Monday, July 29, 2019

FASULLO

Fasullo

[fa-sùl-lo]
SIGN Falso, scadente; privo di abilitazione, incompetente
voce giudeo-romanesca, dall'ebraico [pāsūl] 'illegittimo, invalido'.
Che fasullo e falso siano parenti, di uguale ascendenza latina, lo possono pensare in tanti: sembrano così simili per forma, così vicini per significato. E invece il fasullo ci racconta una storia radicalmente diversa, e sorprendente.
Molte persone hanno un'idea di che cosa sia la lingua yiddish, nata in Europa in seno a comunità ebraiche di lingua tedesca, oggi parlata e scritta quasi solo negli Stati Uniti. Ma le mediazioni fra lingua ebraica e lingua locale che abbiano originato lingue vere e proprie o dialetti sono moltissime: solo in Italia sono state almeno una dozzina, fra cui il giudeo-veneziano, il giudeo-livornese (anche noto come 'Bagitto', particolarmente ricco di influenze spagnole e portoghesi), il giudeo-romanesco. Purtroppo, dopo la persecuzione antisemita e la seconda guerra, ne è rimasto ben poco. Restano i testimoni di alcune parole che hanno fatto in tempo ha trovare posto nella lingua nazionale.
C'è una certa discordia sulle prime attestazioni di questa parola: certi studiosi citano, nel più stretto ambiente romano, alcuni usi negli ultimi anni dell'Ottocento e nei primi del Novecento, in cui pare che il significato del fasullo si sia spostato da 'cattivo' a 'falso'. Per trovarne di più stabili si devono aspettare gli anni '40, in cui la diffusione del termine fu sostenuta da alcuni giornali umoristici, secondo alcuni, o dai gerghi della malavita, secondo altri.
Ciò che stupisce di una parola che in tanti associamo subito e allegramente a Little John che canta di Giovanni il re fasullo d'Inghilterra è la matrice assolutamente seria: il pāsūl dell'ebraico post-biblico è un termine tagliente, usato per esempio per descrivere procedure di macellazione non corrette secondo i precetti religiosi, o i profeti considerati falsi. La sfumatura è quella pratica del difettoso, dell'inadatto, dell'invalido. Rilevato che anche secondo questo metro Giovanni è un re fasullo, questo dato rende la parola più interessante e ricca rispetto al significato di 'falso': il dentista fasullo ha il difetto dello studio e dell'abilitazione, anche se come cavadenti non se la cava male; il gioiello fasullo manca della qualità essenziale che ne misura il valore; e anche quando diventa lo scadente e l'incapace, come nel caso di una soluzione fasulla su cui tutti convergono, o di me che sono un imbianchino entusiasta ma fasullo, resta fissato il segno dell'inadatto.
Sembrava una parola sbrigativa e un po' buffa, con quell'apparente suffisso '-ullo', un po' peggiorativo, un po' diminutivo, di color meridionale. Invece è sontuosa.

NETTO

La parola del giorno è

Netto

SIGN Pulito, limpido; preciso, definito chiaramente; di somme di denaro, da cui sono già state detratte spese e imposte
dal latino [nitidus], derivato di [nitère] 'splendere, brillare'.
Kredit, Konto, Kapital, Bankrott, Bilanz. Cos’hanno in comune queste parole? Sono tedesche; appartengono al campo della finanza; ci suonano decisamente familiari. Per forza: sono tutti prestiti dall’italiano. Non è un caso che diverse lingue europee abbiano mutuato dalla nostra molti termini del settore bancario e finanziario: è un retaggio dell’epoca — tra il Basso Medioevo e il Rinascimento — in cui a dominare i mercati erano i banchieri veneziani, genovesi e fiorentini. Altre due parole del medesimo ambito, in tedesco, sono per noi ancora più facili da capire, in quanto prestiti integrali dall’italiano, non adattati: si tratta della coppia di opposti netto e brutto. Opposti? Un momento. Presi singolarmente, netto e brutto sono affatto ialini per noi, ma assai meno in quanto contrari. Ebbene, dobbiamo raccontare la storia dall’inizio.
In principio era il verbo latino nitère, cioè “splendere, brillare”, con l’aggettivo corrispondente nitidus (brillante, lucente, nitido) dal quale derivano, in italiano, sia la voce dotta nitido sia quella, evolutasi dal volgare, netto. Le due parole sono sostanzialmente sinonime, anche se, nel netto, lo splendore del nitidus si manifesta anzitutto come pulito, oltre che in una chiarezza che si fa volentieri precisa, decisa e secca. Sarà netta, allora, la stanza che ho appena finito di pulire, ma anche la sagoma della nube in cielo, l’impressione di essere antipatico, ahimè, a tua mamma, la risposta inequivoca che do ad una domanda insidiosa, la vittoria per sei a zero a calcetto. Infine, un peso e un guadagno li definiamo “netti” quando sono puliti, ossia depurati da tutto ciò che non è fruibile (involucri, tasse, detrazioni, spese). E qui i tedeschi, come abbiamo visto, hanno deciso di imitarci. Ma perché mai, come contrario di netto, usano brutto invece che lordo? E soprattutto, perché, oltre a netto, hanno anche l’aggettivo nett, che non pare aver nulla a che fare con la pulizia dato che significa “gentile, carino, simpatico”?
La risposta alla prima domanda è facile: perché in origine brutto e lordo erano perfetti sinonimi. Al pari di lordo, infatti, (che ha lo stesso etimo di lurido), anticamente brutto significava in primo luogo “sporco, sudicio”; poi ha assunto il senso di “esteticamente sgradevole, non bello”, e quello generico di “cattivo, negativo” (brutta fama, brutto voto, brutto carattere). Qui, come sempre, la lingua riflette chiaramente istinti e pregiudizi dei parlanti: il brutto, lo sporco e il cattivo, come nel titolo del famoso film di Ettore Scola, a quanto pare sono per noi erbe da mettere nello stesso fascio. Però allora, specularmente, ci aspetteremmo che netto significasse anche bello e buono. In italiano questo non è accaduto, ma in tedesco — ed ecco la risposta alla seconda domanda — in effetti sì: nett, dal senso originario di pulito con cui è stato preso dal francese net, è passato ben presto a significare “bello” e poi “simpatico, gentile”. bello, pulito e buono: l’esatto contrario dei disgraziati di Scola.
Insomma, se è questa la meccanica dei nostri giudizi, hai voglia, poi, a coniare massime come “l’abito non fa il monaco”... A proposito, come suona l’equivalente tedesco di questo proverbio? Kleider machen Leute: letteralmente, “gli abiti fanno le persone”. Senz’altro più coerente, no?

Sunday, July 07, 2019

leosini

Franca Leosini nell’enciclopedia Treccani:

 “leosiner” è neologismo. Lei: 

“Grazie a tutti i fan di Storie Maledette”

 

La parola del giorno è

Paraclito

[pa-ra-clì-to]
SIGN Consolatore, difensore, in particolare usato in ambito ecclesiastico quale attributo dello Spirito Santo
voce dotta recuperata dal latino ecclesiastico [paraclétus] o [paraclítus], dal greco [parácletos] 'consolatore', ma più propriamente 'invocato', derivato di [paracléo] 'chiamo in aiuto' (composto da [pará] 'presso' e [caléo] 'chiamo').
Questa parola fa parte della famiglia dei termini difficili che, incontrati, accendono la curiosità; ma si tratta di un termine che è vissuto in una maniera così speciale da poter essere considerato un termine tecnico — nell'ambito della religione cristiana.
Con una certa variabilità viene registrato più volentieri ora come 'paraclito' ora come 'paracleto' (molto buffo come i dizionari segnino ora l'una ora l'altra come desueta): si tratta di varianti determinate dall'opzione per la pronuncia più fedele all'originale greco classico (paracleto) o per la pronuncia bizantina medievale (paraclito), che aveva subito il fenomeno dello iotacismo, col passaggio della pronuncia di diversi suoni a una semplice 'i'.
In italiano non ha parenti — almeno di non considerare il nome Anacleto, che ci racconta un 'invocato'. Il suo successo è di matrice evangelica (in particolare del Vangelo di Giovanni), in quanto viene citato quale attributo dello Spirito Santo, visto nella sua funzione di sostegno patrono, di consolatore e difensore. Il suo significato, visto lo strettissimo ambito di uso e la forma che all'orecchio non ha potuto suggerire alcun collegamento lepido, tantomeno malizioso, non è stato praticamente esteso da questo attributo. A quando a quando è stato usato come sineddoche per Dio, inteso nella sua veste trinitaria, e anche gli usi ironici sono stati sporadici e poco rilevanti.
Purtroppo è uno di quei casi (eccezionalmente rari) in cui una parola promettente, che già fa odorare un carisma semantico raro, si rivela praticamente aliena al corpo della lingua, incistata in un uso che per quanto secolarmente stabile non ha trovato sbocchi vivi fuori dal suo ambito d'elezione. Fermo restando che per i credenti tratteggia un attributo superiore di comprensione amorevole e accogliente compassione.