Thursday, September 10, 2020

COVID & BUROCRATESE

 

Le graduatorie «caducate»

«Mamma, mi è caducata la graduatoria!». Ci siamo: dopo mesi e mesi di comunicazioni scritte in burocratese sempre più spinto, è arrivato il colpo di grazia da cui la lingua italiana, già martoriata senza pietà dagli esperti anti Covid, potrebbe non più riprendersi. E’ contenuto in una circolare ministeriale che vuole mettere un punto fermo alle polemiche sulle nuove graduatorie provinciali per le supplenze segnate da errori marchiani. «Piccole criticità che stiamo correggendo», ha minimizzato la ministra Azzolina subito dopo che le prime denunce erano diventate di pubblico dominio. E comunque, scordatevi di poter tornare indietro. La nota ministeriale di cui sopra spazza via ogni dubbio: le vecchie graduatorie di istituto sono decadute, anzi: «caducate e inattingibili». 

 

Vietato cantare, anzi: «aerosolizzare»

Ormai lo abbiamo capito tutti che la via principale di trasmissione del virus sono le goccioline di saliva che emettiamo quando parliamo. Più si alza la voce più c’è il rischio di contagiare gli altri. In un’intervista al Corriere, Kyriakoula Petropulacos, componente del Cts e direttore della Sanità in Emilia-Romagna, si è spinta fino a sconsigliare di far cantare i bimbi in classe, con relativo strascico di polemiche. I suoi colleghi del Comitato tecnico scientifico, qualche giorno prima, avevano fatto anche di meglio. Nella loro ultima nota con cui hanno decretato che i bambini possono tenere la mascherina giù finché sono seduti al banco, hanno posto però due condizioni: il rispetto del metro di distanziamento e l’assenza di «situazioni che prevedano la possibilità di aerosolizzazione (es. il canto)». Che tradotto in italiano vuol dire pretendere di far cantare dei bambini con la mascherina davanti alla bocca. Tanto valeva vietarlo, il canto, ops: l’aerosolizzazione.

 
 
 

Metro «statico» e «dinamico»

Lo stesso Cts aveva già infilato un paio di perle assolute nella nota esplicativa di luglio sulle indicazioni per il rientro in classe. Com’è da intendersi il metro di distanziamento prescritto fra gli alunni?, chiedeva il ministero dell’Istruzione. Risposta degli esperti del ministero della Salute: come metro «statico», ovvero come la distanza minima fra un alunno seduto al banco e il suo compagno in analoga posizione. Quando sono in movimento, invece, in assenza del metro «dinamico» di distanziamento, gli alunni possono indossare la mascherina.

 
 

Le «rime buccali»

Ma siccome temevano di non essersi spiegati bene, hanno precisato ulteriormente che il metro in questione andava inteso come la distanza fra le «rime buccali», dal latino rima oris che sta a indicare la parte della bocca che comunica con il mondo esterno ovvero «l’apertura delimitata dalle labbra (labia oris) a forma di fessura trasversale tra le due guance (buccae)» (Treccani). Tradotto in italiano, un metro da bocca a bocca.

 

 

Avere la febbre a propria insaputa

Ad agosto, a scatenare l’ilarità generale (ci ha fatto un tweet pure Luca Bizzarri) era stata una risposta del ministero pubblicata sulla pagina online dedicata al rientro. Un inciampo logico, più che lessicale. Cosa dice la frase incriminata (oggi non più leggibile perché il sito è in continuo aggiornamento)? «Uno studente che ha la febbre e non sa di averla non deve salire sull’autobus». Detta così, è surreale: è chiaro infatti che lo studente ignaro di avere la febbre sull’autobus ci sale eccome e lo fa in perfetta buona fede proprio perché non sa di averla. In realtà, anche se la formulazione è a dir poco bizzarra, la frase ha un senso se letta come risposta alla domanda: perché il ministero ha scelto di non far misurare la febbre a scuola ma a casa? Risposta: per evitare che qualcuno salga sull’autobus senza sapere di avere la febbre. 

 

Scotomizzato a chi?

Tra le espressioni del Covid ha un ruolo di primo piano il verbo «scotomizzare», usato in conferenza stampa la scorsa primavera dal presidente del Consiglio Superiore di Sanità nel senso di eludere. «Non voglio scotomizzare la domanda», ha risposto ad un giornalista, gettando l’intera categoria e anche tutti i telespettatori collegati in diretta a bocca aperta a domandarsi che cosa volesse dire. L’etimo è greco e significa oscuramento: scotomizzazione nella letteratura medica indica per estensione l’atteggiamento psicologico di occultare dalla propria coscienza o dalla memoria un ricordo spiacevole. La scotomizzazione è diventata virale (con tanto di caricatura di Crozza) e la simpatia verso il professor Locatelli cresciuta a dismisura sul web e anche fuori. Va però detto che il sostantivo non è poi diventato la parola dell’estate: resta una parola complicata.

La caricatura di Locatelli fatta da Crozza La caricatura di Locatelli fatta da Crozza

La sieroprevalenza

Altro sostantivo di incerta definizione per i più, diventato però di uso comune durante i mesi del Covid, quando abbiamo scoperto che era consigliabile – finita la parte acuta della pandemia – un’indagine di sieroprevalenza. In realtà indica il numero di persone di un determinato gruppo che sono entrare in contatto con un virus (in questo caso il Covid-19) in un determinato tempo. Non a caso l’indagine si svolge con i test cosiddetti sierologici.

 

 

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