Thursday, December 19, 2019

CRUSCA STRAFALCIONI 2019

I rilievi della Crusca. Ceretta al linguine e cortelli affilati, ecco gli errori di grammatica più comuni

Oltre alle regole dell’Accademia della Crusca, svarioni e inesattezze sono stati raccolti In occasione della settimana della lingua italiana nel mondo, ecco i risultati più buffi di un’inchiesta sull’uso del nostro idioma



Non solo Crusca

Non solo i rilievi dell’Accademia della Crusca, che arrivano puntuali a mettere i confini della correttezza della nostra lingua. Gli errori di grammatica più comuni sono oggetto di studio da diverso tempo. Qualche mese fa, in occasione della Settimana della lingua italiana nel mondo, il sito Libreriamo.it ha condotto un’indagine per capire quali sono i principali errori grammaticali che commettono gli italiani su un campione di circa 8.000 persone di età compresa tra i 18 e i 65 anni. L’indagine è stata realizzata con la metodologia WOA (Web Opinion Analysis), cioè attraverso un monitoraggio online sulle principali testate di settore, social network, blog, forum e community dedicate al mondo della cultura e su un panel di 30 esperti tra sociologi e letterati . Ecco i principali inciampi rilevati:
 
 
 

Il congiuntivo questo sconosciuto

«L’importante è che ho superato l’esame». Siamo sicuri? Chi parla infatti non supera l’esame di grammatica perché avrebbe dovuto usare il congiuntivo: «L’importante è che io abbia superato l’esame». L’uso dell’indicativo al posto del congiuntivo è un errore molto diffuso: lo fanno il 69 per cento degli intervistati.
 
 
 

Gli o le?

«Gli ho detto che era molto bella». Ahi ahi, era meglio tacere in questo caso: non perché la signora non meritasse un complimento alla sua femminilità ma perché avrebbe richiesto l’uso del pronome «le». I pronomi tradiscono (e vengono traditi) dal 65 per cento degli intervistati.

Evaquiamo l’edificio

«Bisogna evaquare l’edificio»: se è così, meglio correre. Salvare delle vite umane è più importante che salvare la grammatica. Poi però magari, quando l’allarme sarà rientrato, rimettiamo la c al posto della q, per favore. In questo modo avremo reso un servizio profiquo (no, no no: proficuo con la C!) alla lingua italiana. L’uso della C al posto della Q e viceversa è un altro errore molto diffuso (58 per cento)


Qual’è o qual è?

Qual’è l’errore più comune? Questo. Lo commettono tre italiani su quattro fra quelli intervistati (il 76 per cento). «Qual è» infatti si scrive senza l’apostrofo. 


Ne o né

«Non né ho parlato con nessuno». E meno male! Perché la grafia giusta è: non ne ho parlato con nessuno. L’accento si usa solo quando si tratta di una congiunzione negativa mentre in questa frase ha valore pronominale (sta per : di ciò, di questo).



Un po’ o un pò?

Apocope
La grafia più diffusa è un pò con l’accento purtroppo (39 per cento). Mentre quella corretta è con l’apostrofo in quanto po’ è il risultato di un troncamento (sta per «poco»).



Daccordo o d’accordo?

La seconda che hai detto (ma un italiano su tre - il 31 per cento - purtroppo non è d’accordo (e lo scrive senza l’apostrofo!)



Ceretta al linguine

Il 13 per cento degli intervistati poi scrive: «Ho fatto la ceretta al linguine». Ah, sì? Speriamo che non ti abbia fatto male come all’ortografia. La grafia corretta infatti è «all’inguine». Perché di quello si tratta: della «parte anteriore del corpo, corrispondente alla giunzione tra il tronco e gli arti» (dizionario Sabatini Collettini). Mentre le linguìne, plurale di linguìna, sono - come noto - una «pasta alimentare piatta e lunga».
 
 
 

Avvolte si arrabbia

Il 27 per cento degli intervista scrive: «Avvolte si arrabbia». E fa bene, la povera lingua italiana, ad arrabbiarsi, perché a volte, anzi sempre, sarebbe meglio usarle un po’ (con l’apostrofo) più di riguardo.
 
 
 

Pultroppo o purtroppo?

Quasi un intervistato su quattro (l 23 per cento) scrive «pultroppo» con la elle, purtroppo.



Proprio o propio?

«Ti voglio propio bene». Io di più, perché ci metto anche la «erre». Due italiani su dieci (il 19 per cento) invece lo scrivono così.
 
 
 

Il cortello dalla parte del manico

Se volete avere il coltello dalla parte del manico meglio che non usiate la «erre». «Cortello» è un altro degli errori in cui incorrono più di frequente gli italiani intervistati (15 per cento).


Friday, December 06, 2019

PESSIMISTA COSMICO

In conferenza stampa il premier Giuseppe Conte commenta alcune dichiarazioni di Matteo Renzi che dava probabile al 50% una crisi di governo prima della fine della legislatura:
 "E' un pessimista cosmico"


1819/1927 – In questo periodo Leopardi, partendo dalla riflessione sull’infelicità, elabora una “teoria del piacere” secondo la quale “l'amor proprio”, cioè l’amore che ogni persona ha per se stessa è anche la causa della sofferenza; infatti questo amore ci porta a desiderare un piacere infinito, destinato a non poter essere mai interamente soddisfatto e perciò a generare tormento. Scrive nello Zibaldone:

[…] Il vivente... desidera il bene senza limiti. Questo bene in sostanza non è altro che il piacere. Qualunque piacere ancorchè grande... ha limiti... Quindi nessun piacere può soddisfare il vivente... Dunque questo desiderio stesso è cagione a se medesimo di non poter essere soddisfatto (12 febbraio 1821).

Il fallimento dei moti liberali del 1821 mette in dubbio la speranza di Leopardi che sia possibile recuperare una qualche antica felicità attraverso l’impegno civile. Anche per questo la sua attenzione si sposta dal tema della felicità che non si può raggiungere a quello dell’infelicità che non si può evitare.
La conclusione a cui arriva è chiamata “pessimismo cosmico”: anche se l’uomo riuscisse a raggiungere il piacere, questo non compenserebbe mai i mali – la malattia, la vecchiaia e la morte – a cui la Natura lo ha destinato. Dio non esiste, tutto è meccanico e casuale; l’uomo è una delle tante creature che abitano la terra e la Natura non è guidata da un disegno benevolo, non ha a cuore la felicità dei viventi – uomini o animali che siano – ma mira solo a perpetuare l’esistenza del cosmo 
 
 

PENETRAZIONE ASCELLARE

La Sessuologa Rosamaria Spina è intervenuta nel corso del programma “Genetica Oggi” condotto da Andrea Lupoli su Radio Cusano Campus, riguardo il tema del sesso "non penetrativo" e delle pratiche alternative.

Sesso alternativo, parla la sessuologa Rosamaria Spina: "Sempre meno giovani fanno sesso. Ci sono pratiche alternative come la masturbazione reciproca. Alcune persone optano per la penetrazione ascellare, è come se l'incavo simulasse una vagina".

"Dai dati recenti sappiamo che tutte le pratiche legate al sesso con penetrazione sono in forte calo fra i giovani. E' un dato 'allarmante' che però ci fa capire come oggi i giovani considerano il sesso. Da un lato la pornografia ha contribuito in questo creando delle forti aspettative legate alle dimensioni del pene, alla durata della prestazione, che hanno portato i giovani ad un ansia eccessiva nei confronti del sesso fino a farli fuggire dallo stesso."


[à-men]
SIGN Parola che, pronunciata alla fine di molte preghiere, significa ‘così sia’, come sostantivo può voler dire ‘attimo, momento, fine, termine’. Spesso usata per terminare un discorso in modo netto
parola derivata dall'avverbio ebraico [āmēn], 'in verità, certamente'.
…et in saecula saeculorum amen. Non stiamo tanto a girarci intorno, prendiamo due valigie e amen. A che punto state con il progetto? Non ti preoccupare, siamo all'amen.
Una parola semplice, che apprendiamo sin da piccoli, che si vada ad imparare il catechismo, o in moschea o in sinagoga. Già, perché amen è una formula comune alle tre grandi fedi monoteiste. «Amen, amen dico vobis…»


[au-spì-cio]
SIGN Nell'antica Roma, divinazione tramite l'osservazione di eventi naturali, specie il volo degli uccelli; protezione, patrocinio; pronostico, presagio
voce dotta recuperata dal latino [auspicium], da [auspex] 'che osserva il volo degli uccelli', composto di [avis] 'uccello' e [spècere] 'guardare'.
Prendendo in mano questa parola, ricercata ma a buon mercato, torniamo a parlare di antiche pratiche divinatorie. E ci torniamo in un modo buffo, perché il senso con cui la intendiamo è particolarmente pulito rispetto alla portata che il fenomeno aveva nell'antica Roma.
L'auspicio è propriamente la divinazione compiuta da un sacerdote, l'àuspice, che in base all'osservazione di alcuni eventi naturali poteva determinare il favore o lo sfavore della divinità rispetto a un atto da compiere o compiuto.


CHE MONDO E’ SENZA NUTELLA? "CI SONO DENTRO LE NOCCIOLE TURCHE, NON LA MANGIO PIU’. PREFERISCO AIUTARE LE AZIENDE CHE USANO PRODOTTI ITALIANI” - IL LEADER DELLA LEGA SCATENATO IN UN COMIZIO A RAVENNA. LA BATTUTA A UNA SIGNORA: “NON HO FREDDO, STO BENE. POI MANGIO PANE E SALAME E DUE SARDINE E STO ANCORA MEGLIO" 

 

il frotteurismo

il frotteurismo 
è una di quelle che vengono considerate ancora oggi una delle più frequenti. Consiste nello strusciarsi sia rispetto ad oggetti che indumenti, come quelli intimi. Lo sfregarsi su qualcosa porta a piacere sessuale. Nel frotterismo i genitali non si strusciano quasi mai sul partner ma appunto su oggetti e tessuti: su della biancheria intima, sui braccioli di una sedia o di una poltrona e su tutto ciò che può aiutare lo sfregamento fino a raggiungere l'orgasmo. E' una pratica sia maschile che femminile ed è una stimolazione molto potente."

frotteurismo 4

Thursday, December 05, 2019

RETROSCENA PRIVO DI FONDAMENTO



 retroscena privo di fondamento

Quanto riportato nel retroscena in questione è del tutto privo di fondamento. I rapporti tra Beppe Grillo e Luigi Di Maio sono ottimi, confermati dall’ultimo incontro a Roma. Non c’è stato alcun contatto telefonico in questi giorni e quanto riportato è evidentemente frutto di una campagna denigratoria volta ad attaccare e screditare il capo politico M5S, che gode della massima stima e fiducia di Beppe Grillo. A dimostrazione di ciò, l’ultimo video in cui il garante ha nettamente ribadito il proprio sostegno all’azione del capo politico Luigi Di Maio.
Staff Di Maio




[gal-le-rì-a]
SIGN Passaggio scavato attraverso una montagna; passaggio sotterraneo; passaggio coperto; ambiente in cui vengono esposte opere d'arte; collezione; nei teatri, loggione, balcone che sovrasta la platea; loggiato
dal francese [galerie], forse dal latino medievale [galilaea] 'portico, atrio di una chiesa', dal nome della [Galilea], regione della Palestina.


[in-fir-mà-re (io in-fìr-mo)]
SIGN Indebolire, invalidare
voce dotta recuperata dal latino [infirmare], da [infirmus], derivato di [firmus] 'saldo, fermo', con prefisso [in-] negativo.
Se si parla di persone inferme e di infermità, (come anche di infermieri e infermerie) sappiamo tutti di chi e che cosa stiamo parlando. Sono voci che, in tempi diversi ma comunque agli albori dell'italiano, scaturiscono dall'adattamento dell'antico termine latino infirmus, 'non saldo', e si sviluppano quindi intorno a un nocciolo di debolezza, fisica o mentale ma sempre patologica (la grande fatica non mi lascia infermo).

[bràn-ca]
SIGN Zampa di animale dotata di artigli; mano pronta a ghermire, avida; di strumenti che servono per stringere, ciascuna delle due parti che li compone; ramo; rampa di una scala; suddivisione, settore di una scienza o di un'attività
dal latino tardo [branca] 'zampa', forse di origine gallica, dall'ipotetica voce [branka] 'braccio'.
Certi usi pacifici nascondono dei trascorsi combattuti. Ad esempio, parlare di una 'branca del sapere' ci sembra normale, anzi perfino elegante, eppure si tratta di un uso non solo comparso in epoca recente (si parla dell'Ottocento a fronte di una storia continua) ma fieramente osteggiato. Già perché si tratta di un uso sviluppato in francese, che dà un senso diverso e nuovo a un'immagine delle più affascinanti e spaventevoli.

RENZI INCELLOFANA CONTE: ITALIA VIVA PRESENTERÀ UN SUB EMENDAMENTO CHE ABROGA LA PLASTIC TAX E QUELLA SULLE AUTO AZIENDALI. IL PARTITINO DI MATTEUCCIO HA ABBANDONATO I LAVORI IN COMMISSIONE 

 


Wednesday, November 27, 2019

incondito bigotto

[in-còn-di-to]
SIGN Privo di grazia, scomposto, grossolano
voce dotta recuperata dal latino tardo [inconditus] 'scomposto, disordinato', derivato di [cònditus], participio passato di [còndere] 'ordinare, comporre', con [in-] negativo.
Davanti a questa parola si hanno tutta l'emozione e le perplessità che si possono avere davanti a una parola ricercata, dotta, letteraria (che significato penetrante, ma la userò mai?). Eppure alcuni suoi parenti li conosciamo bene: qualcuno addirittura fa parte del nostro lessico fondamentale, e alla fine l'incondito è una parola più nostra di quanto ci potrebbe parere di primo acchito.
Il verbo latino còndere era (è) un verbo enorme. Un suo significato famoso è quello di 'fondare una città' 


[a-ne-stè-ti-co]
SIGN Che riguarda l'anestesia; di farmaco, che abolisce la sensibilità al dolore; che calma un dolore
da [anestesia], che è dal greco [anaisthesía] 'mancanza di sensazione', derivato di [áisthesis] 'sensazione', con [an-] privativo.
Il trattamento estetico ci rende più belli (forse), invece quello anestetico serve a levarci la sensibilità al dolore, e solo talvolta ci rende più brutti (come quello che facciamo dal dentista e che ci lascia la bocca storta per qualche ora). Perché, qual è il rapporto fra 'anestetico' ed 'estetico'? Rispondendo a questa domanda si possono capire meglio entrambe le parole, parenti che hanno preso strade molto diverse: una si è iscritta a medicina, l'altra a filosofia.
L'anestetico fa la sua comparsa in italiano tardi; in quegli anni la capitale del Regno è Firenze. Ma era già da una cinquantina d'anni che si parlava di anestesia, ossia dell'eliminazione temporanea della sensibilità al dolore 


[bi-gòt-to]
SIGN Chi, che mostra una religiosità esteriore, acritica e intransigente
attraverso il francese [bigot], dall'esclamazione normanna [bî Got] 'per Dio'.
Bigotto, bacchettone, beghino, baciapile, pinzochero, collotorto, paolotto, picchiapetto, leccasanti, spigolistro. Al solito, il lessico dell’ingiuria è decisamente prolisso. Ma tra tanti epiteti, nessuno che associ una religiosità più ostentata che intimamente vissuta al fatto di portare i baffi. Pertanto, imbattendoci nella parola spagnola bigote, che significa appunto “baffi”, diamo per scontato che l’assonanza col nostro bigotto sia puramente casuale. Ma che gusto ci sarebbe, se così fosse?

OSCURANTISMO CINICO


L’orda barbarica dei nuovi cinici. Un patto semi-inconscio lega bugiardi e ingannati. Il tramonto della verità secondo il filosofo Sloterdijk

di Carmine Castoro
Cultura
Peter Sloterdijk
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Quando c’è una deliberata volontà di ingannare il prossimo e di seminare il suo percorso conoscitivo di inciampi e sprofondi siamo di fronte alla classica bugia. Ma l’uomo è anche naturalmente preda di un regime delle apparenze che lo allontana spesso dall’apprensione della verità: questo è l’errore, nel senso del cammino erratico senza un porto, senza un traguardo saldo, garantito invece da ancoraggi metafisici di cui, nei credi religiosi e teo-politici, si fanno portavoce i “pochi”, gli eletti, quelli pronti ad immolarsi per riportare in terra la luce della rettitudine e dell’obbedienza all’Eterno.
Ma poi c’è un terzo livello, un patto semi-inconscio che unisce il mendace e l’ingannato, in una spasmodica ricerca di “idoli suggestivi” che convergono in “illusioni edificanti”. Ecco avanzare “l’onda dell’oscurantismo cinico” che fa a meno di ogni utopia, usa ogni frusta per imporre modelli che si elidono a vicenda e la spregiudicatezza amorale meno incline al dubbio solo per affermare se stesso in una lotta continua al sistema fintamente impavida, ma in fin dei conti auto-protettiva e auto-remunerativa.
Dobbiamo a Peter Sloterdijk, una delle personalità filosofiche contemporanee più eminenti a livello mondiale, e a questo suo nuovo gustosissimo pamphlet Falsa coscienza. Forme del cinismo moderno (Mimesis, pagg. 58, euro 5), l’icastica trigonometria che ci fa scremare il tema generalista e sdoganato del fake trovando sedimentazioni storiche e teoretiche interessantissime, già anticipate sin dagli anni ‘80. Se è vero, insomma, che il popolo vuole essere ingannato, lo farà oggi predisponendosi a qualsiasi pseudo-certezza che gli arrivi dall’alto di governanti senza morale.
E anche dal basso di una forza sfrontata, ugualmente priva di idealismi e sensi di colpa, che sa di sopravvivenza in un’epoca che Sloterdijk vede segnata dalla retorica terroristica, dall’ondata delle fosforescenze internettistiche dove “essere e presenza mediatica” sono tutt’uno e “il valore di verità di un contenuto postato on line è inversamente proporzionale al numero dei suoi recettori”, e da un populismo dilagante che assolve tutti dal parlare e dal rivendicare senza regole precise. Per cieca rabbia. Deposti i saperi figli del periodo fra le due Guerre dove il “nemico” c’era ed era oggettivo, il Cinismo scende in campo e si auto-pone con la follia del rivoluzionario, la trascendenza parodistica del surrealista e la volontà di potenza dell’impostore senza scrupoli e senza missioni. Vi viene per caso da pensare a qualche ducetto mangia-nutella o a qualche tele-santa del gregge realitystico?

Tuesday, November 26, 2019

GRIMORIO RESTIO ZECCA...

[gri-mò-rio]
SIGN Libro magico, manuale per evocare demoni e spiriti; libro esoterico
probabilmente attraverso l'inglese, dal francese [grimoire], da [grammaire] 'grammatica', ma anche 'incantesimo'.
Parola fra le più serie, e auliche, e forte di una suggestiva storia millenaria... ma non in italiano. Può stupire, ma non si trova registrata sui dizionari, e il suo uso, oggi largo e diffuso, non ha più di una ventina d'anni, con qualche sporadico precedente in traduzioni dall'inglese e dal francese


[re-stì-o]
SIGN Di animale da tiro o da soma, che non vuole procedere; di qualcuno, che è riluttante a fare qualcosa
dal latino [restare] o [resistere].
Questa parola ha una sorte interessante. Infatti i caratteri dell'immagine da cui parte vengono profondamente trasformati nell'uso che ne facciamo di solito.
È una voce ereditaria, che ci arriva per via popolare dall'antico latino parlato. Si tratta probabilmente del risultato di una derivazione alterata da restare o, secondo alcuni, da resistere.


[zéc-ca]
SIGN Acaro ematofago vettore di diverse malattie; stabilimento statale dove si stampano banconote, si coniano monete, si producono valori bollati
nel primo significato, dal longobardo [zëkka], legato ad una radice di ceppo germanico occidentale [tik] che significa ‘pungere’; nel secondo dall’arabo [sikka] che significa ‘conio, stampo per battere monete’.
Di zecche ne esistono due. La prima è perniciosa e minuscola ed il suo nome proviene dal longobardo zëkka e se la trovi addosso al tuo cane bisogna far bene attenzione a staccarla con delle pinzette speciali. La sua prima attestazione in italiano risale al XIII secolo. Interessante notare come in tedesco la parola sia così simile a quella italiana, zecke. C’è questa radice germanica, tik, che è associata al verbo ‘pungere’ e che ha avuto un’interessante diffusione: ha dato infatti vita a zecke in tedesco, zecca in italiano, tique in francese, tick in inglese; non stupisce, visto che nel passato questo minuscolo essere è stato causa di alcuni dei più micidiali flagelli come il tifo, la febbre tifoide, encefaliti… tutte le lingue unite contro quel fatale morso della creaturina ematofaga! La seconda zecca, invece, riguarda il denaro e, come molti termini antichi legati al commercio e agli scambi, ha origine araba. La sua radice è s – k – k
Questa parola in particolare è entrata in italiano grazie alla dominazione araba in Sicilia: già in documenti del XIII secolo compare infatti il termine ‘sicla’, usato per indicare l’edificio dove si battevano monete. Il passo da ‘sikka’ a ‘sicla’ è ancora sotto esame da parte degli accademici, in ogni caso la parola si diffuse piano piano nella penisola, salendo in latitudine fino ad arrivare in Toscana nel XIV secolo. Oggi la usiamo sia per indicare il luogo fisico dove il denaro è prodotto, sia in espressioni un po’ cristallizzate come ‘nuovo di zecca’ o ‘oro zecchino’. Lo zecchino fu una moneta d’oro battuta a Venezia, 


[sìl-lo-ge]
SIGN Antologia di scritti significativi di uno o più autori; raccolta di scritti scientifici in onore di un autore
voce dotta recuperata dal greco [syllogé] 'raccolta', derivato di [syllégo] 'raccogliere insieme', composto da [syn] 'insieme' e [légo] 'raccogliere'.
Questa parola appartiene a un registro davvero molto elevato. In realtà è in buona compagnia di sinonimi aulici — dal florilegio alla crestomazia — ma rispetto a questi, che sono tutto sommato desueti, si è ricavata delle nicchie molto interessanti.


[ca-sti-ga-màt-ti]
SIGN Strumento che punisce con efficacia e rimette in riga, specie un bastone; persona che con dura autorità sa piegare all'obbedienza
composto dall'imperativo di [castigare] e da [matto].
Nel leggere i significati di questa parola sorgono delle perplessità. Il riferimento ai matti è evidente, quindi il fatto che moltissimi dizionari, anche di pregio indiscusso, affermino che in primis si tratta del bastone che veniva usato nei manicomi per domare

Friday, September 20, 2019

KINTSUGI



C'era una volta...
Un re! Diranno subito i miei piccoli lettori
E invece no. Avete sbagliato, c'era una volta una scodella di terracotta. Non era una terraglia di lusso ma una di quelle tirata via alla buona e poi messa in vendita sui banchetti di fianco al Tempio d'Apollo, per gabbare i turisti di bocca buona che cercano qualcosa a poco prezzo che non faccia troppo volume nel bagaglio a mano durante il viaggio di ritorno, in quel paesino con troppo poco sole dove lo piazzano nel centro del tavolino dove si appoggia il servizio da tè da servire agli amici...
Non so come esattamente andassero i fatti, ma sembra che uno di questi giovani turisti, uno di quelli che vedi in giro con lo zaino in spalla, i calzini bianchi corti dentro grossi sandali da montagna e sempre con una grossa bottiglia d'acqua per le mani, che forse gli sembra che possano rimanere esausti spossati e distesi sul ciglio della strada senza un cristiano che gli porti un bicchier d'acqua...
insomma, per fartela breve, lei aveva comprato questa piccola scodella smaltata di bianco all'esterno mentre all'interno correvano delle greche elementari tutte intorno ad un fiore centrale, stilizzato, azzurro, una parodia dell'arte della ceramica siracusana con pezzi dipinti con arzigogoli così antichi che solo a guardarli ti pare di sentire le grida greche dell'agorà. Che in realtà ci sono perchè oggi si chiama mercatino di Ortigia, le grida ci sono, hanno sostituito i canti con cui i fruttivendoli di una volta invitavano i passanti a comperare, ma le grida ci sono ancora...
Lei aveva comperato un sacchetto di pistacchi siciliani là in fondo al mercato poco prima di sbucare di fronte al mare di fianco alla bottega dei Borderi, rumorosi venditori d'olio, formaggi e di panini assortiti che mentre servono le persone gridano, cantano, ballano andando in giro a far assaggiare le loro prelibatezza in uno scintillìo di dolce sicilia che affascina i turisti che arrivavano a frotte. Il venditore di polveri, invece se ne stava in silenzio in fondo al suo carretto pieno della sua mercanzia in una pianura di colori fatta a scacchiera, con le polveri più sopraffine, il coriandolo, il cumino, il cardamomo dentro scatole quadrate...
Poi di fianco, montagnole di datteri, fichi secchi, frutta candita, semi, frutta fresca, e ammonticchiati alla buona, mandorle, castagne, noci e pistacchi, tutto in un turbinio di odori, colori accompagnati dal silenzio del siracusano che ti serve con educazione e poche parole. La caccarara contro il silenzio mistico delle antiche spezie, ma questo i turisti non lo capiscono...
Li seguivo sulla strada ombreggiata che portava alla Marina osservando la loro fresca felicità amorosa. Lei aveva un improbabile vestito rosso lungo con fiorellini stampati e ondeggiava tra la conversazione al telefonino in una mano mentre l'altra attingeva pistacchi dalla scodella che l'altro teneva in equilibrio come fosse un vassoio sulla mano stesa verso la compagna che attingeva allegra, e poi con contorsioni da equilibrista apriva dai gusci e uno a te uno a me si nutrivano d'amore tra un bacio e l'altro.
Eros e Thanatos.
Eh sì, perchè tanto amore, tanti baci, tanti contorcimenti, portarono irrimediabilmente al disastro e sciaff, con un tonfo ciocco la scodella cadde a terra.
Seguì un silenzio incredulo, mentre si fermarono solo per un attimo, poi raccolsero i pochi pistacchi sparsi al suolo e ripresero il loro cammino ridanciano.
- Ehi, ma la scodella, la lasciate lì?
Si girarono temendo il rimprovero per aver insozzato il suolo, ma figurati! Quando si resero conto che non sarebbe successo nulla, lui si strinse nella spalle e se ne andarono via con passo deciso.
Rimanemmo lì, io e la scodella che non era nemmeno esplosa con l'arrivo a terra, come avrebbe fatto un vetro nobile o una porcellana aristocratica. Questa invece era una terracotta proletaria e si era spezzata quasi in silenzio quasi per il dolore, ma i pezzi erano tutti lì, e mi guardavano dolenti. Io ho immediatamente recepito quel grido di dolore e ho trovato solo un foglio di giornale in cui ho avvolto tutto per portarmi a casa quel disastro tentando di porvi rimedio. La carta era leggera, i pezzi pesanti, così che dovetti stringermi il pacco per non lacerare la carta e facendo così sono arrivato a casa con il vaso contro il mio cuore, che da gesto di protezione ormai era diventato un segno d'affetto.
Ho preso l'Huhu, che adesso si chiama in un'altra maniera perchè lo vendono i cinesi e in pochissimi minuti ho rimesso insieme i cocci, ma ahimè ho scoperto che ne mancava un pezzo, un triangolino senza importanza tanto che mi era sfuggito all'esplorazione fatta in strada...
Dopo mezz'ora sono tornato in terrazza dove avevo messo la scodella incollata a rinforzarsi e ho scoperto che il lavoro, benchè ben fatto restituiva una ceramica triste, rabberciata, recuperata, che aveva perso la bellezza della prima scelta, e pure lei mi guardava intristita, come per dire, lascia perdere, lo sai come vanno queste cose: se invecchi o ti rompi, sei da buttare...
E invece no, caro mio! Se conosci Ashigata Yosgimasa, famoso shogun Muromachi, vissuto verso la fine del Quattrocento a Kyoto, sai perfettamente che non va così. Lui abdicò e diventando monaco Zen e si ritirò nella sua dimora trasformandola in Padiglione Argentato dove inventò la cerimonia del tè. Non contento praticò la tecnica del Kintsugi che è l'arte di riparare la ceramica con l'oro, restaurando oggetti anche antichi senza nascondere le vecchie fratture ma sottolineandole con lacca dorata, lasciando un senso di irreparabile ma da cui si potrebbe rigenerare lo spirito con un nuovo progetto estetico.
Ho comprato un pezzo di anilina per chiudere il buco e il resto l'ho coperto con l'oro applicando il Wabi-sabi della filosofia Zen con tre concetti fondamentali, il Mushin che libera la mente mentre lavori, l'Anicca che riflette sull'esistenza transitoria, evanescente e inconsistente di tutte le cose, e il Mononoaware che è una malinconia per le cose che apprezza la decadenza si arriva ad ammirarne la bellezza della rottura che rende unico e irripetibile l'oggetto che una volta riparato ha una vita nuova, ne serba il ricordo e parla di fragilità, di sgretolamento, di caducità, declino e di rinascita.
Ecco, fatto, finito il lavoro, sono certo che nessuno di noi due finirà in un Museo, nè la scodella riparata e nemmeno io che forse tra un poco verrò ricoverato tra i dementi che parlano con gli oggetti.
Invece lei, la scodella, non mi parla ma mi sorride soddisfatta.

Vincent