Saturday, July 03, 2021

ALIMURGIA - REDIMERE

 

La parola del giorno è

[a-li-mur-gì-a]

SIGN Alimentazione con piante spontanee che solitamente non si mangiano

composto moderno dagli elementi greci [álimos] ‘che toglie la fame’ e [-urgía], che deriva da [érgon], ‘lavoro’.

Boschi, campagne e montagne custodiscono un tesoro selvatico di foglie, radici, bulbi, bacche, germogli, cortecce che di solito non mangiamo ma che sono commestibili e potremmo mangiare. Tradizionalmente, alla bisogna: in tempi di carestia inattesa vi si può ricorrere.

Questa era l’idea che aveva in mente Giovanni Targioni Tozzetti, medico e naturalista del Settecento, quando iniziò a parlare di ‘alimurgìa’, col significato di alimentazione con piante spontanee, e di trattazione sull’argomento. Lo facevano tutti da tempo, ma era ora di sistematizzare la faccenda: ci sa subito di disciplina operativa (la somiglianza con chirurgia ha una ragione etimologica), e troviamo la sua presentazione nel libro De alimenti urgentia, che la considera come strategia di sopravvivenza. ‘Alimurgìa’ è quindi un po’ una parola macedonia, composta sì impiegando dotti elementi greci (álimos ‘che toglie la fame’ e -urgía, che deriva da érgon, ‘lavoro’) ma adombrando in maniera nemmeno troppo velata un’alimentazione urgente.

Ora, l’alimurgia non investe solo periodi sorprendenti e limitati di carestia — può essere parte integrante e usuale di una dieta che altrimenti non spiccherebbe per ricchezza e varietà. Anzi, è un tratto rilevante di molte tradizioni culinarie locali. E si è conquistata una certa importanza come pratica di salute — poste le proprietà nutritive di questi cibi forastici. Ma c’è di più: in continuità con questi caratteri è diventato un versante di ricerca dell’alta cucina.

Così, anche senza le condizioni estreme per cui Targioni Tozzetti pensava, con la bella fiducia del Settecento, a scientifici ripari d’emergenza, si continuano a raccogliere o si tornano a raccogliere (che bei nomi, poi) ortica, borsa del pastore, borragine, tarassaco, buon enrico, erba di San Pietro, radicchio dell’orso e via dicendo — con un’aura da un lato di antico costume, dall’altro di avanguardia gastronomica. Dopotutto, tutti conoscono la taumaturgia dell’alimurgia, e non c’è quasi persona centenaria, pare, che non abbia roso rose canine e denti di leone per tutta la vita…

  dentore. Il redimere si fa addirittura escatologico. Ma come notano attenti etimologi, questo verbo poteva avere una dimensione morale e spirituale già in ambito pagano, e la continuità concettuale fra il ricomprare e l’affrancare ci è consueta: il redimere è un riscattare, e il riscattare è un liberare — così quel ricomprare terra terra diventa l’azione del liberare sommo che conosciamo, quasi sempre serio e impegnato.

Così una scelta partigiana può redimerci dall’ignavia, la coltivazione di ragione e compassione può redimere una comunità dal terrore, mentre con una gentilezza sorridente e arguta ci redimiamo dalla figura cretina che avevamo fatto…

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