Friday, September 20, 2019

KINTSUGI



C'era una volta...
Un re! Diranno subito i miei piccoli lettori
E invece no. Avete sbagliato, c'era una volta una scodella di terracotta. Non era una terraglia di lusso ma una di quelle tirata via alla buona e poi messa in vendita sui banchetti di fianco al Tempio d'Apollo, per gabbare i turisti di bocca buona che cercano qualcosa a poco prezzo che non faccia troppo volume nel bagaglio a mano durante il viaggio di ritorno, in quel paesino con troppo poco sole dove lo piazzano nel centro del tavolino dove si appoggia il servizio da tè da servire agli amici...
Non so come esattamente andassero i fatti, ma sembra che uno di questi giovani turisti, uno di quelli che vedi in giro con lo zaino in spalla, i calzini bianchi corti dentro grossi sandali da montagna e sempre con una grossa bottiglia d'acqua per le mani, che forse gli sembra che possano rimanere esausti spossati e distesi sul ciglio della strada senza un cristiano che gli porti un bicchier d'acqua...
insomma, per fartela breve, lei aveva comprato questa piccola scodella smaltata di bianco all'esterno mentre all'interno correvano delle greche elementari tutte intorno ad un fiore centrale, stilizzato, azzurro, una parodia dell'arte della ceramica siracusana con pezzi dipinti con arzigogoli così antichi che solo a guardarli ti pare di sentire le grida greche dell'agorà. Che in realtà ci sono perchè oggi si chiama mercatino di Ortigia, le grida ci sono, hanno sostituito i canti con cui i fruttivendoli di una volta invitavano i passanti a comperare, ma le grida ci sono ancora...
Lei aveva comperato un sacchetto di pistacchi siciliani là in fondo al mercato poco prima di sbucare di fronte al mare di fianco alla bottega dei Borderi, rumorosi venditori d'olio, formaggi e di panini assortiti che mentre servono le persone gridano, cantano, ballano andando in giro a far assaggiare le loro prelibatezza in uno scintillìo di dolce sicilia che affascina i turisti che arrivavano a frotte. Il venditore di polveri, invece se ne stava in silenzio in fondo al suo carretto pieno della sua mercanzia in una pianura di colori fatta a scacchiera, con le polveri più sopraffine, il coriandolo, il cumino, il cardamomo dentro scatole quadrate...
Poi di fianco, montagnole di datteri, fichi secchi, frutta candita, semi, frutta fresca, e ammonticchiati alla buona, mandorle, castagne, noci e pistacchi, tutto in un turbinio di odori, colori accompagnati dal silenzio del siracusano che ti serve con educazione e poche parole. La caccarara contro il silenzio mistico delle antiche spezie, ma questo i turisti non lo capiscono...
Li seguivo sulla strada ombreggiata che portava alla Marina osservando la loro fresca felicità amorosa. Lei aveva un improbabile vestito rosso lungo con fiorellini stampati e ondeggiava tra la conversazione al telefonino in una mano mentre l'altra attingeva pistacchi dalla scodella che l'altro teneva in equilibrio come fosse un vassoio sulla mano stesa verso la compagna che attingeva allegra, e poi con contorsioni da equilibrista apriva dai gusci e uno a te uno a me si nutrivano d'amore tra un bacio e l'altro.
Eros e Thanatos.
Eh sì, perchè tanto amore, tanti baci, tanti contorcimenti, portarono irrimediabilmente al disastro e sciaff, con un tonfo ciocco la scodella cadde a terra.
Seguì un silenzio incredulo, mentre si fermarono solo per un attimo, poi raccolsero i pochi pistacchi sparsi al suolo e ripresero il loro cammino ridanciano.
- Ehi, ma la scodella, la lasciate lì?
Si girarono temendo il rimprovero per aver insozzato il suolo, ma figurati! Quando si resero conto che non sarebbe successo nulla, lui si strinse nella spalle e se ne andarono via con passo deciso.
Rimanemmo lì, io e la scodella che non era nemmeno esplosa con l'arrivo a terra, come avrebbe fatto un vetro nobile o una porcellana aristocratica. Questa invece era una terracotta proletaria e si era spezzata quasi in silenzio quasi per il dolore, ma i pezzi erano tutti lì, e mi guardavano dolenti. Io ho immediatamente recepito quel grido di dolore e ho trovato solo un foglio di giornale in cui ho avvolto tutto per portarmi a casa quel disastro tentando di porvi rimedio. La carta era leggera, i pezzi pesanti, così che dovetti stringermi il pacco per non lacerare la carta e facendo così sono arrivato a casa con il vaso contro il mio cuore, che da gesto di protezione ormai era diventato un segno d'affetto.
Ho preso l'Huhu, che adesso si chiama in un'altra maniera perchè lo vendono i cinesi e in pochissimi minuti ho rimesso insieme i cocci, ma ahimè ho scoperto che ne mancava un pezzo, un triangolino senza importanza tanto che mi era sfuggito all'esplorazione fatta in strada...
Dopo mezz'ora sono tornato in terrazza dove avevo messo la scodella incollata a rinforzarsi e ho scoperto che il lavoro, benchè ben fatto restituiva una ceramica triste, rabberciata, recuperata, che aveva perso la bellezza della prima scelta, e pure lei mi guardava intristita, come per dire, lascia perdere, lo sai come vanno queste cose: se invecchi o ti rompi, sei da buttare...
E invece no, caro mio! Se conosci Ashigata Yosgimasa, famoso shogun Muromachi, vissuto verso la fine del Quattrocento a Kyoto, sai perfettamente che non va così. Lui abdicò e diventando monaco Zen e si ritirò nella sua dimora trasformandola in Padiglione Argentato dove inventò la cerimonia del tè. Non contento praticò la tecnica del Kintsugi che è l'arte di riparare la ceramica con l'oro, restaurando oggetti anche antichi senza nascondere le vecchie fratture ma sottolineandole con lacca dorata, lasciando un senso di irreparabile ma da cui si potrebbe rigenerare lo spirito con un nuovo progetto estetico.
Ho comprato un pezzo di anilina per chiudere il buco e il resto l'ho coperto con l'oro applicando il Wabi-sabi della filosofia Zen con tre concetti fondamentali, il Mushin che libera la mente mentre lavori, l'Anicca che riflette sull'esistenza transitoria, evanescente e inconsistente di tutte le cose, e il Mononoaware che è una malinconia per le cose che apprezza la decadenza si arriva ad ammirarne la bellezza della rottura che rende unico e irripetibile l'oggetto che una volta riparato ha una vita nuova, ne serba il ricordo e parla di fragilità, di sgretolamento, di caducità, declino e di rinascita.
Ecco, fatto, finito il lavoro, sono certo che nessuno di noi due finirà in un Museo, nè la scodella riparata e nemmeno io che forse tra un poco verrò ricoverato tra i dementi che parlano con gli oggetti.
Invece lei, la scodella, non mi parla ma mi sorride soddisfatta.

Vincent