Friday, November 20, 2020

AUTOPOIESI

 

Autopoiesi

au-to-po-iè-si

Significato   Capacità dei sistemi viventi di riprodurre sé stessi, replicando e conservando la relazione degli elementi da cui sono composti; proprietà di ogni sistema capace di riprodurre invariata la propria organizzazione indipendentemente dalle circostanze

Etimologia   conio dei biologi Humberto R. Maturana e Francisco J. Varela del 1980, composto dal greco autós 'da sé', poíesis 'creazione'.

Che parola difficile! Proprio per questo è così accattivante, e usarla attira l'attenzione come lanciare un petardo in salotto. Anche perché è una parola che appare difficile ma non astrusa: la sua composizione greca è trasparente — autós 'da sé', poíesis 'creazione'. E il significato coglie un tratto affascinante e caratterizzante dei sistemi viventi.

Infatti si tratta di un termine primariamente riferito all'ambito della biologia, anche se ha un respiro filosofico. Viene coniato in un saggio dei biologi cileni Humberto R. Maturana e Francisco J. Varela del 1980, Autopoiesi e cognizione — la realizzazione del vivente. L'intento è quello di cogliere un tratto necessario e sufficiente per definire un sistema vivente, e tale tratto è l'autopoiesi. La capacità di ridefinirsi continuamente in uno spazio fisico riproducendo sé stessi e mantenendo invariata la propria organizzazione interna; una capacità determinata dall'organizzazione dell'entità autonoma che è il sistema vivente, differenziato in unità composite con relazioni locali.

Non si deve fare finta che sia una nozione facile. Si può però fare qualche approssimazione esplicativa, e qualche esempio.

L'autopoiesi, in quanto autocreazione che scaturisce da un'organizzazione interna tesa a conservarsi, ridefinirsi e riprodursi davanti ai mutamenti dello spazio fisico, è la capacità di avere e mantenere un'identità. Caratterizza tanto l'umano quanto la sua singola cellula, questo è evidente; ma è una nozione che è discusso si possa spingere fino alle organizzazioni sociali (le società umane sono sistemi biologici?).

Ora, un termine così affascinante, anche se nasce con l'ambizione di un uso scientifico rigoroso, fa presa per estensione in discorsi più profani che ne vogliono cogliere la suggestione in maniera più disinvolta: la voglia di usare parole grosse a volte è troppa, specie se sono belle.

Così, usando questo termine in maniera euristica (bel modo per dire 'accettabilmente alla carlona, non mettiamoci a fare le pulci'), potremmo notare l'attitudine autopoietica della città romana, capace di conservarsi ridefinirsi e riprodursi coi suoi anfiteatri, terme, cardi e decumani dalla Britannia alla Siria, alle capacità autopoietiche della società borghese puritana che vediamo in Robinson Crusoe, che si stabilizza e replica anche sull'isoletta alla foce dell'Orinoco a partire da un sol uomo, del sistema di diritto che si rivela autopoietico producendosi e conservandosi attraverso il diritto, arrivando perfino all'autopoiesi della fiaba tradizionale, che si adatta di tempo in tempo senza autore.

Le parole che s'inventano e piacciono non restano giocattoli nostri: passano di mano in mano, e le persone finiscono per usarle nelle maniere più impensate. Così, davanti a una parola del genere, non c'è che da augurarsi che la pratica di un bell'uso, continuo e diffuso, le dia ancora più prontezza. Non sono forse autopoietiche anche le parole?

 

 

Carlona

car-ló-na

Significato   Solo nell'espressione 'alla carlona', superficiale, trascurato, fatto in modo grossolano

Etimologia   dall'antico francese Charlon, caso obliquo di Charles, riferito a Carlo Magno.

Parole di questo tipo custodiscono la sorpresa dell'oggetto trovato al mercatino delle pulci. Sotto l'immediatezza di un uso colloquiale e di una sonorità espressiva, nel bozzolo di una locuzione cristallizzata, parole come questa testimoniano una continuità culturale ultramillenaria.

Qui non ci dobbiamo chi sia la giunonica signora in questione, la Carlona. La carlona che troviamo nell'espressione 'alla carlona' è infatti la maniera di Carlone, e il Carlone in questione è addirittura Carlo Magno. Ma perché Carlone?

Non siamo davanti a un accrescitivo. Solo, la grammatica dell'antico francese conservava le declinazioni — in una veste più semplice rispetto a quelle latine, con soli due casi. Nel caso retto (più precisamente cas sujet, con le funzioni del ) il nome del re era Charles, in quello obliquo (o cas régime, con tutte le altre funzioni logiche), Charlon. Ed è la sua eco che ci è qui giunta. Qui, Carlone in un affresco ariostesco di Julius Schnorr von Caroesfeld.

Ma la vera domanda è: perché il signore che ha conquistato l'ambito onor del rinnovato Impero dovrebbe ispirare il significato di una maniera , superficiale, senza cura? Non è un po' irriverente, pur dopo dodici secoli?
Ebbene lo è, e guai a chi parla in questi termini dell'Imperatore.

Secondo la tradizionale è stata la figura bonacciona che il re Carlone aveva preso nei tardi poemi cavallereschi, e perfino goffa, ad aver plasmato la locuzione 'alla carlona'. In alternativa, la maniera di re Carlone poteva essere intesa come maniera antica, e quindi più bruta e disattenta. Approdi più recenti però raccontano altro.

Questa locuzione appare per la prima volta in testi quattrocenteschi col significato di 'in ' — ed è più che probabile che sia questa la chiave della carlona. L'abbondanza è sbadata, trascurata senza risparmi, e se perde il tratto di larghezza resta solo la superficialità frettolosa e grossolana con cui è colorato il nostro 'alla carlona'. Abbondanza leggendaria e proverbiale noncuranza alla corte di Carlone.

Così stendiamo una relazione obbligatoria un po' alla carlona, per l' volta ripariamo la perdita del alla carlona, e l'amministrazione organizza il alla carlona, prendendosi il merito del successo inatteso.

 

22 Novembre 2020

 avviso ai naviganti TUTTI COLORO CHE a Quelli che il calcio avessero sentito dire che la RUPE TARPEA si troverebbe a Sparta sappiuano che invece é italianissima: Rupe Tarpea - Wikipedia it.wikipedia.org › wiki › Rupe_Tarpea La rupe Tarpea (latino: Rupes Tarpeia o Saxum Tarpeium) è la parete rocciosa posta sul lato meridionale del Campidoglio a Roma, dalla quale venivano gettati i bambini deformi

 

 
Il termine, complice la pandemia, è entrato nel linguaggio quotidiano ma da dove ha origine?E in ambito economico cosa indica? - Diana Cavalcoli /CorriereTv

Il termine «Resilienza», complice la pandemia, è entrata nel linguaggio quotidiano ma da dove arriva la parola? Ce lo spiega il professor Carlo Salvato del dipartimento di Management dell’Università Bocconi di Milano analizzando le caratteristiche che oggi rendono le aziende davvero resilienti alla crisi economica.

 

Wednesday, November 11, 2020

LINGUA ITALIANA IN AMERICA

 

IL BLOG
11/11/2020 10:31 CET | Aggiornato 12 minuti fa

Per non perdere il patrimonio linguistico degli italiani d'America

New York Daily News Archive via Getty Images

 

Quando mio nonno sbarcò a Nuova York per vivere il sogno americano aveva 22 anni, sapeva leggere e scrivere, era contadino e di “razza italiana meridionale”, secondo i registri di Ellis Island. Era arrivato a bordo della Providence, salpata da Napoli il 23 settembre 1923. Aveva in tasca 20 dollari.

Secondo l’ISTAT, solo nel 1916 hanno lasciato l’Italia 872.598 italiani. Molti di essi hanno attraversato l’oceano per non tornare più indietro: sono rimasti in Argentina, in Brasile, negli USA, o in Australia, hanno trapiantato il loro cuore e le loro lingue e sono restati lì, nella terra che li aveva accolti a volte senza troppo entusiasmo. Di molti di loro si sono perse le tracce.

Visualizzare nella nostra mente gli emigranti di quel tempo, o anche quelli dell’ondata migratoria successiva, del Secondo Dopoguerra, richiede un grande sforzo di immaginazione. Molti di essi erano di statura più bassa rispetto agli italiani di oggi. Molti partivano con la valigia di cartone con dentro pochi ricordi, con 20 dollari in tasca, 3 o 4 figli e poco più. Oltre alla miseria, gli italiani portavano con sé una grande dignità, ricordi, ricette, immaginette sacre, e lingue: questi nostri connazionali comunicavano tra loro usando le nostre lingue regionali (comunemente conosciute come dialetti). Parlavano veneto, siciliano, abruzzese, calabrese, piemontese e così via. L’italiano non lo conoscevano quasi. Pochissimi erano andati a scuola, e se lo avevano fatto ci erano rimasti per un paio d’anni al massimo.

Che ne è stato di loro? Che ne è stato delle loro lingue?

Una volta arrivati a destinazione, i nuovi immigrati cercavano i compaesani, se ce n’erano. Se l’intenzione era di restare, almeno per un po’ di anni, la prima cosa che tentavano di fare era imparare la lingua locale. Gli uomini, che andavano “a giornata” con i compaesani e avevano capimastri italiani, si trovavano più spesso a parlare la propria lingua madre. Erano loro a preservare il patrimonio linguistico, sebbene in forma lievemente diversa dall’originale: era frequente la formazione di varietà miste, come il celeberrimo broccolino di New York, un misto di varietà regionali italiane, inglese americano e slang newyorchese. Le donne imparavano più in fretta la lingua ospite, ed erano per questo promotrici del cambiamento linguistico, come spesso avviene.

Cosa è successo, dunque, al siciliano parlato da Turi, emigrato in Brasile dalla Sicilia nel 1960 all’età di 18 anni? Ha continuato, Turi, a parlare siciliano ai suoi figli, o è passato al portoghese? Il suo siciliano è come quello parlato oggi in Sicilia? È più arcaico? O è cambiato completamente, a contatto con il portoghese?

Il gruppo di ricercatori italiani in Olanda da me coordinato sta cercando di scoprirlo tramite un progetto che ha come target l’emigrazione italiana in Brasile, Argentina, Stati Uniti e Canada; il gruppo di ricerca si propone di analizzare e capire i meccanismi del cambiamento linguistico causato dal contatto tra le lingue. L’assunto di base è che lingue simili in contatto tendano a cambiare poco, strutturalmente. Se il cambiamento c’è, è significativo. Prendiamo ad esempio il napoletano: essendo esso strutturalmente molto simile allo spagnolo ci si aspetta che i cambiamenti indotti dal contatto tra le due lingue siano molti meno rispetto a quelli che intervengono quando il napoletano incontra l’inglese, una lingua abbastanza distante dalla struttura romanza.

Controllare cosa accade quando due lingue molto simili entrano in contatto è come mettere il cambiamento linguistico sotto la lente di un microscopio: saltano fuori dei dettagli che “a occhio nudo” non vedremmo, dettagli che si rivelano essenziali per capire come funziona il linguaggio umano. Le lingue regionali italiane sono preziose e uniche perché sono tante, molto simili strutturalmente, e molto presenti in Paesi come l’Argentina e il Brasile, dove si parlano altre lingue della stessa famiglia. Esse costituiscono dunque un laboratorio naturalistico a cielo aperto, che può svelare meccanismi linguistici ancora sconosciuti.

Per poter studiare tutto questo il primo passo è rintracciare i parlanti, gli emigranti italiani nelle Americhe, ma questo non è affatto semplice. Esistono, sì, molte associazioni. Esistono gli Istituti Italiani di Cultura, a cui fanno capo principalmente gli “expat”, i nuovi emigranti, con un livello di istruzione molto alto e un’ottima conoscenza pregressa della lingua del luogo. I nostri bisnonni e i loro discendenti non hanno mai frequentato gli Istituti Italiani di Cultura, però. Si sono messi a lavorare, hanno formato delle comunità, hanno continuato a parlare la lingua madre, e spesso hanno troncato tutti i rapporti con la terra d’origine. Come raggiungerli?

Poiché noi del primo mondo crediamo che tutto si possa risolvere con la tecnologia, il primo passo per cercare questi emigranti è stato quello di creare un atlante interattivo per effettuare una raccolta di dati online. L’idea era di contattare tutte le associazioni, gli Istituti, i consolati e così via, e chiedere ai giovani discendenti di registrare i loro nonni per poi caricare le registrazioni sul sito. In questo modo speravamo di individuare i parlanti con il giusto profilo, da andare a intervistare durante la fase di ricerca sul campo.
L’atlante era aperto a tutti, anche agli italiani che volessero registrare il parlato dialettale (purché non si trattasse di poesie e proverbi). La risposta dell’Italia è stata molto forte, ma da oltreoceano nisba, anche perché i mezzi tecnologici a disposizione nei paesini sperduti del Brasile non sono gli stessi che abbiamo noi.

Non ci restava dunque che andare all’avventura. E così è stato. Siamo andati lì, in Argentina, in Brasile, a New York, a suonare ai campanelli delle associazioni. Con l’aiuto di colleghi del posto, di parroci, di pronipoti e parenti italiani, abbiamo rintracciato alcune famiglie di emigranti, e con il passaparola ne abbiamo trovate altre.

Nel corso della ricerca effettuata sul campo nella primavera dello scorso anno siamo riusciti a intervistare 50 italiani emigrati in Argentina, 47 in Brasile, 27 in Canada e 58 negli USA. Il Covid ha bloccato la seconda fase di ricerca sul campo, prevista per la primavera di quest’anno.

Prima di iniziare l’elicitazione sperimentale dei dati per la nostra ricerca abbiamo chiesto ai nostri intervistati di prima generazione di raccontarci il loro arrivo in terra straniera. Tra i ricordi, tutti molto commoventi, c’è quello di Maria (nome fittizio), partita da un piccolo paesino dell’Aspromonte per andare a Buenos Aires. Maria ricorda ancora oggi, con colori vivissimi, il suo viaggio. Ci racconta che durante la traversata che l’avrebbe portata in Argentina “parlando co crianza, rovesciava e rovesciava” perché aveva il mal di mare. Suo padre era partito nel ’48, lei “stava sola sola sopra o barco; u manciari un mi piacìa, magnava solo u celato”. E poi c’è Giovanni (nome fittizio), partito dal Veneto per Porto Alegre, che ci racconta di quando “se g’ha partì da Italia”, e giù con un misto di veneto e portoghese, a formare una splendida litania del tempo.

Tutti i racconti degli emigrati italiani in America sono disponibili sul sito dell’atlante interattivo, che nel frattempo si è molto popolato e raccoglie oltre 300 registrazioni, a questo indirizzo: https://microcontact.hum.uu.nl/#home. I risultati preliminari e le attività del progetto sono sul sito del progetto, a questo indirizzo: https://microcontact.sites.uu.nl/.

Sull’atlante potrete ascoltare le voci, le lingue, le storie. Si tratta di un archivio ancora incompleto ma preziosissimo di lingue quasi scomparse, di racconti di epoche lontane, fotografie vocali di un tempo che non c’è più. O che forse sta ritornando.

Bettmann via Getty Images
(Original Caption) Immigrants at Ellis Island: Elderly Italian woman. Undated photograph. BPA2 #2519

LOCKDOWN

 n ansia e stanchezza da lockdown ansia e stanchezza da lockdown londra deserta durante il lockdown 9 londra deserta durante il lockdown 9 punizioni in india per chi non rispetta il lockdown 1 4  

punizioni in india per chi non rispetta il lockdown 1 4 lombardia lockdown 

 lombardia lockdown

 

IL DIZIONARIO COLLINS HA SCELTO “LOCKDOWN” COME PAROLA DELL’ANNO: ENTRATA DI FORZA NEL QUOTIDIANO DI MILIONI DI PERSONE, IL COLLINS HA REGISTRATO PIÙ DI 250 MILIONI DI UTILIZZI DELLA PAROLA NEL 2020, CONTRO I SOLI 4.000 DELL’ANNO PRECEDENTE - E NELL’ELENCO DEI 10 VOCABOLI DELL’ANNO, SEI RIGUARDANO L’EMERGENZA SANITARIA…


 

L ULTIMO DPCM DI CONTE – MEME L ULTIMO DPCM DI CONTE – MEME

Lockdown è la parola dell’anno, secondo il dizionario Collins. I lessicografi dell’istituto inglese che redige l’edizione annuale del vocabolario hanno detto di averla scelta perché diventata sinonimo dell’esperienza delle popolazioni di tutto il mondo durante la pandemia di coronavirus. “E’ un’esperienza unificante per miliardi di persone in tutto il mondo, che hanno dovuto svolgere collettivamente la loro parte nella lotta alla diffusione del Covid-19”, ha spiegato la casa editrice Harper Collins. Il Collins ha registrato più di 250 milioni di utilizzi della parola ‘lockdown’ nel 2020, contro i soli 4.000 dell’anno precedente.

milano lockdown milano lockdown

 

A causa del modo in cui la pandemia ha influenzato l’uso quotidiano della lingua, sei delle 10 parole dell’anno dell’edizione 2020 Collins sono legate alla crisi sanitaria globale. “Coronavirus”, “allontanamento sociale”, “autoisolamento”, “lavoratore essenziale” e “permessi”, compaiono nell’elenco.

Il solo “lavoratore essenziale” ha visto un aumento di 60 volte nell’utilizzo, riflettendo l’importanza attribuita quest’anno alle professioni considerate essenziali per la società. “Il lockdown ha influenzato il modo in cui lavoriamo, studiamo, facciamo acquisti e socializziamo” ha detto Helen Newstead, consulente linguistico di Collins, “con molti paesi che entrano in un secondo lockdown, non è una parola dell’anno da celebrare ma, forse, è quella che riassume l’anno per la maggior parte del mondo”.

auto sui manifestanti blm a times square a new york 5  

auto sui manifestanti blm a times square a new york 5

 

Collins definisce “lockdown” come “l’imposizione di severe restrizioni sui viaggi, l’interazione sociale e l’accesso agli spazi pubblici”.

Secondo il dizionario, il coronavirus è: “Uno qualsiasi di un gruppo di virus contenenti RNA che possono causare malattie infettive delle vie respiratorie, incluso COVID-19”.

megxit 2 megxit 2

 

Ma altri rivolgimenti sociali e di costume hanno influenzato quest’anno le scelte dei linguisti: l’ondata di proteste Black Lives Matter ha generato l’abbreviazione “BLM”, spesso utilizzata come hashtag sui social media, ma sono entrate nel dizionario anche “TikToker”, che descrive qualcuno che condivide contenuti sulla piattaforma di social media TikTok e “Megxit”, che si riferisce al ritiro del principe Harry e di sua moglie Meghan dai doveri regali. 



 

Monday, November 09, 2020

FACCIADIMEDDA

 

La controfiguraccia

L’ormai ex commissario alla sanità calabrese Saverio Cotticelli passerà alla storia delle figure di melma come il primo uomo che prese le distanze da sé stesso. Abbiamo visto tanti personaggi pubblici smentire una dichiarazione o affermare di essere stati mal interpretati. Ma l’intervista all’insaputa dell’intervistato, anzi con l’intervistato che dichiara di avere detto sciocchezze a causa di un malore o addirittura di un avvelenamento da droghe, è una primizia mondiale che minaccia di non restare priva di conseguenze né di emulatori. Applicando il modello in modo estensivo, un rapinatore arrestato col mitra fumante sotto il braccio potrà dire, proprio come lui: guardate che questo non sono io, ma una controfigura.


 

Il Cotticelli sdoppiato fa crollare ogni residua certezza. E se dietro il cacciaballe che ha occupato la Casa Bianca negli ultimi anni ci fosse un timido impiegato della dogana di New York, trasformato in Trump da una pozione magica a base di frattaglie di hot-dog? Il misurato, fin noioso Joe Biden non sarà in realtà un gangsta rapper sotto l’effetto di sedativi? E chi ci garantisce che i dpcm di Conte siano farina del suo sacco e non di qualche enigmista particolarmente oscuro, e che il premier non venga indotto a firmarli in stato di ipnosi da Rocco Casalino? Smentire tutto e smentire sempre, specie l’evidenza: questo ci insegna Cotticelli. Come quel signore che, sorpreso a letto con un’altra dalla moglie, quando lei urlò «Giovanni!», rispose «Giovanni chi?».

10 novembre 2020, 07:06 - modifica il 10 novembre 2020


 

 

Wednesday, October 28, 2020

RISTORO - VAIO

Avrebbero potuto scrivere risarcimento. O riparazione. O indennizzo. O compenso. O rifusione. O bonus. E invece no: hanno scelto "ristoro". Oggi il Consiglio dei ministri varerà il "Decreto Ristoro" per ristorare i ristoratori.
E passerà alla storia come il primo governo ristorante.

 

LA CHIUSURA DEI RISTORANTI BY GIUSEPPE CONTE 

  LA CHIUSURA DEI RISTORANTI BY GIUSEPPE CONTE

Sebastiano Messina per “la Repubblica”


 

La parola del giorno è

[và-io]

SIGN Di colore, che tende al nero, in particolare riferito a frutti prossimi alla maturazione; screziato, maculato; pelliccia di scoiattolo; tipo di pelliccia araldica

dal latino [varius] 'diverso', ma anche 'variopinto, screziato, maculato'.

Passando nella vigna si scova il primo grappolo vaio, le olive vaie occhieggiano fra l'argento delle foglie. 'Vaio' è un aggettivo antico, un po' in disuso anche se tutt'altro che perduto — anzi in ambito tecnico si parla correntemente della derivata invaiatura, il viraggio di colore dei frutti in maturazione. Ma questa parola è interessante in modo speciale per il grande respiro che ha.

Infatti il vaio non è solo riferito al colore che tende al nero: anzi, giunge al nero partendo dallo screziato, dal maculato — e a partire da questi concetti finisce per portarci a parlare anche di pellicce e araldica. Il motivo è semplice: la sequenza dei suoi significati è una selezione maturata a partire da un concetto generalissimo, che è quello di vario. Il varius è naturalmente il diverso, il non omogeneo, e questo già in latino si declina anche secondo un aspetto visivo, toccando il vario(!)pinto, lo screziato e il maculato. Così posso anche parlare della contrattazione feroce per l'acquisto di un bellissimo tagliere vaio, del guscio vaio dell'uovo trovato nel bosco, del manto vaio del gatto.

A proposito di manto, proprio da qui il vaio diventa anche il nome di una pelliccia particolarmente ricercata fin da tempi remoti, la pelliccia di scoiattolo, da non pochi secoli più solitamente nota col nome francese di petit-gris

 

 

La parola del giorno è

[cle-uà-smo]

SIGN Figura retorica che consiste nello sminuirsi in modo autoironico per attrarre il favore di chi ascolta

 Così sentiremo «Non posso certo vantare i titoli che vanta la signora, ma permettetemi di fare un'osservazione di buon senso...», o «La mia opinione non sarà quella di un erudito, però sono testimone oculare di quello di cui si parla...» , passando per «Io sono l'ultimo a poter mettere bocca su una cosa del genere, ma...», e arrivando a formule di rilievo statistico assoluto come «A mio modesto parere...». Qualcuno noterà che si tratta di una specie della figura retorica dell' (anch'essa quasi sempre ): un'autodenigrazione simulata, che qui prende specificamente l'intento di il consenso con l'argomento e l'aggio dell' e della purezza, franche, sciolte da e da pretese d'autorevolezza che al contrario sanno attizzare antipatie vivaci.

Tuesday, October 27, 2020

YAKAMOZ 2

 

Tutti
C'E' DELL'ACQUA SULLA LUNA !!
 
Ricordate?
Tempo fa vi avevo segnalato che qualcuno aveva eletto la parola più bella che era l'intraducibile:
 YAKAMOZ 
che vuol dire: 
IL RIFLESSO DELLA LUNA SULL'ACQUA.
Ora, dopo questa scoperta mi chiedo chi riuscirà a coniare una parola bellissima che vorrà dire:
IL RIFLESSO DELLA TERRA 
SULL'ACQUA DELLA LUNA
Chissà se vivrò abbastanza per leggerla...
Buona poesia a tutti


La parola del giorno è

[cor-ro-bo-rà-re (io cor-rò-bo-ro)]

SIGN Fortificare, rinvigorire, ritemprare; avvalorare

voce dotta recuperata dal latino, derivata di [roborare] 'irrobustire' — a sua volta da [robur] 'forza', ma anche 'quercia' — col prefisso [co-].

Questa parola di ricercatezza disinvolta ma che si fa notare, pronta ad alzare il tenore del discorso e segno immediato di un parlare sorvegliato, ci chiede di toccare una corda sorprendentemente profonda dell'immaginario più antico sotteso alla lingua — quella della quercia.

Siamo davanti a una voce dotta, presa in prestito nel Trecento (senza necessità di adattamenti) dal latino corroborare, che è un 'rinvigorire' e un 'incitare'; questa voce deriva dal verbo roborare, 'irrobustire', che a sua volta è da robur. Ora, robur vuol dire anche forza, energia, durezza — ed è da qui che scaturisce la cascata di significati che scroscia fino al corroborare; ma è anche la quercia (Quercus robur): in una parola prossima, il rovere.

 

Saturday, October 24, 2020

LA FIDUCIA

 

VATTE A FIDÀ: “POCHE DIMENSIONI PSICOLOGICHE SONO COSÌ VITALI, COSÌ FRUTTIFERE, COSÌ INDISPENSABILI COME FIDARSI DI UN'ALTRA PERSONA - LA DIFFIDENZA CI "SCONNETTE" DALLA VITA, CI ALLONTANA DALLA REALTÀ - COLORO CHE NON SI FIDANO MAI DEGLI ALTRI GALLEGGIANO IN UN DISTURBO PSICOLOGICO COSTANTE, SONO CONVINTI CHE TUTTI SIANO MENTITORI, INGANNATORI, O APPROFITTATORI - LA FIDUCIA È ALLA BASE DELL'OTTIMISMO, IL VERO MOTORE DEL BENESSERE PERSONALE”

Melania Rizzoli

 

FIDUCIA FIDUCIA

Poche dimensioni psicologiche sono così vitali, così fruttifere, così indispensabili e allo stesso tempo così complesse e insidiose come fidarsi di un'altra persona. La fiducia è il collante che consolida tutte le relazioni importanti, le migliori amicizie, i grandi amori, i rapporti di lavoro o i legami familiari, e si esercita con le persone nelle quali depositiamo una parte di noi stessi, ed alle quali affidiamo quella più intima, custodita gelosamente nella nostra anima.

 

La fiducia però risiede in forma implicita e irrazionale, anche in gran parte delle attività che svolgiamo in modo automatico ogni giorno, come fidarsi dell'autista del taxi sul quale saliamo, del medico al quale affidiamo la nostra salute o dei funghi potenzialmente velenosi che consumiamo al ristorante, in una sorta di armonico equilibrio essenziale, che compensa le insidie e il caos della vita quotidiana.

 

È anche vero che, in misura maggiore o minore, una certa dose di sfiducia è sempre presente dentro di noi, una caratteristica dell'essere umano che ha un'utilissima funzione protettiva, per non essere colti di sorpresa o almeno per essere pronti a reagire, ed è un dato di fatto che è raro incontrare qualcuno che si fida ciecamente di tutto e tutti, come al contrario qualcuno totalmente sfiduciato.

FIDUCIA FIDUCIA

D'altronde noi siamo il frutto di una lunga e lenta evoluzione dei nostri comportamenti, che nei secoli hanno sviluppato nel nostro io la paura e la diffidenza per evitare pericoli, inzeppandolo di una lista infinita di fobie, più o meno evidenti, ma ciò che spaventa di più però, non ha a che fare con situazioni pericolose od animali repellenti, ma con il timore di essere feriti, traditi o umiliati, e da queste paure inafferrabili tentiamo di difenderci ogni giorno, appunto, non fidandoci.

 

ASSENZA DI FIDUCIA ASSENZA DI FIDUCIA

Noi umani siamo esseri sociali per natura, siamo fatti per legare con altri individui, spesso per fidarci di loro, poiché, se così non fosse, se percepissimo la nostra realtà attraverso una costante diffidenza, incertezza o paura, cadremmo in una sorta di nevrosi spaventosa, in una serie di disturbi psicologici a causa dei quali non sarebbe possibile svolgere nessuna attività, perché la diffidenza ci "sconnette" dalla vita, ci allontana dalla realtà, e qualunque tradimento o delusione verrebbe interpretato dal nostro cervello come una ferita reale, profonda, dolorosa e duratura.

 

L'ossitocina

La scienza riconosce che l'ossitocina, l'ormone del benessere, sarebbe in realtà l'autentico collante delle nostre relazioni sociali, ed è la molecola vitale che forma il vincolo della fiducia, che ci fa essere generosi e che interpreta i gesti a noi rivolti come positivi e favorevoli, andando a stimolare una precisa area encefalica, la corteccia prefontale mediale, associata alla ricompensa ed alle emozioni positive. È stato dimostrato infatti come, quando si subisce un tradimento della fiducia, parte di questa attività neurobiologica si alteri completamente, perché le sofferenze emotive stimolano le stesse aree del dolore associate ad una sofferenza fisica.

FIDUCIA FIDUCIA

 

Quello della fiducia è forse il tema più importante quando si parla di relazioni, siano esse amorose, di conoscenza o di amicizia, poiché la fiducia che riusciamo a ricevere od a porre in un rapporto è un ottimo "termometro" della qualità della relazioni stessa. Quando diversi anelli della catena fiduciaria che legano due persone si spezzano uno dopo l'altro, per bugie, menzogne, tradimenti o ipocrisie, diventa difficilissimo recuperare il rapporto rovinato da strappi non più ricucibili.

ASSENZA DI FIDUCIA ASSENZA DI FIDUCIA

 

Molto però dipende dal carattere, dalla personalità, dall'istinto, dall'equilibrio psicologico e dalla storia familiare di ciascuna persona, perché coloro che non si fidano mai degli altri galleggiano in un disturbo psicologico costante, sono convinti che tutti siano mentitori, ingannatori, o approfittatori, e che si comportino così per ferire, per trarre godimento dal recare danno, oppure per semplice egoismo ed indifferenza. Le persone sfiduciate covano l'intima convinzione che le relazioni di amicizia o d'amore siano da diffidare, in quanto preludio all'inganno, alla delusione o al tradimento, poiché considerano rari o inesistenti coloro che possono avere intenzioni oneste, essere sinceri e curarsi dei sentimenti altrui.

 

Equilibrio psicologico

FIDUCIA FIDUCIA

Le persone che non si fidano hanno la tendenza ad essere sempre ipervigili, ad analizzare con un retropensiero ogni comportamento favorevole a loro riferito (per quale motivo lo avrà fatto?) ed alla lunga queste persone vengono ghettizzate socialmente poiché i loro atteggiamenti di sospetto producono solo fastidio negli altri e danni relazionali anche importanti, con rotture di rapporti spesso insanabili. Chi vede potenziali nemici ovunque tende ad auto-isolarsi (io non ho bisogno di nessuno), evitando qualunque tipo di relazione sincera personale, intima o sociale, entrando in uno stato di deprivazione sensoriale che priva appunto il cervello di stimoli (positivi o negativi) del quale è invece sempre affamato, ed in mancanza dei quali, per colmarne l'assenza, esso stesso li crea autonomamente a livello delle sinapsi per essere continuamente eccitato, facendo insorgere fobie, ossessioni, compulsioni e manie di persecuzione.

 

FIDUCIA FIDUCIA

L'isolamento sensoriale spiana la strada alla depressione, allo scadimento delle relazioni, alla solitudine dell'anima, aumentando l'ansia, spesso mascherata e compensata da una iper attività lavorativa, quotidiana ed ossessiva, un inutile e puerile tentativo di colmare il vuoto creato dall'assenza delle gratificazioni fisiche e morali delle connessioni fiduciarie con il prossimo.

 

In realtà la sfiducia non è sempre così estrema, e non è sempre patologica, ma è anche vero che non si può generalizzare, «fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio», perché la fiducia dovrebbe dipendere da caso a caso, in quanto di alcune persone è bene non fidarsi, mentre di altre sarebbe un atto controproducente non farlo.

 

Tutti abbiamo provato in prima persona che sapore hanno le emozioni che emergono da una delusione, e la disgregazioni di quel bene prezioso che pensavamo fosse indistruttibile e duraturo resta a lungo una bruciatura scottante, al punto da sviluppare un auto-risentimento o senso di colpa per essersi fidati. Ma fidarsi è una necessità istintiva del nostro cervello che crea benessere interiore, ed è necessario capire che la fiducia è un atteggiamento verso la vita in generale, non verso alcune persone in concreto, ed è più attiva ed efficace nelle persone positive, quelle consapevoli che vivere comporta quotidianamente certi rischi (quello che oggi sembra sicuro, domani potrà essere incerto).

 

OTTIMISMO

FIDUCIA FIDUCIA

Gli psicologi cognitivi ci dicono che la fiducia è alla base dell'ottimismo, il vero motore del benessere personale, talmente speciale da non sentire il bisogno di sapere tutto dell'altra persona, perché appunto ci si fida in modo consapevole, spesso applicando un filtro basato sull'esperienza ove non regni l'esigenza di un ferreo controllo per riaffermare il vincolo di fiducia.

 

Le persone ottimiste e positive infatti sono sempre le più fiduciose, anche perché sanno che senza la fiducia non si va mai molto lontano, e la coltivano ogni giorno nei propri contesti professionali e relazionali, alimentandola con cura, mentre la sfiducia delle persone pessimiste da secoli distrugge i governi più potenti, le leadership più influenti, le più grandi amicizie, i caratteri più forti e gli amori più profondi. E la maggior parte delle volte sottovalutare i sentimenti, le ragioni e le motivazioni che sono alla base di un rapporto di fiducia significa distruggerlo per sempre, salvo poi, troppo tardi, accorgersi che non ne valeva proprio la pena.

 

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Saturday, October 17, 2020

GRANCIPORRO

 

Egli è un granciporro, o Cancer Pagurus (in una foto di Hans Hillewaert). Si tratta di un granchione di mare, europeo, specie delle coste atlantiche, e suo davvero malgrado è considerato una specialità ittica prelibata dai gourmand del continente. Perciò rileviamo subito che il suo nome non è un termine desueto, essendo corrente e usato in pescherie e ristoranti, almeno. Però ha qualcosa di fortemente antiquato, no?

Ebbene, questo suo nome, emerso in lingua veneziana come gransiporo, è frutto della composizione del nome del granchio e quello del paguro. Che quel 'granci' parli di un 'granchio' non ci stupisce; è invece curioso che quel 'poro' prima e 'porro' poi sia un'alterazione del greco páguros (letteralmente codaroccia). Il dato interessante è che 'granciporro' è tratto da questo binomio nel Cinquecento, mentre sarà solo nel corso del Settecento che Carlo Linneo ordinerà la tassonomia del 'Sistema della Natura' con binomi latini, e il suo sarà mantenuto come Cancer Pagurus. Peraltro è un nome che al nostro orecchio suona piuttosto fuorviante, non solo per l'abbaglio del 'porro', ma anche perché questo simpatico crostaceo decapode non è parente stretto del paguro: il granciporro è un granchio, il paguro no.

Ora, 'granciporro' può anche essere usato, con un gusto altamente rétro, per significare l'errore madornale, l'abbaglio, lo strafalcione. In effetti, è giusto un sinonimo di 'granchio' nella locuzione 'prendere un granchio'. Dopo aver realizzato che mi sono arrabbiato con la persona sbagliata, posso scusarmi per il gran granciporro che ho preso, posso notare che il sussiegoso commentatore della notizia ha preso un granciporro per la fretta di esprimersi, ma posso anche dire di essermi accorto del granciporro e di essermi corretto appena in tempo.

[gran-ci-pòr-ro]

SIGN Grosso crostaceo; errore madornale

dal veneziano [gransiporo], composto di [granso] ‘granchio’, derivato dal latino [cancer], e [poro] ‘paguro’, derivato dal greco [páguros].

Questa parola vive una sorte peculiare. Infatti, bontà sua, è citata spesso e volentieri come parola desueta 'da salvare', in affreschi che cercano sempre di dipingere la lingua italiana come un castello di sabbia che sta smottando. La realtà è ben diversa — e qui vedremo virtù e limiti del granciporro.