Monday, February 13, 2023

VIRILITA'

 

VIRILITà

Harvey Claflin Mansfield Jr., il quale nel 2006 ha scritto Virilità, ripubblicato ora da Liberilibri (pag. 420, 20 euro) e di dimostrare che la virilità, caratteristica precipua dell'odiato maschio prevaricatore, «in tutta la sua irrazionalità merita di essere difesa dalla ragione».

Quasi una bestemmia, visto che si manifesta a sostegno di una «mascolinità non tossica» e ridotta. Ma l'analisi di Mansfield prende l'avvio da una costatazione, quasi ovvia. Nonostante la guerra senza quartiere ingaggiata dai diversi movimenti femministi, e i tentativi per cancellarli, gli stereotipi sulle differenze tra uomini e donne resistono.

Gli studi confermano che certi modelli maschili e femminili, lungi dall'essere stati imposti da una cultura prevaricatrice, sono in realtà precostituiti, fanno parte del bagaglio naturale degli appartenenti ai due sessi. Si tratta, peraltro, di ricerche condotte da donne (quali Eleanor Maccoby e Carol Jacklin, Alice H. Eagly, Deborah Tannen), il più delle volte partite con l'intento di dimostrare l'inconsistenza delle differenze psicologiche tra uomini e donne e scontratesi con la dura realtà che tali diversità continua a proporre.

si tratta di differenze naturali che indicano un modo diverso di affrontare la realtà. Insomma, anche se la cosa non va giù alle femministe e ai sostenitori della «società sessualmente neutra», uomini e donne insistono a comportarsi come hanno sempre fatto e per quanto un certo mondo scientifico si sforzi di cancellare gli odiati stereotipi, i fatti, più testardi di loro, si ostinano a ripresentarsi secondo le antiche consuetudini. E ci si mette pure Darwin a confermare che, per colpa dell'evoluzione, una certa maggiore aggressività e forza si ritrovano nei maschi della quasi totalità delle specie animali. Altro che sovrastrutture culturali. Ma, per l'appunto, in cosa consiste questa benedetta virilità.

MASCHILE E DEMMIN ILE SI DIFFERENZIANO DEL 60/40% cioè, se sei donna lo sei al 60% e così tuo marito. Tienilo a mente e procediamo.

 

Per definire la Virilità il filosofo si avvale di testimonianze letterarie, da Omero a Hemingway.  Alla fine, la definizione si può riassumere nel concetto di assertività, cioè nella capacità di far valere le proprie posizioni, all'occorrenza anche con una certa caparbietà unita a una più accentuata aggressività che in natura si manifesta nel controllo del territorio. Mansfield descrive la lunga parabola che nell'ultimo secolo, dalle protofemministe di inizio Novecento alle battaglie degli anni Settanta, ha fatto sì che si imponesse il modello della «società sessualmente neutra».

 

LA RIVOLUZIONE

Una costruzione che pone le sue basi proprio sul darwinismo che ha spogliato l'uomo e la donna della dimensione eterna di creature, riducendoli alla loro parabola biologica le femministe in un primo momento, si limitarono a contestare i ruoli sociali stabiliti per i due sessi, poi arrivarono a rivendicare una propria virilità come via per raggiungere il successo. Una rivoluzione, che sulla scorta del materialismo nichilista, cancella ogni ruolo e propone una liberazione sessuale tutta ricalcata su un modello maschile, predatorio, disgiunto da ogni riferimento alla riproduzione e alla maternità.

Per inseguire la libertà la donna insegue un modello maschile che, paradossalmente finisce per fare il gioco degli uomini i quali se oggi possono godere di una disponibilità sessuale che in passato non avrebbero nemmeno sperato lo devono proprio alle battaglie femministe.

Non basta. Nel tentativo di rivendicare il proprio nuovo ruolo "mascolino", le battaglie femministe si sono concentrate nello sforzo di ridefinire anche quello degli uomini: perché le donne possano competere con gluomini bisogna che questi siano meno aggressivi, meno virili, e più "sensibili" (come, appunto, chiedono gli studenti in piazza con la gonna). Ecco, dunque, comparire sulla scena "l'uomo nuovo", ripulito, aggraziato, sensibile, raffinato, meno rude e muscolare. Se le donne non vogliono più essere femminili, l'uomo non deve più essere maschile.

MATRIMONIO E PATRIMONIO

Un quadro quello tratteggiato da Mansfield che, in qualche modo, la sapienza degli antichi aveva già fissato nelle parole. "Matrimonio", infatti, deriva dal latino "Matris-munus", "il dono della madre". Come dire che la famiglia si fonda sulla donna e sulle sue caratteristiche di accoglienza e accudimento. Così come il "dono del padre" è il "patrimonio" (patris-munus), come dire che l'ufficio del padre riguardava la sfera sociale ed economica.  Penalizzare, limitare, sacrificare la virilità fin quasi a cancellarla, ha reso più felici uomini e donne?  per quanto ci sia sforzati di eliminarla, inoltre, la virilità negli uomini permane e cercare di reprimerla può portare solo a pericolosi eccessi (o carenze), come la cronaca racconta.

Quindi, che fare visto che indietro non si può più tornare? La soluzione del nostro filosofo è che, forse, si può ancora trovare un'occupazione alla virilità così che uomini e donne, ognuno con la sua ricchezza, possano collaborare.  Magari si potrebbe evitare di spingere i bambini maschi a giocare come le bambine; gli uomini potrebbero essere chiamati a essere non solo liberi, ma anche virili

Sunday, December 04, 2022

Cos'è l'algospeak

 

Cos'è l'algospeak, il linguaggio usato online per sfuggire allo shadow ban di TikTok

 
“Le dollar bean” al posto di “lesbian”, la parola “sesso” sostituita con "seggs" o "se$$o" e il vibratore che diventa una “spicy eggplant”: braccio di ferro fra umani e IA per decidere cosa si può scrivere sui social
   

Come altri fenomeni culturali di massa, esattamente come il cinema, la televisione o la pubblicità, Internet ha influenzato il nostro modo di parlare e nel tempo lo ha cambiato: generazioni diverse di persone utilizzano linguaggi diversi e parole diverse per esprimere lo stesso concetto, anche rischiando di non capirsi fra loro. Addirittura, le macchine stanno cambiando le basi della grammatica, spingendoci a usare termini che a scuola vengono indicati come scorretti (celebre è il caso di Google Docs e del “qual è”).

Nell’ultimo paio d’anni è emerso un altro fenomeno, quello del cosiddetto algospeak, di cui a metà aprile ha scritto anche il Washington Post e più di recente pure il New York Times. Il termine nasce dall’unione fra le parole inglesi “algorithm” e “speak” e indica appunto un modo di parlare (“to speak”, in inglese) condizionato dagli algoritmi di intelligenza artificiale cui è affidata la moderazione dei contenuti sui social network. Soprattutto, un modo di scrivere.

Dollari e melanzane per evitare la censura

Succede su Facebook, su Instagram, su Twitch e YouTube e tantissimo su TikTok, dove il grosso del pubblico è costituito da minorenni e dove i controlli sono ancora più serrati. L’idea è quella di evitare la parole vietate e di usarne altre al loro posto, eufemismi o perifrasi per esprimere lo stesso concetto: in inglese, per esempio, si scrive “le dollar bean” o “le$bian” al posto di “lesbian” (lesbica), “nip nops” invece di “nipples” (capezzoli), “spicy eggplant” (melanzana piccante) per intendere un vibratore, mentre chi fa parte della comunità Lgbtq si descrive come parte della comunità “leg booty”.

In italiano è più difficile, perché la nostra lingua si presta meno a questi giochi, ma non è raro trovare “se$$o” al posto di “sesso”, parole troncate perché quella intera è proibita (succede con “russia”, che su TikTok diventa “russ”) o emoji come quella della tromba, della pannocchia o dell’immancabile melanzana (che però è una delle più sgradite) a indicare che si sta parlando di sesso. Anche se in misura minore, è un problema che hanno pure giornali e giornalisti, che si trovano in difficoltà quando devono raccontare un fatto di cronaca o una guerra, e dunque usare termini come “morte”, “omicidio” o “delitto”.

Succede per evitare che i propri contenuti, che siano post, foto o video, vengano bloccati o rimossi dalle piattaforme o che venga loro impedito di raggiungere un pubblico più ampio e avere successo. È una questione di libertà di parola e di difesa della possibilità di esprimersi come si vuole sugli argomenti che si vuole, ma non è solo questo. È anche una questione di soldi: sui social, soprattutto su YouTube, i contenuti che contengono parole vietate rischiano di essere demonetizzati (cioè non possono essere accompagnati da banner pubblicitari) o di vedere abbassati i loro livelli di CPM ed RPM, cosa che si riflette sui guadagni di chi li ha creati.

Per TikTok vale un altro discorso ancora: come su Italian Tech spiegammo a fine 2021, la sua sezione Per Te, quella dove stanno i video potenzialmente di maggiore successo, è totalmente gestita da un algoritmo di categorizzazione, che decide che cosa far vedere a chi e si basa (anche) sui parametri del linguaggio. E pubblicare un video che contenga frasi o parole non consentite non è esattamente un buon modo per farlo diventare virale.

Che c’entrano le intelligenze artificiali

Perché succede tutto questo? Meglio: perché i social network usano le IA per la moderazione dei contenuti, partendo (per semplificare) da un elenco di parole vietate che si arricchisce man mano che il software impara il linguaggio delle persone? Banalmente, perché ormai le piattaforme sono diventate talmente grandi e ospitano una mole talmente grande di contenuti che non potrebbero farcela a gestirli senza un aiuto esterno. Un aiuto artificiale, cioè.

Facebook ha quasi 3 miliardi di utenti attivi al mese, YouTube oltre 2 miliardi e mezzo e TikTok ben oltre 1 miliardo. Sono tutte persone che scrivono, si fotografano, si riprendono e poi pubblicano. Pubblicano di continuo: su YouTube vengono caricate più di 500 ore di video ogni minuto, cioè 30mila ore di contenuti ogni ora; negli ultimi 3 mesi del 2021, TikTok ha rimosso oltre 91 milioni di video per le più diverse violazioni, che sono tantissimi, ma rappresentano meno dell’1% di quelli caricati nel periodo. Capito il punto? Il punto è che un team di moderazione affidato solo alle persone, per quante possano essere, non riuscirà mai a stare dietro a questa invasione quotidiana di post, foto, video, reel, Storie, tweet, live e così via. Ed è per questo che i siti si affidano alle intelligenze artificiali, per fare gran parte di questo lavoro.

Cosa che poi porta noi umani a cercare sempre nuovi modi per fregarle e aggirarle: non c’è niente di male in questo, e anzi forse fa un po’ parte della nostra natura. Però vale la pena fare una precisazione. Non è che Facebook, TikTok e YouTube ci vogliano tutti pudichi e perfettini, perché sanno benissimo che così finirebbero per non rappresentare il mondo reale: queste regole non sono lì per noi, sono per chi finirebbe per esagerare e andare oltre, per chi farebbe diventare TikTok una nuova versione di OnlyFans. Anzi: per chi ha fatto diventare OnlyFans quello che è adesso, e che decisamente non è quello che avevano in mente i suoi creatori.

Tuesday, March 15, 2022

GUERRA- LE PAROLE PER DIRLO

 

LE PAROLE PER DIRLO

 
Mntre Putin punisce l'uso della parola "guerra" e l'Europa non la pronuncia per esorcizzarla, Macron chiama le cose con il proprio nome:
"Macron: "La guerra durerà, meglio prepararsi"

Il presidente francese ha annunciato che il governo sta preparando un "piano di resilienza" per far fronte alle inevitabili conseguenze economiche

La guerra in Ucraina "durera'" ed e' quindi meglio "che ci prepariamo". Queste le parole del presidente francese Emmanuel Macron al Salone dell'Agricoltura. Poi, l'annuncio che il governo sta preparando "un piano di resilienza" per far fronte alle conseguenze economiche della crisi ucraina. "La guerra è tornata in Europa. E' stata scelta unilateralmente dal presidente Putin. Sicuramente ci saranno conseguenze sulle nostre esportazioni per le grandi filiere", per esempio vino cereali e foraggi, ha detto il capo dello stato all'inaugurazione del salone a Parigi. Gli addetti del settore agroalimentare temono le ritorsioni russe in risposta alle sanzioni occidentali. Molti gruppi francesi, come Lactalis, hanno stabilimenti in Ucraina.
...in Ucraina, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky annuncia che "una nuova giornata è iniziata sul fronte diplomatico" proprio con "un colloquio con Emmanuel Macron".  "Armi ed equipaggiamenti dai nostri partner sono sulla via dell'Ucraina. La coalizione anti-guerra sta funzionando".
 
MENTRE PRONUNCIAVA QUESTE PAROLE, OSSERVATE IL LOOK DEL DAMERINO MACRON CHE NON SI DIMENTICA MAI DI ESSERE A CAPO DI UNA NAZIONE CHE FA TENDENZ.
SI PRESENTA CON IL LOOK DEL GUERRIGLIERO,
PER SOTTOLINEARE CHE STA PARLANDOP DI GUERRA...

Friday, January 07, 2022

RACA - TEREBRANTE -

 

[rà-ca]

SIGN Voce che compare nel Vangelo secondo Matteo come insulto; ingiuria che sottolinea la stupidità e la pochezza di una persona

adattamento, attraverso il greco neotestamentario [rakà] dalla parola aramaica [reqā], cioè vuoto, stupido, da [rīq], ovvero vuoto, forse derivato da una parola accadica o da una parola caldea.

Questa parola si trova nel Vangelo secondo Matteo, e in alcuni alti esempi letterari — ma può avere una sua ricercata utilità. Andiamo con ordine e partiamo dal brano neotestamentario che la contiene e che ha dato il la al concerto.

Matteo, 5, 22,: «chi dirà al suo fratello ‘raca’, sarà sottoposto al sinedrio». Bene, ma non molto chiaro: che cosa si intende con ‘raca’ e perché pronunciarlo è cosa sì grave da meritare il giudizio di fronte al tribunale? Guardiamo al contesto: siamo nel pieno del Discorso della Montagna, Gesù ha appena enunciato le beatitudini («Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. [...]») e ora parla della nuova legge di amore e rispetto reciproco che è venuto a dare agli uomini. Pochi versetti dopo pronuncerà il famoso ‘porgi l’altra guancia’. Insomma, siamo nel cuore del messaggio cristiano — ed è uno dei motivi per cui questa rara parola ha continuato a girare.

‘Raca’ è una voce aramaica, di probabile origine accadica o caldea, non si sa con certezza, che molto semplicemente significa ‘stupido, testa vuota’. In breve, Cristo dice che chi insulta il proprio fratello dovrà rendere conto di questo atto d’odio, perché il peccato, come viene espresso nella parte della messa chiamata Confiteor, avviene in “pensieri, parole, opere e omissioni”. E sì, nel discorso di Gesù l’offesa è considerata estremamente grave, perché essa corrompe lo spirito e apre la porta che conduce poi dalla parola all’atto.

Raca è una parola che fin da subito non è stata tradotta: è stata lasciata così dai Settanta che volsero la Bibbia in greco e tale è rimasta nella Vulgata. In italiano non è entrata da sola, ma si è accomodata in locuzioni ricorrenti. La ritroviamo infatti in scrittori del calibro di Pascoli e Carducci, addirittura Mazzini, sempre in espressioni come ‘gridare raca di qualcuno’, ‘dire raca a qualcuno’.

Ecco perché, certamente, come insulto in sé non è dei più efficaci: l’offesa, per toccare le corde più sensibili e andar dritta al punto, deve essere immaginifica, concreta, deve saper parare davanti agli occhi il brutto e lo squallido, prendere i capelli. Raca… semplicemente a noi non dice nulla!…


[te-re-bràn-te]

SIGN Insetto imenottero dotato di ovopositore perforante; di dolore profondo e penetrante

voce dotta recuperata dal latino [terebrans], participio presente di [terebràre] ‘forare’, sottinteso ‘con la tèrebra’; [terebra] significava ‘succhiello’, ed è derivato di [tèrere] ‘sfregare’ .

Avvicinarsi a una parola terribile mette spesso a disagio: nei vocabolari non ci sono forse abbastanza parole gradevoli che ci permettono di muoverci da corolla a corolla come api spensierate? Perché incupirsi?
La risposta è piuttosto semplice e ha una radice solida: molte parole terribili servono precisamente a dissipare il cupo, a misurarlo. Non si contano le fiabe tradizionali in cui spiriti nocivi vengono domati scoprendone il nome, e l’allegoria popolare nasconde una verità profonda.


 

Thursday, December 30, 2021

DOH -

 

Doh

[dòh]

SIGN Imprecazione di disappunto e frustrazione; anticamente, interiezione dai significati molteplici, fra cui rimprovero, sdegno, meraviglia o esortazione

voce onomatopeica.

Ma veramente l’imprecazione tipica di Homer Simpson si trova a registrata sul Vocabolario degli Accademici della Crusca, ed è attestata in italiano dalla fine del Trecento? La risposta breve è ‘no’, ma c’è qualcosa di profondamente curioso e in un certo senso sbagliato, in questo ‘no’.

Homer Simpson, fra i protagonisti della più celebre serie comica animata al mondo (I Simpson, iniziata negli anni ‘90) esprime il proprio disappunto esclamando un sonoro doh, spesso graficamente reso come d’oh. Si tratta del modo in cui il doppiatore originale di Homer Simpson, Dan Castellaneta, ha reso la dicitura che sulla sceneggiatura compariva come annoyed grunt (diciamo ‘grugnito infastidito’) con cui Homer doveva reagire in certi casi, e che è diventata la sua reazione distintiva. Castellaneta però non ha inventato questa esclamazione; l’ha mutuata da un attore del cinema comico, diventato celebre fra gli anni ‘20 e ‘30 specie come spalla di Stanlio e Ollio: James Finlayson. Per ammorbidire l’esclamazione di disappunto ‘Damn!’ era solito proferire un eufemistico ‘Doh-ho!’ (ne possiamo vedere e sentire un esempio qui), più protratto e meno grugnito del ‘Doh’ homerico.

Ora, attraversando la nostra letteratura, specie più antica, capita di imbattersi in non pochi doh. Si trova proposto (nelle fonti che se ne interessano) che questa interiezione abbia un’origine espressiva, onomatopeica — ma mentre il doh di Homer ha un significato piuttosto netto, il doh dell’italiano antico ne aveva di variegatissimi: oltre ad essere una generica imprecazione, poteva comunicare riprensione e rimprovero, come anche sdegno disappunto e rammarico, ma poteva orientarsi al positivo trasmettendo desiderio e meraviglia, e perfino introdurre un’ esortazione o una preghiera. Potevo quindi dire “Doh, che cretino” e “Doh, che bellezza”, “Doh, come vorrei una fetta di torta” e “Doh, pensaci tu!”. Spesso le nostre interiezioni hanno spettri di simile ampiezza (pensiamo alle versatilità di ‘oh’, ‘ah’, ma anche ‘cavolo’ e simili), però il doh è stato a mano a mano dismesso…

PER NON DIMENTICARE...


[pro-me-tè-i-co]

SIGN Di Prometeo; che esprime una ribellione, una sfida a forze o autorità superiori, anche votata al fallimento

dal nome di [Prometeo], titano del mito classico.

Il mito vive su due binari molto diversi: da un lato i riferimenti mitologici hanno dei tratti aulici, statuari, marmorei, di cultura elevatissima, e afferiscono a grandi bacini letterari; dall’altro consiste di narrazioni a cui ancora oggi viene esposta la prima gioventù e che variamente ci accompagnano per tutta la vita, con una forte risonanza popolare: gli elementi del mito diventati proverbiali non si contano.

Gabriella Carlucci


[ca-so-mà-i]

SIGN Nel caso che; semmai

unione di [caso] e [mai].

Parola corrente, semplicissima, che non balza all’occhio. Addirittura pare una mera giustapposizione fra due parole ancora più comuni, quanto possono esserlo ‘caso’ e ‘mai’. E che però crea una sinergia poetica di sintesi formidabile: è in queste forze discrete, che non si fanno notare che sta la gran parte dell’intensità retorica del nostro discorso. Diciamolo subito: è merito del ‘mai’, un ingrediente cardinale, dalla versatilità incredibile — ma la sua enfasi sta tutta nel ‘caso’.

Il casomai conduce una doppia vita, come congiunzione e come avverbio. Nella prima veste significa ‘eventualmente, nel caso che’: «Casomai non ci vedessimo prima di capodanno, buona fine e buon inizio», dice la persona che non ha intenzione di contattarti per rifarti gli auguri; «Non ti disturbare, casomai ne avessi bisogno lo andrei a prendere io» dice la persona che non sa ancora se è proprio necessario questo recupero, e che avanza un’ipotesi poco probabile.
Nella seconda veste, quella avverbiale, ha un atteggiamento restrittivo: mi dici che dovresti essere casomai tu a lamentarti, e non io, mentre io chiarisco che alle poste passerò casomai domani…


 

Sabina Began