Sunday, June 02, 2019

2 giugno

La parola del giorno è

Lemme

[lèm-me]
SIGN Nella locuzione 'lemme lemme', adagio, con flemma.
forse dal latino [solèmnis] 'solenne'.
È all'inizio del Seicento che il lemme, anzi il lemme lemme fa la sua comparsa sulla scena dell'italiano, nell'amena opera di Girolamo Leopardi Capitoli e canzoni piacevoli (in particolare, nella descrizione di un idillio da taverna). Il lemme lemme ha un passo lento, procede adagio adagio; non per pigrizia o svogliatezza, non per impedimento o sfiancamento. È determinato da una serenità che esilia la fretta, da una mente tranquilla: l'assenza di frenesia nello spirito si ripercuote nella flemma degli atti.
Se ci domandiamo da dove vien fuori questa espressione, la risposta che gli studiosi danno è una, per quanto scricchiolante: è probabilmente un derivato del latino solemnis (cioè 'solenne'), che ha subito un'aferesi della prima sillaba (si sarebbe potuto dire 'solenne solenne'), e che comunque è stato adattato col metro dell'onomatopea — mutando la durezza febbrile di una 'n' dentale nella calma morbidezza di una 'm' labiale. Il carattere descritto dal lemme lemme avrebbe quindi la maestosa tranquillità dell'atto solenne, del gesto rituale, colto non nella sua carica pesante di potere esoterico, ma nella sua olimpica distensione, nel suo prendersi il tempo che ci vuole secondo metri suoi. La tranquillità del lemme lemme è smaliziata, disinvolta — una declinazione sorridente della serietà del solenne. 



Putativo

[pu-ta-tì-vo]
SIGN Che è creduto tale pur senza esserlo, apparente; in diritto, di situazione giuridica che non sussiste ma è creduta sussistente dall'interessato
voce dotta recuperata dal latino tardo [putativus] 'apparente, supposto', da [putatus], participio passato di [putare] 'credere'.
Il putare latino risuona in una quantità di parole italiane molto diverse fra loro: dall'imputato alla disputa, dalla reputazione alla computazione al deputato. Pur se in sfaccettutature delle più diverse, ci parla sempre di una valutazione, di un conto, di una considerazione — infatti il putare non è un verbo dallo smisurato bacino di significati: sono fertili ma piuttosto circoscritti, ed è in base al prefisso che cambiano volto. Qui però, col putativo, siamo davanti a un derivato diretto e scevro da prefissi, che ci rende il putare in purezza (l'unico altro caso rilevante è il putacaso ). 



Rada

[rà-da]
SIGN Insenatura naturale o artificiale, adatta al riparo delle navi; rifugio
attraverso il francese [rade], dall'inglese antico [rade].La rada è un'insenatura, naturale o artificiale, martittima o lacustre, che volentieri in fondo ha un porto, e in cui le imbarcazioni possono trovare riparo da onde e correnti. Lo possiamo prendere con la precisione concreta del termine tecnico, ma è suggestiva, e invita usi figurati. Così certo, nella rada cristallina si vedono barche come sospese che proiettano ombre sul fondale, e la rada si affolla di barche che attendono il tempo si plachi; ma si può anche parlare di come nel frangente difficile ripariamo nella rada di un gruppo di amici, di come ci si riposi serenamente nella rada della pensione, o dell'amico che temporeggia in rada finché può evitare di sbilanciarsi.



Repentaglio

[re-pen-tà-glio]
SIGN Grande rischio o pericolo
probabilmente dal francese antico [repentaille], derivato di [repentir] 'pentirsi'.
A volte si può notare, con sopracciglio alzato e sorriso olimpico, che la pigrizia insacca certe parole in espressioni cristallizzate da cui poi non riescono più a uscire. Si sa, oggigiorno, la decadenza. Ebbene, in realtà è un fenomeno che conoscevano benissimo anche i nostri antichi nonni: 'mettere a repentaglio' è una locuzione attestata nel Trecento, mentre per avere un'attestazione di 'repentaglio' fuori da espressioni del genere (in un dizionario, peraltro) si deve aspettare l'Ottocento. Insomma, ci sono voluti quattro-cinquecento anni per un tentativo di animare o riconoscere animata una parola che in italiano è nata fossile. Tentativo non riuscitissimo, visto che tuttora trovare 'repentaglio' da sé è più raro che trovare parcheggio quando c'è la partita.




Altrove

[al-tró-ve]
SIGN In un altro luogo
dal latino [aliter ubi] propriamente 'diversamente dove'.
Se 'ove' ci suona davvero ricercato, di un tono poetico o aulico che sconfina spesso nell'affettazione, 'altrove' ci suona invece come una parola delle più consuete e amichevoli. Eppure, anche se è usata universalmente in maniera disinvolta, ha le sue cifre sottili.
Innanzitutto è una parola senza parole sinonime — almeno attualmente: in antico è esistito un 'altronde' che oggi troviamo nel d'altronde come si trova la conchiglia sulle Dolomiti. È quindi una freccia unica al nostro arco (pure se si può sostituire con qualche perifrasi), sia che si stia chiacchierando del negozio che si è trasferito, sia che si discuta delle fonti in cui si può reperire un'informazione per pochi. E non solo questa comunanza di contesti si adegua a un tono di grande eleganza (pensiamoci bene: è letteralmente 'un altro ove'), ma manifesta sempre una nota positiva — peraltro in una maniera che con la nostra sensibilità attuale è particolarmente simpatica.



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