nella dei nazionalismi, saluteremo Goethe e arriveremo alle canzoni suonate al momento giusto. La parola pare e letteraria, ma il concetto è popolare come poche altre cose possono esserlo.

La chiave di tutto è una persona vissuta nel VII secolo a.C.: Tirteo. Gli storici hanno messo in serio dubbio quanto di lui si riporta nelle fonti tradizionali (oltretutto non univoche), e la verità è coperta da molti veli — ma qui, come sappiamo, non ci interessa, e per un motivo molto semplice: il significato di un', di una parola che nasce dal nome di una persona, si coagula nella sua leggenda , non nella verità storica.

Seguiamo la narrazione più suggestiva e perciò più famosa. Gli Spartani erano in guerra contro i Messeni, altri abitanti del Peloponneso. In una guerra precedente, gli Spartani li avevano soggiogati e resi schiavi, ma dopo una sessantina d'anni, sostenuti da Argo (altra città del Peloponneso) si erano ribellati, e avevano mosso guerra contro Sparta — che si ritrovò in una situazione non facile: i suoi tempi come superpotenza dovevano ancora venire. In questi casi, come ognun sa, c'è una sola cosa da fare: andare a chiedere consiglio all'Oracolo di Delfi. E l'Oracolo suggerì agli Spartani di chiedere un condottiero ad Atene.

Figuriamoci se gli Ateniesi avevano ad aiutare seriamente Sparta, ma non potevano contrariare l'Oracolo, e mandarono quindi la persona che immaginarono peggiore per ricoprire quel ruolo: Tirteo, un uomo che diverse versioni ci riportano come zoppo, , variamente deforme — o perfino, il colmo!, insegnante di . Ma era soprattutto un poeta.

vuole che Tirteo componesse canti di . Canti che erano in grado di accendere non eroismi singolari di , ma l'eroismo collettivo di chi combatte per la propria comunità. Dopo aver perso battaglie importanti, coi canti di Tirteo Sparta vinse la guerra.
Ne sono rimasti pochi brani, ma ad esempio sono suoi questi famosi versi (che suonano così nella traduzione di Pontani):

Giacere morto è bello, quando un prode lotta
per la sua patria e cade in prima fila.
[...] nulla c’è che non s’addica
a un giovine finché la cara età brilla nel fiore.
Da vivo, tutti gli uomini l’ammirano, le donne
l’amano, cade in prima fila: è bello.
Resista ognuno ben piantato sulle gambe al suolo,
mordendosi le labbra con i denti.

Tirteo, con la riscoperta moderna del greco antico, ebbe una nuova inattesa fortuna. Non è un autore che sieda nell'alto consesso della letteratura per la finezza lirica della sua arte — anche fra gli antichi Greci non è Archiloco, non è Saffo. E però quella sua arte riusciva a suscitare, raccogliere e indirizzare l'energia umana di una virtù accesa — testimoniandola nel suo tratto più violento, quello militarista, sanguinario. Un tratto, sappiamo, sempre amato. Il suo nome iniziò già dal Seicento a equivalere a poeta che inneggia al valore militare.

Le traduzioni di Tirteo fra Sette e Ottocento sono spesso compiute con trasporto e intento politico. Il tirtaico, nell'epoca romantica dei nazionalismi, prende il profilo di quel connotato artistico capace di all'amor e all', capace di pervadere di una ispirazione eroica. L'epica sa accendere, ma i suoi fini sono variegati: il tirtaico usa l'epico per agire direttamente sul sentimento. Nelle parole di Benedetto Croce, che secondo lui avrebbe usato Goethe, la letteratura tirtaica è quella «che incoraggia e rafforza gli uomi­ni nelle battaglie della vita». Così, negli anni '20 del Novecento, il tirtaico fa la sua prima in italiano.

Capiamo bene che una portata di significato del genere non si limita a contenuti e situazioni marziali — e anzi, se ne allontana sempre più. L'arte che incita al e al valore, anche nelle sue declinazioni civili, popola le nostre vite e ne fruiamo con . Pensiamo alle narrazioni tirtaiche sulla lotta alla mafia, alle canzoni tirtaiche che ci fanno sentire più stretti, più uniti, allo spettacolo tirtaico che ti fa alzare alla fine, con tutte le altre persone, acceso al meglio.

Questa parola è difficile perché Tirteo è una figura della cultura occidentale. Ma nella sua mutevole spiega un cambio di passo essenziale — la sua essenza determinante. Gli eroismi di Omero sono ciascuno guidato da diversi, gli eroismi di Tirteo sono l'eroismo di una creatura unita.