Wednesday, September 29, 2021

FILOSOFIA

 

[fi-lo-so-fì-a]

SIGN Attività di pensiero che investe i fondamenti della realtà, i principi e le cause, le condizioni della conoscenza, i valori e i problemi legati all’agire umano; pensiero di una scuola filosofica; orientamento fondamentale; serenità

voce dotta, recuperata dal latino [philosòphia], prestito dal greco [philosophía], composto di [phílos] ‘amico’ e [sophía] ‘sapienza’.

Che cos'è la filosofia? E a cosa serve? Ad esaminare gli usi quotidiani di questa parola, si resta un po' interdetti: passiamo da una stoica sopportazione delle avversità della vita (“Devi imparare a prenderla con filosofia”) ad un'assertiva visione imprenditoriale basata su determinati principî (“Questa è la filosofia della nostra azienda”), per concludere con un vano e ozioso sottilizzare (“Sì, vabbè, se ci mettiamo a fare della filosofia non andiamo da nessuna parte…”). Insomma, uno spiazzante connubio di rassegnazione, pragmatismo commerciale e astrattezza teorica. Ma cosa ne dicono gli stessi filosofi?

Pitagora – che secondo la tradizione fu l'inventore del termine e il primo a definirsi tale – non aveva dubbi sul ruolo del filosofo nel consorzio civile: a detta di Cicerone, egli paragonava il mondo a una sagra o fiera, a cui alcuni partecipano per coprirsi di gloria nelle gare, altri per arricchirsi comprando e vendendo, altri ancora, semplicemente, osservando con attenzione ciò che accade e cercando di capirne il senso e i motivi. Questi ultimi sono i filosofi. Non c'è dubbio, quindi: la filosofia non serve a farsi largo nella vita; è un'attività teoretica, contemplativa .

In cosa, poi, esattamente consista tale contemplazione lo precisa Platone, che nel Simposio traccia un parallelismo illuminante tra filosofia ed Eros. Quest'ultimo è descritto come figlio di Poros (espediente, risorsa) e Penia (povertà, bisogno), concepito nel giorno della festa per la nascita di Afrodite. Data la sua origine, Eros più che un dio è un demone, intermedio tra uomini e dèi, sempre alla ricerca del bello ma perennemente insoddisfatto, «povero e scalzo» ma anche «avido d'intendere» e «dedito a filosofare per tutta la vita». Gli dèi, infatti, non filosofeggiano perché già sapienti, e neppure gli ignoranti lo fanno, perché non sanno di non sapere. Per filosofare, dunque, bisogna stare a metà, come Eros, che desidera la bellezza perché ne è privo ma ne sente il fascino. E siccome tra le cose più belle c'è la sapienza, Eros aspira al sapere, quindi è filosofo.

Siamo approdati, chiaramente, alla definizione etimologica della filosofia: amore della sapienza. Aspirazione, cioè, non a questo o quel sapere o tecnica particolare, ma a ciò che costituisce il fondamento di ogni scienza, a partire da un atteggiamento di curiosità intellettuale che è quanto di più umano esista, ma allo stesso tempo, secondo Aristotele, ci rende simili a Dio: se, infatti, «la ragione è qualcosa di divino nell'uomo, la vita secondo ragione è divina rispetto alla vita umana»


 

Saturday, September 25, 2021

SOLECCHIO - BELZEBU'

 

Solecchio

so-léc-chio

Significato In espressioni come ‘fare’ o ‘farsi solecchio’, ripararsi gli occhi da una luce del sole troppo intensa con la mano aperta al sopracciglio

Etimologia dal latino sol ‘sole’, attraverso l’ipotetico diminutivo del latino parlato soliculus.

L’italiano ha una matrice letteraria: la sua storia come lingua della letteratura italiana precede di molto quella come lingua del popolo italiano. Questo però non significa che la lingua italiana, anche nella sua fase letteraria, non sia stata permeabilissima a splendidi usi popolari, in cui troviamo un’autenticità poetica che con mezzi più non è facile raggiungere.

Farsi dai raggi del sole con la mano, coprirsi gli occhi da una luce troppo forte, proteggersi da un sole vivo con la mano aperta al sopracciglio: sono descrizioni lente, in cui si dettagli, non sempre trasparenti, con un quasi inevitabilmente libresco. E questo è drammatico, perché l’azione che indicano invece è fra le più immediate, letteralmente. È un’azione che, quando la facciamo, non si pensa mai — e che però è rilevante, anche perché quando la fanno altre persone si nota sempre.

 

 


[bel – ze – bù]

SIGN Nome di un dio del popolo dei Filistei, il cui culto era celebrato nella città di Ekron; nel secondo testamento è il nome dato al Principe dei Demoni; nella cultura popolare è un diavolo, o anche IL diavolo

dall’ebraico [Ba’al zĕbūb], nome con cui è riportata nella Bibbia una divinità filistea adorata a Ekron.

Con questa parola attraversiamo i secoli, sondiamo le paure e le corde più segrete e sporche che si tendono nel cuore dell’uomo, passiamo per un premio Nobel e sorvoliamo le tradizioni e le superstizioni che permeano le civiltà.

Ma partiamo da ciò che si sa sul dio che portava questo nome: era una divinità filistea, il cui culto si sviluppò particolarmente nella città di Ekron. Gli etimologisti non sono concordi sulla sua origine: c’è chi afferma che il nome fosse Ba’al zĕbūb, col significato di ‘Dio delle mosche’, con Ba’al che significa signore, padrone, di probabile derivazione accadica, e zĕbūb o z’bhubh, cioè mosca.

Alcuni si oppongono a una via etimologica così dritta, proponendo la possibilità che la versione data dalla Bibbia sia in realtà una sorta di ‘presa in giro’ del nome originario, che sarebbe invece Baʿal zĕbūl, in cui zĕbūl, da una radice semitica presente anche in accadico e in arabo formata dalle consonanti z-b-l, sta per principe o anche per colui che si eleva. Stando a quest’ultima ipotesi, dunque, Belzebù non significherebbe Dio delle mosche ma Principe Baal. E Baal in quanto nome lo conosciamo molto bene, poiché è presente in Annibale e anche in Asdrubale. Dobbiamo stupirci? Mica tanto: Annibale il Cartaginese, arcinemico di Roma, di chiamava così perché Cartagine era una città fondata da coloni fenici, popolo semitico anche detto dei cananei, vicini di casa dei filistei.

Tornando al dio Ba’al zĕbūb, va detto che non era visto di buon occhio dagli Israeliti, ovviamente. Lo dimostra benissimo un episodio biblico, narrato nel Libro dei Re, in cui il sovrano d’Israele Acazia manda degli emissari a interrogare l’oracolo di Ba’al zĕbūb a Ekron per sapere se e quando si rimetterà da una caduta dal tetto. Il profeta Elia incontra i messaggeri per strada e, quando viene a sapere il motivo del loro viaggio, non la prende tanto bene. Insomma, andare a rivolgersi a un altro dio…! Inaudito! Fa fare loro dietrofront e li manda a annunciare al re la ferale notizia della sua paralisi totale e permanente. Così impara.

Nel secondo testamento, complice un passo di Matteo in cui Gesù scaccia i demoni e viene frainteso dai benpensanti, Belzebù, o Beelzeboul, come viene chiamato nella traduzione dei Settanta, diventa il principe dei demoni, e quindi un altro nome per Satana, l’avversario, il Diavolo. Da lì la tradizione cristiana ha fatto fiorire una demonologia complessa, che ha permeato le tradizioni e le superstizioni europee nei secoli, fino a far diventare Belzebù anche lo spauracchio dei bambini che non vogliono comportarsi bene. Quando il carbone della Befana non basta si chiama Belzebù, insomma…

Sunday, September 19, 2021

VISCHIOSO

  Vischioso, che specie nel gergo scientifico diventa viscoso, è un aggettivo la cui sonorità ci fa già sentire con le mani dentro la confettura di fragole: la ‘v’ iniziale, negligente e leggera, lascia subito il posto ad una ‘s’ sorda e pesante, la quale si interrompe in un suono occlusivo che occupa tutto il palato, secco, duro [k]. Segue un’altra ‘s’ di chiusura, che, come una lumaca, lascia una scia appiccicaticcia in bocca.

[vi-schió-so]

SIGN Appiccicaticcio, denso, che ha alta viscosità

voce dotta recuperata dal latino tardo [viscosus], [viscum] nel latino classico, nome della pianta del vischio ([Viscum album]).

Se da bambini, rischiando l’avvelenamento, vi siete divertiti a scoppiare tra le dita le bacche del vischio natalizio che la zia portava come strenna la Vigilia di Natale allora conoscete la sensazione tattile che sta alla base di questa parola, e anche un fenomeno chimico che l’uomo ha sfruttato spesso nei secoli.

Saturday, September 18, 2021

IPOGEO

 

Ipogeo

i-po-gè-o

Significato Sotterraneo; che vive o cresce sottoterra

Etimologia voce dotta recuperata dal latino hypogeum, prestito dal greco hypógaios ‘sotterraneo’.

Alcune parole sanno intonarsi al loro significato — e questa particolare armonia va valorizzata. Per fare un esempio a contrario, il termine ‘sotterraneo’ è chiaro: ciò che intende nella maniera più evidente. Eppure il sotterraneo, anche figuratamente, è proprio l’opposto dell’evidente.

Il termine ‘ipogeo’ è un recupero dal latino tardo, a sua volta prestito dal greco, in particolare della voce hypógaios. Ed è esso stesso un recupero tardo, della fine del Settecento. La sua costruzione è semplice: hypó significa ‘sotto’, e lo conosciamo nella di parole che sono composte con l’elemento ‘ipo-;’ è la terra. Quindi l’ipogeo è il sotterraneo.

Non si tratta di una parola — è solo greca, composta di pezzi dei più correnti. Ma questo vale a renderla relativamente inaccessibile, di ricercatezza non , ma coperta. Richiede una certa decifrazione. E qui sta l’ dell’ipogeo col suo significato.

L’ipogeo, aggettivo e sostantivo, non marca in maniera speciale significati di occultamento in recessi posti sotto il livello del terreno. È semplicemente lì sotto. Si dicono ipogei gli organismi che vivono in un ambiente sotterraneo (come pure endogei, cioè che stanno ‘dentro la terra’, quasi ); ipogei gli organi delle piante che crescono sotto la superficie, rizomi, tuberi. E sono ipogei anche gli spazi che sotto terra si allargano, creando vani nella compattezza della terra. Specie, in , tombe. Anzi, questi sono i primi ipogei di cui si è parlato in italiano — di sepolcri ipogei, di ipogei appena scoperti, in cui penetrano a vuoto radici d’albero.

Questa ricercatezza taglia sartorialmente l’ipogeo per registri scientifici e aulici, a cui è particolarmente vocato — ma con queste stesse vesti lo possiamo estendere. Se raccontiamo di come la visita nella grande cantina ci abbia schiuso le porte di vasti odorosi ipogei, del minuscolo ipogeo in cui ci siamo trovati ad abitare per un modico prezzo a quattro cifre, della ragna di ipogei che si allarga collegando i padiglioni dell’, ciò che comunichiamo è un tono ora elevato, solenne, ora ironico, , ora serio, . Un termine appartenente a un certo registro, portatone fuori non è necessariamente fuori posto.

Capiamo così che risorsa di pregio sia e piuttosto , in questa ambivalenza di inaccessibilità relativa che dimostra.
Ma c’è di più — appena una nota, — che ci porta oltre all’archeologia, oltre alla biologia, oltre all’edilizia. Con un gusto di antichità perfino latino, sono detti ipogei anche quei punti della volta celeste che si trovano sotto l’, come anche i punti ‘sotto (sulla) terra’ che si trovano dabbasso nel cerchio dell’orizzonte rispetto a un punto del cielo in alto. Così la collega che sa i moti delle stelle ci indica il punto ipogeo dove si trova grossomodo la luna, mentre io, col mio buon cuore, ammiro la stella brillante sull’ipogeo della casa del mio arcinemico, sperando segretamente che ci caschi sopra.

        Ipogeo di Piazza Duomo - Siracusa, la bella