è un'esigenza
perché c'ho 'na pazienza da leopardo
e so' testardo
e non mi ferma gnente
vado sempre avanti fino al mio traguardo
indifferente
e non m'importa gnente se ritardo
io so' de legno
e sembro muto e sordo
ma le tue parole, sta' tranquillo
che me le ricordo
e qualche volta me le segno
io so' de coccio
quello che dico faccio
io so' uno che, comunque vada
le promesse le mantiene
che poi nemmeno me conviene
molto
perché so' un muro
e pure se t'ascolto fondamentalmente
so' sicuro
che la tua vita è appesa a un filo
e io c'ho le forbici
però
se ancora un po' mi piaci
la colpa e dei tuoi baci
che m'hanno preso l'anima
de li mortacci tua
Io so' De Chirico
dico in senso simbolico
c'ho un controllo diabolico
quasi artistico
del mio stato psicofisico
e se hai capito, mo' traducilo
e so' tenace
perché alla gente piace
ma è evidente che con un coltello
mi puoi fa' cambia' opinione
aho, so' tenace
ma mica so' cojone
io so' de marmo
ma tu m'hai sbriciolato
perché so' testardo fino al punto
che so' sempre innamorato
pure se tu m'hai già scordato
- (e infatti l'hanno vista...)
- m'hanno informato!
però
se ancora un po' mi piaci
la colpa è dei tuoi baci
che m'hanno preso l'anima
de li mortacci tua
WIKIPEDIA
"Tacci tua" e "'Cci tua", mentre "Alimortè" è una semplice
esclamazione derivata dalla parolaccia principale: come se si dicesse
"caspita", "accidenti" dove "li mortacci" non ci hanno più niente a che
fare.
Un'altra forma derivata dalla principale è "Li mortanguerieri"
con lo stesso valore spregiativo ma dove oggetto dell'insulto non sono i
prossimi defunti ma i lontani progenitori che si suppone essere stati
antichi guerrieri. In caso contrario, l'allocuzione "li mortacci
stracci" sta ad identicare avi la cui professione era lo stracciarolo.
Quando invece si vuole limitare l'insulto nel tempo passato, ma
non fino ad arrivare a lontani antenati, si usa la forma "'tacci tua e
de tu' nonno". In particolare la locuzione "e de tu' nonno" viene usata
per controbattere da chi ha ricevuto l'insulto e riversarlo su chi l'ha
proferito. (Dice uno: «Li mortacci tua!» e l'altro replica: «...e de tu'
nonno!»)
Un'ulteriore forma estesa dell'ingiuria precedente è "li mortacci
tua e de tu' nonno in cariola"."li mortacci tua e de tu nonno 'n
cariola co le zampe de fora" che deriva dalla necessità che si
verificava in occasioni di epidemie di aggiungere nell'ala sistina dell'
Arcispedale di Santo Spirito in Saxia altri letti al centro della corsia chiamate "cariole". La parolaccia quindi è rivolta all'avo morto in soprannumero.
Ancora, nell'uso vernacolare trasteverino fu presente, sino agli anni
cinquanta, "... e de tu' nonno in cariola intint'ar piscio", e cioè
"intinto nella sua urina", a rimarcare ancor più severamente la
vecchiaia degli antenati evocati, addirittura incontinenti.
L'espressione può essere
enfatizzata, divenendo
L'anima de li mortacci tua,
L'anima de li mejo mortacci tua.
Nell'uso diffuso l'espressione sta prendendo anche un significato meno incisivo, col significato di
mannaggia a te.
Va infine segnalata un'espressione del romanesco minore, delle
periferie, certamente in uso nelle periferie dal II dopoguerra, intesa a
sgombrare il campo d'uso dell'invettiva e dell'espressione esclamativa
da ogni e qualsiasi offesa nei confronti sia degli antenati del
locutore, sia degli antenati dell'interlocutore: "mortacci de Pippo" .
In tal caso Pippo è indicazione di un "terzo" astratto e generalizzato.
L'insulto, insomma, è rivolto a terzi non identificati né
identificabili, non suscettivi di reagire (altrimenti manescamente)
all'offesa. Sul perché l'altro generico o generalizzato sia denominato
"Pippo" vi sono possibili, ma non verificabili, interpretazioni.
Forma estesa dell'ingiuria precedente è "Li mortacci [sui e] de Pippo
affumicato".
La "metafisica" de "li mortacci tua"
Questa "classica" parolaccia romana assume contrastanti significati a seconda del tono, delle sembianze
facciali e delle posture
corporali
che ne accompagnano l'espressione: può infatti significare, se
accompagnata da un viso che manifesta meraviglia, sentimenti positivi di
ammirazione, sorpresa e compiacimento per un evento fortunato o
straordinario («Li mortacci tua, ma quanto hai vinto?»); oppure, con un
viso ilare, gioia ed affetto per un incontro inaspettato e gradito («Li
mortacci tua, ma 'ndo se' stato finora?»); oppure ancora comunicare
sentimenti sia negativi che neutri: con un viso dall'aspetto contrariato
o sconsolato, con un tono della voce alterato o sommesso, può rivelare,
nello stesso tempo, rabbia o desolazione («Li mortacci tua, ma ch'hai
fatto?»).
La consistenza "materiale" della parolaccia, il contenuto stesso
infamante sparisce, diviene "metafisico", di fronte agli stati d'animo
con cui viene pronunciata, e solo questi sono veramente reali.
In tutti questi casi la parolaccia diviene ininfluente, non è offensiva ma è come un rafforzativo, l'equivalente di un
punto esclamativo, alle parole che seguono all'
invettiva: tant'è vero che può essere rivolta anche a sé stessi («Li mortacci mia, quant'ho magnato!»).
La stessa parolaccia può significare stati d'animo del tutto negativi, come
rancore,
odio o
dolore,
se accompagnata da un aspetto del viso adeguato ma in tutti i casi
citati, la parolaccia non è rivolta tanto ad offendere gli antenati
defunti del soggetto a cui è indirizzata - offesa di cui forse questi
potrebbe anche non risentirsi - quanto usata come
locuzione
generica rivolta alla persona stessa: nel senso che può essere
indirizzata anche verso chi, magari per la giovane età, non ha defunti
prossimi di cui onorare la memoria.
La parolaccia nei sonetti del Belli
Un illustre precedente della
parolaccia non poteva non trovarsi nel cantore della romanità plebea
Giuseppe Gioachino Belli.
Un rancore frustrato e rassegnato esprime, ad esempio, l'espressione nel
sonetto Li cancelletti, nel quale un popolano maledice bonariamente il Papa Re
Leone XII, reo di aver proibito il consumo di alcolici all'interno dei locali:
(ROM)
« Ne pô ppenzà de ppiú sto Santopadre,
pôzzi avé bbene li mortacci sui
e cquella santa freggna de su’ madre? »
|
(IT)
« Non ha nient'altro a cui pensare questo Santo Padre,
possano averne bene li mortacci sui,
e quella santa fregna di sua madre? »
|
(Giuseppe Gioacchino Belli, sonetto n. 155, Li cancelletti, datato 2 ottobre 1831) |
L'espressione può indicare anche diffidenza, ostilità, livore, risentimento come nel caso del sonetto n. 792,
Er vecchio,
in cui un frequentatore di teatro rivolge l'insulto alle forze
dell'ordine, in questo caso ai Carabinieri, rei di voler cacciare i
disturbatori dal teatro:
(ROM)
« Ma mmo sti schertri e li mortacci loro
sce vorríano a l’usanza de l’ebbrea
ricuscicce la bbocca all’aco d’oro. »
|
(IT)
« Ma adesso questi scheletri[12] e li mortacci loro
ci vorrebbero, secondo l'usanza delle donne ebree,
ricucire la bocca all’ago d’oro[13]. »
|
(Giuseppe Gioacchino Belli, sonetto n. 792, Er vecchio, datato 20 gennaio 1833) |
Impazienza e fastidio esprime la stessa espressione nel sonetto 251,
Er falegname cor regazzo, in cui un vecchio falegname redarguisce duramente un garzone che non riesce a seguire le sue istruzioni:
(ROM)
« Famme la carità, ma cche tte fai!,
cosa te freghi, pe l’amor de Ddio!
Nu lo vedi che ddritto nun ce vai,
mannaggia li mortacci de tu’ zio? »
|
(IT)
« Fammi il piacere, ma che stai facendo!,
cosa seghi, per l’amor di Dio!
Non lo vedi che dritto non ci riesci ad andare,
mannaggia a li mortacci di tuo zio? »
|
(Giuseppe Gioacchino Belli, sonetto n. 251, Er falegname cor regazzo, datato 21 dicembre 1831) |
Dispetto, irritazione, stizza esprime nel sonetto n. 2052,
L'incontro der ladro, in cui la voce narrante racconta l'incontro con un ladro, piccolo e basso, che però riesce a scappare:
(ROM)
« "E allora tu nu lo pijjassi in petto?!"
"Che vvòi, mannaggia li mortacci sui!,
me se messe a scappà pp’er vicoletto". »
|
(IT)
« "E allora tu non l'hai preso di petto?!"
"Che ci vuoi fare, mannaggia li mortacci sui!,
mi è scappato via per il vicoletto". »
|
(Giuseppe Gioacchino Belli, sonetto n. 2052, L’incontro der ladro, datato 9 dicembre 1844) |
Varianti linguistiche
Varianti regionali italiane
L'espressione è diffusa anche in altre regioni:
- In Puglia l'espressione analoga è: li murte tuue o "chi t'è mmurte" (molto simile al Campano), in Salento è li muèrti tua (con la possibile accezione "li muèrti de mammata/sirda/fraita/sorda" -madre/padre/fratello/sorella- o la variante "chi t'ha 'mmuertu" -anche questo con plurime variazioni a seconda della zona, con rafforzamenti quali "chi t'ha stramuertu", "li muerti toi squagghiati" o apparenti paradossi quali "chi t'ha 'vvivu",
ove i "bersagli" della vittima sono i parenti ancora in vita). La frase
in base al contesto e a ciò che vuole esprimere può variare e al posto
di tuue si aggiunge d'mammat (in italiano: di tua madre), d'attand (di tuo padre), d'i studc (degli stupidi).
-
- In Basilicata
la più semplice tra le espressioni analoghe è "chi t'è murt". Così come
nel resto d'Italia, anche nei dialetti lucani esistono molte varianti:
il rafforzamento più diffuso è "chi t'è stramurt"; è comune variare
l'oggetto con, ad esempio, "i murt de
mamt/attant/sort/fratt/mglert/marett/ziant/cugnt/feglt" ("i morti di
tua/o madre/padre/sorella/fratello/moglie/marito/zio o zia/figlio o
figlia") o con "i murt de chi t'è murt" ("i morti dei tuoi morti", per
riferirsi ai morti eventualmente sconosciuti all'interlocutore, ma cari
ai suoi morti). In talune zone, il verbo essere è sostituito dal verbo
avere ("chi t'ha murt", "chi t'ha stramurt", "i murt de chi t'ha murt").
Si menziona infine, in una sola variante, la forma più rara e scherzosa
"chi t'è stramelamurt" (i migliori tra i tuoi morti).
-
- In Campania: chi t'è mmuort con la variante rafforzativa chi t'è stramuort. Variante bonarie e non offensiva sono chi t'è vvivo (chi ti è vivo) e chi t'è viecch (chi ti è vecchio). La chiamata dei morti è detta murtiata.
- In Calabria: chi t'è mmuartu o anche chi t'è stramuartu
- In Veneto: ti ta morti, oppure va remengo ti ta morti
-
-
Varianti internazionali
- Me cago en tus muertos oppure semplicemente tus muertos sarebbero i corrispondenti in spagnolo[14]
- Futu-ți morții mă-tii! o la versione abbreviata Morții mă-tii! (letteralmente «Vorrei fottere li mortacci di tua madre») è il corrispondente in romeno [15]
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