Rotacismo
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(parola che deriva dal greco ῥῶ rhô, « la lettera r ») è una
modificazione fonetica consistente nella trasformazione di una
consonante di classe rotica. In genere si tratta del mutamento di una consonante alveolare sonora (/z/, /d/, /l/, oppure /n/) in r ([r]): il caso più frequente è da [z] a [r][1].
La parola rotacismo deriva dalla lettera greca aspirata rho.
Questo fenomeno è particolarmente consistente nella storia della lingua latina, è documentato nel dialetto milanese in alcuni dialetti della lingua piemontese, del ligure, del sardo, del corso, del napoletano e del siciliano (in particolare nella zona dei Monti Iblei, Sicilia sud-orientale), nel dialetto reggino e in alcune lingue germaniche antiche. Nel dialetto romanesco e in alcune zone della Toscana è riscontrabile il rotacismo di l davanti a consonante.
Nella lingua latina la flessione e la derivazione ci testimoniano numerose tracce del fenomeno. Tra le più evidenti
- declinazione nominale: i nominativi flos, aes, opus, ("fiore, bronzo, opera") rispetto ai genitivi floris, aeris, operis ("del fiore, del bronzo, dell'opera")
- coniugazione verbale: gli infiniti presenti attivi in -re derivano dal rotacismo di un arcaico -se, si confronti amare, delere, legere, audire, capere con gli atematici esse, velle (velle <-- i="">*velse-->
)
composizione: il prefisso separativo dis- si trova sia nel verbo dis-cedo, "me ne vado", sia in dir-imo (<-- i="">dis-emo-->
), "io separo"
Ad esempio il
nomen Valesius, testimoniato da epigrafi del
VI secolo a.C., si trasforma in
Valerius o
ausosa cambia in
aurora.
La linguistica storica tramite indizi nelle fonti letterarie ha permesso di delimitare cronologicamente il fenomeno:
Cicerone ci riferisce infatti che
Papirio Crasso,
console nel
336 e
330 a.C. primus Papisius est vocari desitus ("per primo smise di farsi chiamare
Papisius"), mentre il
Digesto (I, 2, 2, 36) ci riporta la notizia che
Appio Claudio Cieco (
censore nel
312,
console nel
307 e nel
296 a.C. r litteram invenit, ut pro Valesiis Valerii essent, pro Fusiis Furii ("inventò la lettera
r
cosicché si scrivesse Valerii invece di Valesii e Furii invece di
Fusii"): tenendo conto della maggiore conservazione fonetica tipica di
nomi propri se ne può dedurre che entro la fine del
IV secolo a.C. il fenomeno dovesse essere ampiamente compiuto.
Il rotacismo nella lingua lombarda
Nella
variante milanese della
lingua lombarda, la
-L- intervocalica era comunemente sostituita da
-R-, mentre nel dialetto moderno questa caratteristica tende a scomparire
[2]. Nei
dialetti della Lombardia occidentale il rotacismo è in generale arretramento, in particolare nella città di Milano: qui sopravvivono comunque forme come
vorè (
volere),
varè (
valere),
dorì (
dolere),
cortèll (
coltello),
scarogna (
scalogna),
pures (
pulce),
sciresa (
ciliegia),
carisna (
caligine),
regolizia o
regorizia (
liquirizia)
[2], mentre risultano scomparse forme come
ara (
ala),
candira (
candela),
sprendor (
splendore),
gorà (
volare),
gora (
gola),
Miran (
Milano) e
scœura (
scuola)
[2];
queste ultime forme sono ancora rintracciabili nella periferia milanese
e nelle altre province lombarde, in particolare nelle aree montane e
rurali.
Il rotacismo nella lingua siciliana
Un
fenomeno analogo a quello che nel napoletano interessa la "d", sia in
posizione intervocalica, sia all'inizio della parola, si riscontra anche
nel siciliano.
Per fare un esempio di trasformazione della "d" intervocalica può
ricordarsi che alla parola italiana "adagio" corrisponde, in siciliano,
"araciu". In alcuni casi la "d" si trasforma in "r" anche a inizio di
parola, come in "avìa rittu", che corrisponde all'italiano "avevo
detto".
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