Wednesday, February 17, 2021

IL GIRO DI BEPPE

 

"HO FATTO ER GIRO DE PEPPE". QUANTE VOLTE È CAPITATO DI DIRLO O DI SENTIRLO DIRE A ROMA? PERCHÉ QUANDO SI FA UN GIRO ASSURDO PER RAGGIUNGERE LA META, O QUANDO SI SBAGLIA STRADA O SI CERCA PARCHEGGIO PER ORE I ROMANI DICONO COSÌ? ECCO COME NASCE IL CELEBRE DETTO…

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ER GIRO DE PEPPE ER GIRO DE PEPPE

"Ho fatto er giro de Peppe". Quante volte è capitato di dirlo o di sentirlo dire a Roma? Ma perché quando si fa un giro assurdo per raggiungere la meta, o quando si sbaglia strada o, ancora, quando si cerca parcheggio per ore i romani dicono così?

Innanzitutto è bene svelare il detto completo che dice così: "Er giro di Peppe intorno alla rotonda, appresso alla Reale".

Ma chi è Peppe? E cos'è questo giro tanto famoso al punto da trasformarsi in uno dei detti ancora molto usati nel parlare romano?

"Peppe" non è un nome qualunque, bensì quello di Giuseppe Garibaldi. La rotonda è quella del Pantheon, piazza della Rotonda appunto, la "Reale" è invece il corteo funebre per la morte di Vittorio Emanuele II di Savoia.

 

ER GIRO DE PEPPE ER GIRO DE PEPPE

In sostanza, accadde che, il 9 gennaio 1878 Vittorio Emanuele II di Savoia morì e fu organizzato un corteo funebre che fece due giri intorno alla piazza del Pantheon per salutare il morto (ricordiamo che le sue spoglie tutt'oggi si trovano all'interno del Pantheon).

In quell'occasione Giuseppe Garibaldi, non a conoscenza di quanto stesse accadendo, si unì al corteo, facendo anche lui due giri della piazza, quando, invece, sarebbe potuto restare insieme alle altre autorità davanti all'entrata. Due giri che non passarono inosservati, al punto da passare alla storia e da dar vita al detto "Fa er giro de Peppe”.

Monday, February 08, 2021

FARE La gattamorta

 

Gattamorta

Gat-ta-mòr-ta

Significato Persona che nasconde intenzioni malevole sotto un’apparenza docile e ingenua. In particolare donna che, allo scopo di sedurre un uomo, lo compiace pedissequamente e ostenta il proprio bisogno di protezione

Etimologia composto di gatta, derivato dal latino tardo cattus, forse di origine celtica, e dal participio passato di morire.

Il primo incontro con questa parola mi gettò, ricordo, in grave perplessità: evidentemente implicava la capacità di attrarre gli uomini, ma non capivo cosa potesse esserci di così attraente in un gatto morto.

L’ si rischiara se risaliamo alla favola da cui il termine prende origine. Esopo racconta infatti di un gatto che si finge morto per spingere i topi della casa a uscire allo scoperto. Una tecnica che, per inciso, i gatti non praticano ma altri animali sì, sia per attacco che per difesa. Pare che il più bravo di tutti sia l’opossum, capace anche di emanare un liquido che simula l’odore della putrefazione; tanto che in inglese esiste l’espressione to play possum (‘ morto’).

Dunque ‘fare la gattamorta’ significa mostrarsi inoffensivi, spingendo gli altri ad abbassare le proprie difese per approfittarne al momento opportuno. È uno degli innumerevoli casi in cui un è stato preso a di un comportamento o di un tipo umano: abitudine diffusasi proprio con le favole di Esopo e arrivata fino a oggi (pensiamo a Topolino e Paperino). Per di più questo termine ha il pregio di accostare l'immagine dell'ingannatore a quella di una , il che è probabilmente una delle ragioni del suo successo.

Va precisato però, a onore dei topi, che l'inganno del micio non riesce; e anche questo è di Esopo. Molti dei suoi protagonisti infatti sono animaletti da nulla che si riscattano con l’. Un dettato, secondo la tradizione, dal fatto che l'autore stesso era uno schiavo, divenuto consigliere di sovrani e città grazie alla propria arguzia.

Tuttavia, risolto un enigma, ne sorge un altro. Esopo parla genericamente di un gatto: quando mai si è deciso che fosse di sesso femminile? Già vedo infuocarsi gli occhi delle femministe: colpa del sessismo, è chiaro. Oltretutto, a ben pensarci, la nostra lingua è piena di feline di malaffare: la famigerata gatta che tanto va al lardo da lasciarci lo zampino, l’irritante gatta da pelare, la subdola gatta che cova.

In realtà la spiegazione è linguistica: in passato, soprattutto in Toscana, ‘gatta’ si riferiva all’animale in generale; tanto che il primo Vocabolario della Crusca riporta solo la forma ‘gatta’ e non ‘gatto’. Di per sé quindi la gattamorta potrebbe essere anche un uomo. Infatti nei Promessi sposi è padre Cristoforo a possedere, secondo Attilio, un "fare di gatta morta".

È vero comunque che col tempo la parola ha preso un significato molto specifico: la che nasconde sotto l’apparente debolezza una sensualità invischiante, e sotto la falsa cortesia una spietata rivalità verso le altre donne, cui è pronta a sottrarre mariti e fidanzati. In una sola si fondono così due maschilisti di antica data: la femme fatale, divoratrice degli incauti, e la femme fragile, bisognosa di costante protezione.

In ultimo ricordiamo, per par condicio, che esiste un (parziale) equivalente nel mondo maschile: il ‘cascamorto’, corteggiatore e dalle intenzioni . In Puglia poi la gattamorta fa pendantcol ‘lupo sordo’ (contrazione di ‘’), colui che persegue i propri scopi con malizia occulta.


 

Esopo:

In una casa c'erano molti topi. E un gatto avendo saputo questo andò e prendendo(li) uno alla volta (li) mangiava. E i topi, essendo catturati continuamente, si nascondevano nei buchi, e il gatto non potendo più raggiungerli comprese che era necessario richiamarli con un'astuzia. Perciò salito su un piolo e lasciandosi penzolare di lì fingeva il morto. Ma uno dei topi, sporgendosi, quando lo vide disse: ehi tu, ma a te certo, anche se tu diventassi un sacco, non mi avvicinerò.

Il racconto dimostra che i saggi tra gli uomini, quando hanno fatto esperienza della malvagità di taluni, non si fanno più ingannare dalle loro finzioni.

 


Ἔν τινι οἰκίᾳ πολλοὶ μύες ἦσαν. αἴλουρος δὲ τοῦτο γνοὺς ἧκεν ἐνταῦθα καὶ συλλαμβάνων ἕνα ἕκαστον κατήσθιεν. οἱ δὲ μύες συνεχῶς ἀναλισκόμενοι κατὰ τῶν ὀπῶν ἔδυνον, καὶ αἴλουρος μηκέτι αὐτῶν ἐφικνεῖσθαι δυνάμενος δεῖν ἔγνω δι' ἐπινοίας αὐτοὺς ἐκκαλεῖσθαι. διόπερ ἀναβὰς ἐπί τινα πάσσαλον καὶ ἑαυτὸν ἐνθένδε ἀποκρεμάσας προσεποιεῖτο τὸν νεκρόν. τῶν δὲ μυῶν τις παρακύψας ὡς ἐθεάσατο αὐτόν, εἶπεν· ἀλλ', ὦ οὗτος, σοί γε, κἂν θύλαξ γένῃ, οὐ προσελεύσομαι.

λόγος δηλοῖ, ὅτι οἱ φρόνιμοι τῶν ἀνθρώπων, ὅταν τῆς ἐνίων μοχθηρίας πειραθῶσιν, οὐκέτι αὐτῶν ταῖς ὑποκρίσεσιν ἐξαπατῶνται.