Friday, November 20, 2020

AUTOPOIESI

 

Autopoiesi

au-to-po-iè-si

Significato   Capacità dei sistemi viventi di riprodurre sé stessi, replicando e conservando la relazione degli elementi da cui sono composti; proprietà di ogni sistema capace di riprodurre invariata la propria organizzazione indipendentemente dalle circostanze

Etimologia   conio dei biologi Humberto R. Maturana e Francisco J. Varela del 1980, composto dal greco autós 'da sé', poíesis 'creazione'.

Che parola difficile! Proprio per questo è così accattivante, e usarla attira l'attenzione come lanciare un petardo in salotto. Anche perché è una parola che appare difficile ma non astrusa: la sua composizione greca è trasparente — autós 'da sé', poíesis 'creazione'. E il significato coglie un tratto affascinante e caratterizzante dei sistemi viventi.

Infatti si tratta di un termine primariamente riferito all'ambito della biologia, anche se ha un respiro filosofico. Viene coniato in un saggio dei biologi cileni Humberto R. Maturana e Francisco J. Varela del 1980, Autopoiesi e cognizione — la realizzazione del vivente. L'intento è quello di cogliere un tratto necessario e sufficiente per definire un sistema vivente, e tale tratto è l'autopoiesi. La capacità di ridefinirsi continuamente in uno spazio fisico riproducendo sé stessi e mantenendo invariata la propria organizzazione interna; una capacità determinata dall'organizzazione dell'entità autonoma che è il sistema vivente, differenziato in unità composite con relazioni locali.

Non si deve fare finta che sia una nozione facile. Si può però fare qualche approssimazione esplicativa, e qualche esempio.

L'autopoiesi, in quanto autocreazione che scaturisce da un'organizzazione interna tesa a conservarsi, ridefinirsi e riprodursi davanti ai mutamenti dello spazio fisico, è la capacità di avere e mantenere un'identità. Caratterizza tanto l'umano quanto la sua singola cellula, questo è evidente; ma è una nozione che è discusso si possa spingere fino alle organizzazioni sociali (le società umane sono sistemi biologici?).

Ora, un termine così affascinante, anche se nasce con l'ambizione di un uso scientifico rigoroso, fa presa per estensione in discorsi più profani che ne vogliono cogliere la suggestione in maniera più disinvolta: la voglia di usare parole grosse a volte è troppa, specie se sono belle.

Così, usando questo termine in maniera euristica (bel modo per dire 'accettabilmente alla carlona, non mettiamoci a fare le pulci'), potremmo notare l'attitudine autopoietica della città romana, capace di conservarsi ridefinirsi e riprodursi coi suoi anfiteatri, terme, cardi e decumani dalla Britannia alla Siria, alle capacità autopoietiche della società borghese puritana che vediamo in Robinson Crusoe, che si stabilizza e replica anche sull'isoletta alla foce dell'Orinoco a partire da un sol uomo, del sistema di diritto che si rivela autopoietico producendosi e conservandosi attraverso il diritto, arrivando perfino all'autopoiesi della fiaba tradizionale, che si adatta di tempo in tempo senza autore.

Le parole che s'inventano e piacciono non restano giocattoli nostri: passano di mano in mano, e le persone finiscono per usarle nelle maniere più impensate. Così, davanti a una parola del genere, non c'è che da augurarsi che la pratica di un bell'uso, continuo e diffuso, le dia ancora più prontezza. Non sono forse autopoietiche anche le parole?

 

 

Carlona

car-ló-na

Significato   Solo nell'espressione 'alla carlona', superficiale, trascurato, fatto in modo grossolano

Etimologia   dall'antico francese Charlon, caso obliquo di Charles, riferito a Carlo Magno.

Parole di questo tipo custodiscono la sorpresa dell'oggetto trovato al mercatino delle pulci. Sotto l'immediatezza di un uso colloquiale e di una sonorità espressiva, nel bozzolo di una locuzione cristallizzata, parole come questa testimoniano una continuità culturale ultramillenaria.

Qui non ci dobbiamo chi sia la giunonica signora in questione, la Carlona. La carlona che troviamo nell'espressione 'alla carlona' è infatti la maniera di Carlone, e il Carlone in questione è addirittura Carlo Magno. Ma perché Carlone?

Non siamo davanti a un accrescitivo. Solo, la grammatica dell'antico francese conservava le declinazioni — in una veste più semplice rispetto a quelle latine, con soli due casi. Nel caso retto (più precisamente cas sujet, con le funzioni del ) il nome del re era Charles, in quello obliquo (o cas régime, con tutte le altre funzioni logiche), Charlon. Ed è la sua eco che ci è qui giunta. Qui, Carlone in un affresco ariostesco di Julius Schnorr von Caroesfeld.

Ma la vera domanda è: perché il signore che ha conquistato l'ambito onor del rinnovato Impero dovrebbe ispirare il significato di una maniera , superficiale, senza cura? Non è un po' irriverente, pur dopo dodici secoli?
Ebbene lo è, e guai a chi parla in questi termini dell'Imperatore.

Secondo la tradizionale è stata la figura bonacciona che il re Carlone aveva preso nei tardi poemi cavallereschi, e perfino goffa, ad aver plasmato la locuzione 'alla carlona'. In alternativa, la maniera di re Carlone poteva essere intesa come maniera antica, e quindi più bruta e disattenta. Approdi più recenti però raccontano altro.

Questa locuzione appare per la prima volta in testi quattrocenteschi col significato di 'in ' — ed è più che probabile che sia questa la chiave della carlona. L'abbondanza è sbadata, trascurata senza risparmi, e se perde il tratto di larghezza resta solo la superficialità frettolosa e grossolana con cui è colorato il nostro 'alla carlona'. Abbondanza leggendaria e proverbiale noncuranza alla corte di Carlone.

Così stendiamo una relazione obbligatoria un po' alla carlona, per l' volta ripariamo la perdita del alla carlona, e l'amministrazione organizza il alla carlona, prendendosi il merito del successo inatteso.

 

22 Novembre 2020

 avviso ai naviganti TUTTI COLORO CHE a Quelli che il calcio avessero sentito dire che la RUPE TARPEA si troverebbe a Sparta sappiuano che invece é italianissima: Rupe Tarpea - Wikipedia it.wikipedia.org › wiki › Rupe_Tarpea La rupe Tarpea (latino: Rupes Tarpeia o Saxum Tarpeium) è la parete rocciosa posta sul lato meridionale del Campidoglio a Roma, dalla quale venivano gettati i bambini deformi

 

 
Il termine, complice la pandemia, è entrato nel linguaggio quotidiano ma da dove ha origine?E in ambito economico cosa indica? - Diana Cavalcoli /CorriereTv

Il termine «Resilienza», complice la pandemia, è entrata nel linguaggio quotidiano ma da dove arriva la parola? Ce lo spiega il professor Carlo Salvato del dipartimento di Management dell’Università Bocconi di Milano analizzando le caratteristiche che oggi rendono le aziende davvero resilienti alla crisi economica.

 

Wednesday, November 11, 2020

LINGUA ITALIANA IN AMERICA

 

IL BLOG
11/11/2020 10:31 CET | Aggiornato 12 minuti fa

Per non perdere il patrimonio linguistico degli italiani d'America

New York Daily News Archive via Getty Images

 

Quando mio nonno sbarcò a Nuova York per vivere il sogno americano aveva 22 anni, sapeva leggere e scrivere, era contadino e di “razza italiana meridionale”, secondo i registri di Ellis Island. Era arrivato a bordo della Providence, salpata da Napoli il 23 settembre 1923. Aveva in tasca 20 dollari.

Secondo l’ISTAT, solo nel 1916 hanno lasciato l’Italia 872.598 italiani. Molti di essi hanno attraversato l’oceano per non tornare più indietro: sono rimasti in Argentina, in Brasile, negli USA, o in Australia, hanno trapiantato il loro cuore e le loro lingue e sono restati lì, nella terra che li aveva accolti a volte senza troppo entusiasmo. Di molti di loro si sono perse le tracce.

Visualizzare nella nostra mente gli emigranti di quel tempo, o anche quelli dell’ondata migratoria successiva, del Secondo Dopoguerra, richiede un grande sforzo di immaginazione. Molti di essi erano di statura più bassa rispetto agli italiani di oggi. Molti partivano con la valigia di cartone con dentro pochi ricordi, con 20 dollari in tasca, 3 o 4 figli e poco più. Oltre alla miseria, gli italiani portavano con sé una grande dignità, ricordi, ricette, immaginette sacre, e lingue: questi nostri connazionali comunicavano tra loro usando le nostre lingue regionali (comunemente conosciute come dialetti). Parlavano veneto, siciliano, abruzzese, calabrese, piemontese e così via. L’italiano non lo conoscevano quasi. Pochissimi erano andati a scuola, e se lo avevano fatto ci erano rimasti per un paio d’anni al massimo.

Che ne è stato di loro? Che ne è stato delle loro lingue?

Una volta arrivati a destinazione, i nuovi immigrati cercavano i compaesani, se ce n’erano. Se l’intenzione era di restare, almeno per un po’ di anni, la prima cosa che tentavano di fare era imparare la lingua locale. Gli uomini, che andavano “a giornata” con i compaesani e avevano capimastri italiani, si trovavano più spesso a parlare la propria lingua madre. Erano loro a preservare il patrimonio linguistico, sebbene in forma lievemente diversa dall’originale: era frequente la formazione di varietà miste, come il celeberrimo broccolino di New York, un misto di varietà regionali italiane, inglese americano e slang newyorchese. Le donne imparavano più in fretta la lingua ospite, ed erano per questo promotrici del cambiamento linguistico, come spesso avviene.

Cosa è successo, dunque, al siciliano parlato da Turi, emigrato in Brasile dalla Sicilia nel 1960 all’età di 18 anni? Ha continuato, Turi, a parlare siciliano ai suoi figli, o è passato al portoghese? Il suo siciliano è come quello parlato oggi in Sicilia? È più arcaico? O è cambiato completamente, a contatto con il portoghese?

Il gruppo di ricercatori italiani in Olanda da me coordinato sta cercando di scoprirlo tramite un progetto che ha come target l’emigrazione italiana in Brasile, Argentina, Stati Uniti e Canada; il gruppo di ricerca si propone di analizzare e capire i meccanismi del cambiamento linguistico causato dal contatto tra le lingue. L’assunto di base è che lingue simili in contatto tendano a cambiare poco, strutturalmente. Se il cambiamento c’è, è significativo. Prendiamo ad esempio il napoletano: essendo esso strutturalmente molto simile allo spagnolo ci si aspetta che i cambiamenti indotti dal contatto tra le due lingue siano molti meno rispetto a quelli che intervengono quando il napoletano incontra l’inglese, una lingua abbastanza distante dalla struttura romanza.

Controllare cosa accade quando due lingue molto simili entrano in contatto è come mettere il cambiamento linguistico sotto la lente di un microscopio: saltano fuori dei dettagli che “a occhio nudo” non vedremmo, dettagli che si rivelano essenziali per capire come funziona il linguaggio umano. Le lingue regionali italiane sono preziose e uniche perché sono tante, molto simili strutturalmente, e molto presenti in Paesi come l’Argentina e il Brasile, dove si parlano altre lingue della stessa famiglia. Esse costituiscono dunque un laboratorio naturalistico a cielo aperto, che può svelare meccanismi linguistici ancora sconosciuti.

Per poter studiare tutto questo il primo passo è rintracciare i parlanti, gli emigranti italiani nelle Americhe, ma questo non è affatto semplice. Esistono, sì, molte associazioni. Esistono gli Istituti Italiani di Cultura, a cui fanno capo principalmente gli “expat”, i nuovi emigranti, con un livello di istruzione molto alto e un’ottima conoscenza pregressa della lingua del luogo. I nostri bisnonni e i loro discendenti non hanno mai frequentato gli Istituti Italiani di Cultura, però. Si sono messi a lavorare, hanno formato delle comunità, hanno continuato a parlare la lingua madre, e spesso hanno troncato tutti i rapporti con la terra d’origine. Come raggiungerli?

Poiché noi del primo mondo crediamo che tutto si possa risolvere con la tecnologia, il primo passo per cercare questi emigranti è stato quello di creare un atlante interattivo per effettuare una raccolta di dati online. L’idea era di contattare tutte le associazioni, gli Istituti, i consolati e così via, e chiedere ai giovani discendenti di registrare i loro nonni per poi caricare le registrazioni sul sito. In questo modo speravamo di individuare i parlanti con il giusto profilo, da andare a intervistare durante la fase di ricerca sul campo.
L’atlante era aperto a tutti, anche agli italiani che volessero registrare il parlato dialettale (purché non si trattasse di poesie e proverbi). La risposta dell’Italia è stata molto forte, ma da oltreoceano nisba, anche perché i mezzi tecnologici a disposizione nei paesini sperduti del Brasile non sono gli stessi che abbiamo noi.

Non ci restava dunque che andare all’avventura. E così è stato. Siamo andati lì, in Argentina, in Brasile, a New York, a suonare ai campanelli delle associazioni. Con l’aiuto di colleghi del posto, di parroci, di pronipoti e parenti italiani, abbiamo rintracciato alcune famiglie di emigranti, e con il passaparola ne abbiamo trovate altre.

Nel corso della ricerca effettuata sul campo nella primavera dello scorso anno siamo riusciti a intervistare 50 italiani emigrati in Argentina, 47 in Brasile, 27 in Canada e 58 negli USA. Il Covid ha bloccato la seconda fase di ricerca sul campo, prevista per la primavera di quest’anno.

Prima di iniziare l’elicitazione sperimentale dei dati per la nostra ricerca abbiamo chiesto ai nostri intervistati di prima generazione di raccontarci il loro arrivo in terra straniera. Tra i ricordi, tutti molto commoventi, c’è quello di Maria (nome fittizio), partita da un piccolo paesino dell’Aspromonte per andare a Buenos Aires. Maria ricorda ancora oggi, con colori vivissimi, il suo viaggio. Ci racconta che durante la traversata che l’avrebbe portata in Argentina “parlando co crianza, rovesciava e rovesciava” perché aveva il mal di mare. Suo padre era partito nel ’48, lei “stava sola sola sopra o barco; u manciari un mi piacìa, magnava solo u celato”. E poi c’è Giovanni (nome fittizio), partito dal Veneto per Porto Alegre, che ci racconta di quando “se g’ha partì da Italia”, e giù con un misto di veneto e portoghese, a formare una splendida litania del tempo.

Tutti i racconti degli emigrati italiani in America sono disponibili sul sito dell’atlante interattivo, che nel frattempo si è molto popolato e raccoglie oltre 300 registrazioni, a questo indirizzo: https://microcontact.hum.uu.nl/#home. I risultati preliminari e le attività del progetto sono sul sito del progetto, a questo indirizzo: https://microcontact.sites.uu.nl/.

Sull’atlante potrete ascoltare le voci, le lingue, le storie. Si tratta di un archivio ancora incompleto ma preziosissimo di lingue quasi scomparse, di racconti di epoche lontane, fotografie vocali di un tempo che non c’è più. O che forse sta ritornando.

Bettmann via Getty Images
(Original Caption) Immigrants at Ellis Island: Elderly Italian woman. Undated photograph. BPA2 #2519

LOCKDOWN

 n ansia e stanchezza da lockdown ansia e stanchezza da lockdown londra deserta durante il lockdown 9 londra deserta durante il lockdown 9 punizioni in india per chi non rispetta il lockdown 1 4  

punizioni in india per chi non rispetta il lockdown 1 4 lombardia lockdown 

 lombardia lockdown

 

IL DIZIONARIO COLLINS HA SCELTO “LOCKDOWN” COME PAROLA DELL’ANNO: ENTRATA DI FORZA NEL QUOTIDIANO DI MILIONI DI PERSONE, IL COLLINS HA REGISTRATO PIÙ DI 250 MILIONI DI UTILIZZI DELLA PAROLA NEL 2020, CONTRO I SOLI 4.000 DELL’ANNO PRECEDENTE - E NELL’ELENCO DEI 10 VOCABOLI DELL’ANNO, SEI RIGUARDANO L’EMERGENZA SANITARIA…


 

L ULTIMO DPCM DI CONTE – MEME L ULTIMO DPCM DI CONTE – MEME

Lockdown è la parola dell’anno, secondo il dizionario Collins. I lessicografi dell’istituto inglese che redige l’edizione annuale del vocabolario hanno detto di averla scelta perché diventata sinonimo dell’esperienza delle popolazioni di tutto il mondo durante la pandemia di coronavirus. “E’ un’esperienza unificante per miliardi di persone in tutto il mondo, che hanno dovuto svolgere collettivamente la loro parte nella lotta alla diffusione del Covid-19”, ha spiegato la casa editrice Harper Collins. Il Collins ha registrato più di 250 milioni di utilizzi della parola ‘lockdown’ nel 2020, contro i soli 4.000 dell’anno precedente.

milano lockdown milano lockdown

 

A causa del modo in cui la pandemia ha influenzato l’uso quotidiano della lingua, sei delle 10 parole dell’anno dell’edizione 2020 Collins sono legate alla crisi sanitaria globale. “Coronavirus”, “allontanamento sociale”, “autoisolamento”, “lavoratore essenziale” e “permessi”, compaiono nell’elenco.

Il solo “lavoratore essenziale” ha visto un aumento di 60 volte nell’utilizzo, riflettendo l’importanza attribuita quest’anno alle professioni considerate essenziali per la società. “Il lockdown ha influenzato il modo in cui lavoriamo, studiamo, facciamo acquisti e socializziamo” ha detto Helen Newstead, consulente linguistico di Collins, “con molti paesi che entrano in un secondo lockdown, non è una parola dell’anno da celebrare ma, forse, è quella che riassume l’anno per la maggior parte del mondo”.

auto sui manifestanti blm a times square a new york 5  

auto sui manifestanti blm a times square a new york 5

 

Collins definisce “lockdown” come “l’imposizione di severe restrizioni sui viaggi, l’interazione sociale e l’accesso agli spazi pubblici”.

Secondo il dizionario, il coronavirus è: “Uno qualsiasi di un gruppo di virus contenenti RNA che possono causare malattie infettive delle vie respiratorie, incluso COVID-19”.

megxit 2 megxit 2

 

Ma altri rivolgimenti sociali e di costume hanno influenzato quest’anno le scelte dei linguisti: l’ondata di proteste Black Lives Matter ha generato l’abbreviazione “BLM”, spesso utilizzata come hashtag sui social media, ma sono entrate nel dizionario anche “TikToker”, che descrive qualcuno che condivide contenuti sulla piattaforma di social media TikTok e “Megxit”, che si riferisce al ritiro del principe Harry e di sua moglie Meghan dai doveri regali. 



 

Monday, November 09, 2020

FACCIADIMEDDA

 

La controfiguraccia

L’ormai ex commissario alla sanità calabrese Saverio Cotticelli passerà alla storia delle figure di melma come il primo uomo che prese le distanze da sé stesso. Abbiamo visto tanti personaggi pubblici smentire una dichiarazione o affermare di essere stati mal interpretati. Ma l’intervista all’insaputa dell’intervistato, anzi con l’intervistato che dichiara di avere detto sciocchezze a causa di un malore o addirittura di un avvelenamento da droghe, è una primizia mondiale che minaccia di non restare priva di conseguenze né di emulatori. Applicando il modello in modo estensivo, un rapinatore arrestato col mitra fumante sotto il braccio potrà dire, proprio come lui: guardate che questo non sono io, ma una controfigura.


 

Il Cotticelli sdoppiato fa crollare ogni residua certezza. E se dietro il cacciaballe che ha occupato la Casa Bianca negli ultimi anni ci fosse un timido impiegato della dogana di New York, trasformato in Trump da una pozione magica a base di frattaglie di hot-dog? Il misurato, fin noioso Joe Biden non sarà in realtà un gangsta rapper sotto l’effetto di sedativi? E chi ci garantisce che i dpcm di Conte siano farina del suo sacco e non di qualche enigmista particolarmente oscuro, e che il premier non venga indotto a firmarli in stato di ipnosi da Rocco Casalino? Smentire tutto e smentire sempre, specie l’evidenza: questo ci insegna Cotticelli. Come quel signore che, sorpreso a letto con un’altra dalla moglie, quando lei urlò «Giovanni!», rispose «Giovanni chi?».

10 novembre 2020, 07:06 - modifica il 10 novembre 2020