Saturday, February 24, 2018

amici miei

Aldo Vincent
amici miei
sono in un guaio immane


praticamente sono in mezzo ad una strada in un paese dove ho dimenticato la lingua
Cristo la vedo brutta...
clicca qui e aiutami se puoi:

Friday, February 23, 2018

LESTOFANTI

La fake news sulla cugina di Renzi: «Lestofanti che provano a influenzare la campagna elettorale»

Sta girando su Facebook l'immagine di una presunta parente dell'ex premier

«Questa è Francesca Renzi, cugina di Matteo Renzi. Assunta come portaborse al Senato, guadagna 23 mila euro al mese! Se sei indignato anche tu, condividi». Lo schema è il solito, con cui spesso vengono attaccati i presunti parenti di Laura Boldrini: ci sono le corsie preferenziali concesse ai parenti dei politici, un riferimento a stipendi da capogiro e uno dei protagonisti della campagna elettorale. A condividere l'immagine della finta cugina dell'ex premier sono stati in oltre 50 mila. Un migliaio i Mi piace, mentre scriviamo. 


dittologia

La parola del giorno è

Dittologia

[dit-to-lo-gì-a]
SIGN Figura retorica che consiste nell’accostamento di termini sinonimici per veicolare un unico concetto
Dal greco [dittologhía] ‘ripetizione di parole’, composto da [dittós] ‘doppio’ e [-loghía], derivato di [lógos] ‘parola’
Molto bianchi, erano i capelli del vecchierel canuto e bianco del componimento del Petrarca battezzato dal primo verso – “Movesi ‘l vecchierel canuto e bianco”, appunto. Anzi, più che molto bianchi, potremmo dire bianchi bianchi. Insomma, il succo è questo: ciò che il poeta aretino ci vuole far capire è che questo vecchino ha i capelli davvero bianchi. Per farlo ha usato una dittologia, che in questo caso è composta da due aggettivi ('canuto' e 'bianco'), sostanzialmente sinonimi; seguendo il suo esempio, la dittologia l’ho usata anche io, formando il superlativo dell’aggettivo 'bianco' ripetendolo nella sua forma positiva.
A che scopo, questa ridondanza? Semplice: come tutte le iterazioni, serve a ribadire il concetto, sottolinearlo, metterlo in evidenza per assicurarsi che il messaggio arrivi forte e chiaro. Ecco il motivo dei passi tardi e lenti, sempre petrarcheschi, con cui l’autore va i più deserti campi mesurando nella lirica “Solo et pensoso”; son passi non solo lenti, ma di più: trascinati e ponderati tutti quanti, uno per uno.
Per quanto – oggettivamente – si tratti di una sovrabbondanza, tuttavia i nostri occhi e orecchie non ne sono infastiditi, perché – altrettanto oggettivamente – si rendono conto dell’apparentemente paradossale necessità di questa sovrabbondanza. La lingua è economica e tende a stringere, depennando ciò che non è strettamente necessario: perché sentiamo dire più spesso “se lo vedevo lo salutavo” di “se lo avessi visto lo avrei salutato” (e non rabbrividite, lo fece anche il Manzoni)? Non per colpa di un’intrinseca complessità del periodo ipotetico, ma grazie alla simmetria della forma scorretta, cui il parlante tende per economizzare il discorso. Questa economia però non colpisce la dittologia, non solo per via del significato, percepito come diverso rispetto a quello percepito con l’uso di un solo termine, ma anche perché la lingua quotidiana è piena zeppa di frasi fatte sotto forma di dittologie: a parte l’esempio di poche parole fa, tutti sappiamo che principe e principessa – quelli che c’erano una volta – hanno poi vissuto, dopo tutte le peripezie, felici e contenti; le cose possiamo farle come ci pare e piace; chi litiga con uno grande e grosso non è detto che poi ne esca vivo e vegeto. Notate per caso una vecchia conoscenza? Gli ultimi tre esempi, oltre a essere dittologie, sono anche allitterazioni: non solo si son legate due parole per esprimere un unico concetto, ma sono unite anche dal punto di vista fonico.
In sintesi: quando due termini (non solo aggettivi) coordinati veicolano un unico concetto, abbiamo una dittologia, e in termini retorici definiamo così anche la ripetizione dello stesso identico termine (in questo caso un aggettivo o un avverbio: piccolo piccolo, piano piano) per formarne il superlativo. Facile facile!
* * *

Thursday, February 22, 2018

de luca

“SFESSATO”, “SVENTURELLA”, “SCIAMANNATI” - IL VOCABOLARIO DI VINCENZO DE LUCA PER GIORNALISTI E AVVERSARI POLITICI E’ DA ANTOLOGIA DELL’OSTERIA: “SAVIANO E’ UN CAMORROLOGI DI CORTE, E’ UN PIPÌ, UN IMBECILLE”, “TRAVAGLIO ASPETTO DI INCONTRARLO PER STRADA, AL BUIO”, “I 5STELLE? CHE LI POSSANO AMMAZZARE TUTTI" , "ROSY BINDI DA UCCIDERE"-

 http://cdn-static.dagospia.com/video/02-201/VINCENZO_DE_LUCA_CONTRO_FANPAGE-1088.mp4


Estratto dell’articolo di Enrico Fierro per “il Fatto Quotidiano”

IL DITO MEDIO DI VINCENZO DE LUCA AI GRILLINI  
IL DITO MEDIO DI VINCENZO DE LUCA AI GRILLINI
 
L' operazione è "squadristica", "camorristica", quindi chi la fa è uno squadrista e pure camorrista. Ma non basta, a quei signori di Fanpage.it, "faremo ringoiare tutto". Parola di Vincenzo De Luca, governatore della Campania, azionista di maggioranza del Pd nella regione e padre-padrone di Salerno. Minacce verbali che hanno acceso gli animi dei suoi supporter che subito sono passati ai fatti.

vincenzo de luca con i figli roberto e piero vincenzo de luca con i figli roberto e piero
 
[…] "Giornalisti pipì". Vicienz, come lo chiamano a Salerno, non li sopporta i cronisti, soprattutto quelli che si occupano di lui e del suo sistema di potere. Il giornalismo praticato da Fanpage.it è solo "una vergogna nazionale". E neppure Marco Travaglio, Milena Gabanelli e Roberto Saviano gli piacciono. Il direttore di questo giornale gli fa venire l'orticaria perché è "un grandissimo sfessato", "un pipì", è "scorretto, un imbecille". Contumelie pronunciate e pure applaudite nel corso di una manifestazione del suo partito, il Pd, nel 2010, e condite da una minaccia.

VINCENZO DE LUCA DISCUTE CON I CENTRI SOCIALI PER STRADA VINCENZO DE LUCA DISCUTE CON I CENTRI SOCIALI PER STRADA

"Aspetto di incontrarlo (Travaglio, ndr) per strada, al buio". Querelato, De Luca ha perso vedendosi condannare anche al pagamento di una ammenda di mille euro. Non va d'accordo neppure con Milena Gabanelli, che un giorno ebbe la cattiva idea di fare un servizio di Report sulla pizza. Per replicare, il governatore si fece riprendere mentre addentava una "margherita", da lui per l'occasione ribattezzata pizza "sventurella", dedicata, ovviamente alla Gabanelli, "signora di sventure".

VINCENZO DE LUCA DISCUTE CON I CENTRI SOCIALI PER STRADA VINCENZO DE LUCA DISCUTE CON I CENTRI SOCIALI PER STRADA
Contumelie anche per Roberto Saviano, "camorrologo di corte e salotti", uno che ha bisogno di "inventarsela la camorra anche dove non c'è, altrimenti rimane disoccupato". Odio e rancore verso i giornalisti "sciammannati, sfessati, iettatori".

Ce n' è per tutti. Anche per gli avversari politici. Gli attacchi più volgari, con minaccia inclusa, a Rosy Bindi, che da presidente dell' Antimafia ebbe la pessima idea di inserire De Luca in un lungo elenco di impresentabili alle elezioni regionali del 2015. "Una cosa infame, da ucciderla. Ci abbiamo rimesso il 2% dei voti. Un atto di delinquenza politica", disse a Matrix in un fuorionda poi trasmesso. Ovviamente, anche quello di Matrix fu giudicato "un atto di delinquenza giornalistica".

vincenzo DE LUCA vincenzo DE LUCA
Ma la maledizione di De Luca non si ferma alla Bindi. I 5stelle? "Che li possano ammazzare tutti". Di Maio? "Sfaccendato che sbaglia i congiuntivi. Lo cacciarono da steward allo stadio San Paolo perché portava seccia (sfortuna, ndr) e il Napoli perdeva sempre". L'elenco di attacchi, volgarità e minacce del "nostro" è sterminato. La definizione di "personagetti" rivolta ai suoi nemici ha fatto la fortuna di Crozza, ma di comico nel linguaggio di De Luca c' è ben poco. […]

 Francesca, e l'apostrofo?

Tuesday, February 20, 2018

lampante

La parola del giorno è

Lampante

[lam-pàn-te]
SIGN Lucente, splendente, limpido; chiaro, palese, evidente
participio presente di [lampare] 'lampeggiare', dal greco [lampo] 'splendere'.
Nella platea mentale delle parole il lampante si siede vicino al lampo, alla lampada, al lampione, ma rispetto a questi è un termine un pochino più ricercato.
Ha la forma di un participio presente, vestigio del verbo 'lampare', che nell'italiano corrente è del tutto desueto: sopra di esso si è affermato, con lo stesso significato, il verbo 'lampeggiare'. Quindi il lampante sarebbe qualcosa che lampeggia, che scintilla: in passato l'uso concreto andava più forte, e si dicevano lampanti soprattutto le monete, magari nuove di zecca, così come i liquori e vini limpidi e di colore brillante. Il lampante non ci presenta quindi una luce stabile, ma la luce riflessa, interrotta e mobile, del trasparente e del lucido.
Oggi questi caratteri del lampante li rinvestiamo volentieri in un senso figurato - un senso che è emerso solo nel corso del Settecento, mentre gli altri erano quattrocenteschi: lampante diventa ciò che è di tutta evidenza, palese. Come evidente e palese è ciò che è tanto chiaro e brillante da rimandar luce. Il menagramo trova nell'imprevisto la conferma lampante delle sue previsioni funeste, in tribunale l' avvocato produce una prova lampante dell'innocenza del suo assistito, fingiamo di credere alla menzogna lampante, e serviamo cerimoniosamente le uova sode come fossero testimonianza lampante delle nostre alte doti culinarie.
Un altro uso diverso e molto simpatico, ma ormai quasi del tutto andato per obsolescenza tecnologica, vede nel lampante ciò che è adatto a fare da combustibile per le lampade: il suocero fa un olio d'oliva così immondo che è buono come olio lampante, e riguardando il lume che ormai fa solo da soprammobile ci rammentiamo del petrolio lampante che comprava il nonno.
Una parola leggera, immediata, che ha tutta l'incisività del parlare direttamente ai sensi.
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Sparuto

[spa-rù-to]
SIGN Macilento, smunto, gracile; di numero esiguo, irrilevante
forma arcaica del participio passato di [sparire].
L'origine di questo aggettivo può disorientare: infatti, propriamente, sarebbe un participio passato arcaico del comune verbo 'sparire' - quindi, un omologo di 'sparito'. Ma i significati di 'sparuto' divergono molto da quelli di 'sparito', e c'è da capire quale sia il sentiero di senso da percorrere.
Il primo significato con cui 'sparuto' è emerso nella nostra lingua, nel Trecento, è quello di macilento, smunto, piccolo e gracile; iperbolicamente ci possiamo figurare questa condizione di minutezza come a un passo dallo sparire. Dopotutto anche la nonna, notando che abbiamo perso un chilo dei molti in più che abbiamo addosso ci dice "Sei sparito, tieni la terza porzione di lasagna". Possiamo quindi dire che era sparuto il cagnolino abbandonato che abbiamo adottato, l'influenza durata a lungo ci lascia deboli e sparuti, e domandiamo all'amica che succede, vediamo che ha il viso un po' sparuto.
Questa ideale tensione verso lo sparire si trova anche - e forse in maniera più evidente - nel secondo significato, tardo settecentesco, che questa parola ha acquisito: lo sparuto diventa ciò che conta un numero esiguo di elementi, fino all'irrilevanza. Il gruppo sparuto di manifestanti cerca di raccontarsi come sollevazione popolare, in pochi minuti del vasto buffet resta solo qualche tartina sparuta risparmiata per cortesia, e l'amico ha in capo una chioma sparuta che si ostina a portare lunga.
Una parola versatile, che trova un'immagine aggraziata per significare il malconcio e il rado.
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Prerogativa

[pre-ro-ga-tì-va]
SIGN Privilegio, diritto; peculiarità, caretteristica distintiva
voce dotta recuperata dal latino [praerogativa], sostantivazione dell’aggettivo [praerogativus] 'che esprime un parere prima degli altri', da [prae rogatus] 'interrogato prima'.
Questa parola ci apparecchia dei significati davvero interessanti e utili, ma soprattutto ha un'etimologia sorprendente.
Nell'ordinamento dell'antica Roma la prerogativa era la centuria che, fra i comizi centuriati, votava per prima. Per chi non lo ricordasse, quella dei comizi centuriati fu forse l'assemblea più importante di Roma, dai tempi di re Servio Tullio fino ad Augusto: secondo la logica per cui il cittadino era anche soldato, i cittadini romani erano suddivisi in classi in base al censo, cioè in base alla loro ricchezza; i cittadini delle classi più ricche erano tenuti ad avere (li pagavano di tasca propria) armamenti migliori, e ricoprivano ruoli militari più importanti, mentre quelli delle classi più povere portavano armi più modeste e avevano ruoli più umili - fino ad essere esentati del tutto dal servizio militare. Ciascuna classe si articolava in un certo numero di centurie, gruppi (non necessariamente di cento persone, a dispetto del nome) che, nell'assemblea dei comizi centuriati, esprimevano ciascuno un voto collettivo. Le competenze di quest'assemblea erano di assoluto rilievo, e andavano dall'elezione delle magistrature maggiori, alla votazione sulle leggi, fino anche a funzioni giurisdizionali. Ad ogni modo, nell'assemblea votavano per prime le centurie delle prime classi, in ordine discendente; e fra quelle della prima classe veniva estratta a sorte - e qui chiudiamo il cerchio - la prerogativa, quella che avrebbe votato avanti a tutte le altre. Un voto importante, perché ad esso volentieri si uniformavano i seguenti.
In italiano la prerogativa riemerge nel XIV secolo, indicando un privilegio, un diritto riconosciuto - qual era quello della prerogativa romana - specie attribuito a cariche pubbliche: parliamo della prerogativa regia per cui il Re d'Italia poteva nominare intere infornate di senatori, delle immunità che sono prerogative di capi di Stato, di parlamentari, di diplomatici. Ma possiamo anche parlare di come il più esperto della squadra abbia la prerogativa dell'ultima parola, o della moglie che ha la prerogativa nella scelta del menu. Inoltre - e sempre già dal XIV secolo - la prerogativa prende anche il significato di peculiarità, di caratteristica specifica: non proprio un privilegio, ma comunque qualcosa che distingue. L'abilità straordinaria nel passaggio è una prerogativa del tal giocatore di basket, il celebre accademico ha la prerogativa di una simpatia travolgente, e quel cuoco ha la prerogativa di un estro impareggiabile nella reinterpretazione dei piatti della tradizione.
Una parola delle più suggestive, che a partire da una consistenza storica notevole è stata capace di trovare sbocchi di significato sempre più vivaci.
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20 feb

La parola del giorno è

Pericope

[pe-rì-co-pe]
SIGN Breve passo estratto da un testo; nella liturgia cristiana, passo delle Sacre Scritture letto durante la messa
dal latino tardo [perìcope], dal greco [perikopé], da [perikòpto] 'taglio intorno', composto da [peri-] 'intorno' e [kopto] 'taglio'.
È sempre entusiasmante poter dare un nome nuovo e più preciso a qualcosa che popola le nostre giornate. In questo caso, nome dottissimo, oggetto comunissimo.
La pericope è un breve passo estratto da un testo, e l'immagine da cui scaturisce questo significato è semplice e fisica: il ritagliare. Consiste di poche righe, che ritagliate da un testo più lungo e complesso rappresentano un nucleo di senso, contenendo per esempio una riflessione, o un episodio. Scorrendo il social network troviamo una pericope tanto suggestiva che decidiamo di comprare subito il romanzo da cui è presa; la presentazione si apre con una pericope particolarmente pregnante; e conserviamo il biglietto d'auguri che riporta una pericope a cui siamo molto affezionati. Nella liturgia cristiana questa parola ha avuto una grande fortuna, descrivendo giusto i passi delle Sacre Scritture che vengono letti durante la messa, o degli estratti significativi di cui si vuol fare un'esegesi attenta.
È una parola che permette di emanciparsi dalla genericità usata e un po' ruvida del brano, e rispetto al passo o al passaggio - momenti di un fluire - evidenzia l'atto del prendere, o appunto del ritagliare.
Certo se comunemente parliamo di pericopi potremo vedere qualche sopracciglio che si alza, ma la gratificazione del nome giusto - e perciò del pensiero giusto - è un bell'incentivo a osare.
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Ficcante

[fic-càn-te]
SIGN Che mira dritto allo scopo, efficace, penetrante, incisivo; in balistica, di tiro battuto dall'alto in basso
participio presente di [ficcare], che è dal latino [figere] 'infiggere', attraverso l'ipotetica forma intensiva del parlato [figicare].
Il verbo 'ficcare' ha una potenza espressiva notevole. È un mettere, un far penetrare, un piantare davvero incisivo, e popola con colore i nostri discorsi quotidiani.
Ora, il suo participio presente (che letteralmente dovrebbe descrivere l'azione attuale di un mettere, di un conficcare) dà vita a un aggettivo che forse è meno comune, ma che è parimenti potente e versatile. Si dice ficcante ciò che va dritto al cuore di una questione, ciò che mira senza ambage allo scopo, e quindi ciò che è specialmente penetrante ed efficace. Una critica ficcante coglie il nocciolo del problema, un intervento ficcante risolve la situazione difficile, e nel gergo sportivo si può parlare di un passaggio o di un tiro ficcante; analogamente la descrizione ficcante centra i caratteri del personaggio, e la metafora ficcante dipinge la situazione in maniera incisiva. Il ficcante, insomma, entra in profondità.
Nel gergo militare, invece, questo aggettivo prende dei connotati peculiari: è ficcante il tiro battuto dall'alto verso il basso, un tiro forte di una quota superiore e perciò molto efficace, quasi fosse mosso per essere ficcato a terra.
Una parola da avere presente, perché è essa stessa molto ficcante.
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Giovinezza

[gio-vi-néz-za]
SIGN Età che segue l'adolescenza e precede la maturità; primo periodo di sviluppo; freschezza, vitalità, vigore
derivato di [giovine], dal latino [iuvenis].
Dato che si tratta di una delle più colossali ossessioni dell'umanità, e che in quanto tale attraversa il pensiero e la letteratura dagli albori a oggi come un elefante nel centro commerciale, non è che resti molto di nuovo da dire, sulla giovinezza. Ma un paio di cose curiose sì.
Innanzitutto, possiamo notare che letteralmente la giovinezza è l'essere 'giovine', allotropo di 'giovane' tanto desueto e aulico da essere comico, ed è strano realizzare che lo teniamo in bocca ogni volta che evochiamo la giovinezza. Peraltro, quando questo termine è emerso in italiano, nel XIII secolo, si contendeva la piazza giusto con 'giovanezza' - che per bizzarra simmetria ci sembra stranissimo, anche se comunemente parliamo di 'giovani', e non di 'giovini'.
Sui dizionari si trova riportato che la giovinezza, quale età umana e animale, è compresa fra l'adolescenza e la maturità, anche se questa divisione pare un po' arbitraria: l'idea che la giovinezza cominci può parere bislacca. Al massimo - e questo è il problema annoso - finisce. Difatti, figuratamente, la giovinezza diventa il primo periodo di vita e sviluppo di qualcuno o qualcosa, e quindi il carattere del nato da poco: le vette aguzze delle montagne ne rivelano la giovinezza, nella giovinezza dell'arte cinematografica già si sperimentava il 3D, e l'aspra erosione denota lo stadio di giovinezza del corso d'acqua.
Inoltre questo termine, per le qualità che idealmente si riconducono alla giovinezza, si fa sinonimo di freschezza, vigore, vitalità: colpisce la giovinezza dei versi di una poesia, la squadra attempata coglie ogni nuova opportunità con giovinezza di spirito, e il bravo professore comunica la giovinezza del senso di un'opera antica. Poi la giovinezza è anche un'età di intemperanza, ma questo i dizionari non lo dicono: a volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.
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(Lorenzo de Medici, Trionfo di Bacco e Arianna)

Quanto è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia
Di doman non c’è certezza.

Questo ritornello è diventato proverbiale, grazie anche alle rime semplici e al ritmo vivace; infatti la poesia appartiene ai “canti carnevaleschi”, un genere di origine popolare. Inoltre Lorenzo riesce a condensare in poche parole l’attitudine umana nei riguardi della giovinezza: da un lato essa ci appare piena di gioie e promesse, dall’altro sembra che ci sfugga dalle mani.
In effetti il fascino del ritornello sta proprio in questo paradosso: come nel fulcro di una tromba d’aria c’è la quiete, così nel colmo dell’allegria carnevalesca emerge la malinconia di fondo.
Peraltro alla base c’è un dramma molto concreto. Lorenzo era stato un giovane affascinante, intelligentissimo, potente. Per pochi anni ogni opportunità era stata nelle sue mani, mentre attorno a lui le arti erano in piena fioritura. Non a caso parliamo di Rinascimento, parola che evoca freschezza e innovazione.
Poi, nel 1478, una congiura di palazzo ha portato alla morte suo fratello Giuliano; Lorenzo lo seguirà nel 1492, due anni appena dopo la stesura di questo componimento. E con Lorenzo muore un intero mondo: gli equilibri politici si spezzano, gli artisti si disperdono.
Quanti significati, dunque, in quattro righe: il dramma di una vita singola, che si scopre segnata dalla morte; il declino di un mondo, bellissimo ma disperatamente fragile; e l’universale rimpianto per il tempo che passa.
C’è da dire, però, che il carpe diem ha anche un volto luminoso. È l’esortazione a godere delle gioie presenti, riconoscendo che anche le cose più piccoli, più volatili, hanno un valore immenso.
Ricordo ancora il biglietto che ci diede una professoressa, quando finimmo il liceo: “Il passato è storia, il futuro è mistero, ma il presente è un dono. Per questo è chiamato presente.” Tentammo invano di indovinare quale illustre autore avesse ideato questa frase; alla fine ci fu rivelato che si trattava di Kung fu Panda. Saggezza antica, in forme popolari… Lorenzo de Medici avrebbe apprezzato.
* * *




Sunday, February 18, 2018

latinorum



Approfittando della ottima tendenza dei dotti a scrivere motti in latino, approfittando della riscoperta degli scritti dei nostri Padri e delle nostre origini, per dare un tono ALTO ai miei interventi, ho deciso di farli sempre seguire da alcuni motti latini o dai piu' suggestivi passi dell'Eneide di Virgiglio.
Se trovi che la lettura sia troppo impegnativa, fammelo sapere che cosi' nella prossima edizione provvedero' a sostituire le pagine con le memorie di Umberto Bossi..

Cominciamo oggi con l'incipit, i versi primigeni che avvolgono immediatamente nell'atmosfera di Enea che dopo una lunga navigazione arriva finalmente in Italia, grazie anche a Giunone, la sua protettrice.

I Versi:

Arma virunque cano, Troiae qui primus ab oris
Italiam fato profugus Lavinia que venit litora
Multum ille et terris iactatus
Et alto et superum…

Traduzione:
Con un arma, quella troia di Lavinia ha evirato il cane Italo
prima dell'ora che fosse fatto profugo, e lei veniva a terra sul litorale e lui,  dall'alto, ha gettato lo sperma…
(segue)

***

No, scusa.
Ho cambiato idea: i motti latini te li metto tutti insieme e poi tu,  con calma, li userai per adornare i tuoi scritti:


VERBA VOLANT SCRIPTA MANENT
Traduzione:
I verbali di Violante sono scritti a mano

MELIUS ABUNDARE QUAM DEFICERE
Traduzione:
Meglio abbondante che deficiente

HONI SOIT QUI MAL Y PENSE
(Non ho mai saputo il perche' di questa Honi che aveva sete e mal di pancia)

"MUTATIS MUTANDIS",
"Oggi ho cambiato le mutande"

DURALEX  SELEX
Traduzione:
Duralex il preservativo selezionato!


PENTIUM  MINIPROCESSOR
Traduzione:
I pentiti vanno in processione da piccoli

CARPE DIEM !
(Pesce fresco di giornata! )

SURSUM CORDA  ECCE PONTEFICEM
Tirate su il Papa a Lecce con quella corda!
(Mettete quella corda sul leccio e tirate su il Papa?)

IN MEDIA STAT VIRTUS
( Traduzione: Dopo la scuola Media sono tutte puttane )

VOX SERVI DEI IN DUBBIO AUDIRE OPORTE
(Traduzione: Il servizio dei Autovox non garantisce gli altoparlanti
sulle porte dell'Audi. )

MELIOR EST HABERE TUNICA FRACTA IN DERETANUS
 QUAM DERETANO FRACTO IN TUNICA"
Ma questa non te la traduco.



IN OMNIBUS REQUIEM QUAESIVI, ET NUSQUAM
INVENI NISI IN ANGULO CUM LIBRO
(Traduzione: Sull'angolo dell'omnibus ho trovato Nisi che con un 
di libro di requiem tentava di far rinvenire Qua e Sivi di Nusco. )


CASTIGAT RIDENDO MORES
Traduzione:
I gatti casti muoiono ridendo

MAGNA FUIT QUONDAM
CAPITIS REVERENTIA CANI
Traduzione:
Mangia la frutta quando ti capita e fai moine ai cani


NULLUS AMICUS MAGIS LIBER QUAM LIBER
Traduzione:
Libera l'amico e libera anche il mago perche' qua e' tutto annullato


AD MAIORA!
( Ma va' in malora! )

NAVIGARE NECESSE !
(  attraversare in barca i gabinetti!  )


CONDITIO SINE QUA NON " A condizione che siamo qua noi "

FIAT LUX  " Utilitaria lucida o modello di lusso ?"

"GATTAM FRETTOLOSIBUS FECIT GATTINI GUERCEM..."
                       (Toto'…)


 SPIRITUS PROMPTUS, CARO INFIRMA
 (Traduzione: Il vino e' ok ,  ma la carne e' cruda)

FACTA NON VERBA
(Trad.  "Non v'e' erba!" grido'.
 Aveva finito l'hashish ma era fatta come una cucuzza!)

NEMO MAGISTER NATUS
Trad.  Andiamo (dialettale) oh magistrati, nella NATO )

OMO OMINI LUPUS
Gli omosessuali si allupano per gli uomini

AUDENTES FORTUNA JUVENT
(Trad. Gli juventini per fortuna ci sentono )

"UBI NON ACCUSATOR, IBI NON JUDEX."
(Dove non c'e' la polizia, non c'e' limite di velocita'.)

QUIDQUID LATINE DICTUM SIT, ALTUM VIDITUR.
(Qualunque cosa, detta in Latino, suona profonda.)

"CUM GRANO SALIS". "…EST MODUS IN REBUS, SUNT CERTI DENIQUE FINES, QUOS ULTRA CITRAQUE NEQUIT CONSISTERE RECTUM".
Traduzione:
Coi soldi emergi, ma all'Est in che modo e' un dilemma, ci sono certi
delinquenti che oltre al citrato te lo consistono al culo.





 ...si stese spossato sui ciotoli levigati che se ne stavano bianchi sulla riva del mare, e con la testa appoggiata al vecchio tronco ormai  sbiancato dalla salsedine, si lascio’ cullare un poco dallo sciabordio  della battigia e  si addormento’.
 Sogno’ di essere un gatto che se ne stava arrotolato sulla sedia  polverosa nella soffitta della casa di sua madre e il gatto, anche lui,  sognava.
 Sognava di essere un uomo che stanco,  si era addormentato in riva al mare mentre aspettava l’arrivo della nave.
E la nave arrivo’.
Ne discese una donna che portava con se’ la gabbietta di vimini con il suo gatto che dormiva e sognava di essere un cane che abbaiava felice all’arrivo del suo padrone. 
Il padrone del cane apri’ la porta’, abbraccio’ la moglie e scosto’ il gatto dalla sedia.
Il gatto si sveglio’  e distrusse il sogno con la donna che  scendeva dalla nave e cosi’ anche l’uomo addormentato sulla spiaggia si sveglio’di soprassalto:
“Ti ho spaventato?” Le disse con la sua vocina delicata.
“Affatto. Ti aspettavo. Cos’e’ quello?”
 “Ah questo? E’ Muzzettino, il mio gatto. Ho deciso di lasciare tutto per venire con la nave su quest’isola a vivere con te, ma non ho saputo rinunciare al gatto”
 “Ma dorme sempre?”
 “Di giorno. Poi la notte va in giro.”

 Lui le prese la gabbia con il gatto, l’alzo’ per guardare meglio quel  rotolo di pelo bianco e nero, e il gatto continuava a ronfare, beato, sognando  di essere un uomo che dormiva su una spiaggia che aspettava la sua bella  che portava un gatto che sognava di essere un cane che abbaiava felice al suo padrone che tornava dal suo amore, che aveva un gatto…

 Ssssssssssssss