Wednesday, December 27, 2017

acrimonia

Acrimonia

[a-cri-mò-nia]
SIGN Asprezza astiosa, livore
dal latino [acrimonia], derivato di [acer] 'acre'.
Ecco, questo è un esempio splendido di quale sia il potere della parola.
Il termine 'acrimonia' non denota un sentimento lucido e pulito, anzi. È un'asprezza corrosiva, torbida di un astio grasso, mossa da un livore rabbioso e perfino rancoroso. Insomma, può toccare delle intensità di significato davvero incandescenti. E però è un termine ricercato, elegante, che ha il suo nocciolo in un richiamo, piano ed essenziale, all'acre - qualità gustativa e olfattiva. Tutto il calore del sentimento, così, si raffredda e circoscrive senza perdere potenza di descrizione. All'osservazione graffiante rispondiamo chiedendo il perché di tanta acrimonia, l'amico inizia a giocare con una tale acrimonia che abbandoniamo subito la partita, e durante la negoziazione chiediamo una pausa caffè per spezzare l'acrimonia che sta montando.
Il potere di questo termine sta proprio nella sua ricercatezza: rispetto a sinonimi più pronti riesce a considerare il sentimento in maniera più fredda, rendendolo maneggiabile - e senza minimizzarlo o camuffarlo. Un potere straordinario.
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Litania

[li-ta-nì-a]
SIGN Nella liturgia cattolica, preghiera formata da brevi invocazioni pronunciate dal ministro di culto a cui i fedeli rispondono con una formula; serie lunga e noiosa; lamentela insistente
voce dotta, dal latino [litania], che è dal greco [litanéia] 'preghiera'.
S'incontrano molte parole di uso comune che scaturiscono dal lessico ecclesiastico, e fa sorridere la puntualità con cui la lingua le volge in ironia, con bonaria dissacrazione.
La litania propriamente è un tipo di preghiera, dal ritmo cadenzato, articolata in brevi invocazioni rivolte dal sacerdote a Dio, alla Madonna o ai santi alle quali i fedeli rispondono con formule fissate dalla liturgia (classicamente ora pro nobis, miserere Domine e via dicendo). Per quanto la ripetitività inesausta sia fonte di alta suggestione - che esperienza numinosa è entrare in una chiesa scura durante una litania! - è anche fonte di disarmante noia. Tant'è che è giusto il carattere barboso dell'invocazione a informare gli usi estesi di questa parola.
La litania diventa così la sequela interminabile, pronunciata o scritta, più noiosa e importuna che ricca: una litania di citazioni non vale a rafforzare l'argomentazione scadente, chiudiamo il giornale davanti alla litania di insulsi fatti di cronaca, ci stupisce e diverte la litania di titoli nobiliari anteposti alla firma. Inoltre, si rivela brevissimo il passo ideale che separa la litania liturgica dalla lagna insistente: basta dire che ci fa male il ginocchio per far partire la gara di litanie sui problemi di salute, il debitore prende tempo con la solita litania, e l'impiegato all'assistenza clienti si deve corazzare contro le più fantasiose litanie.
Una parola che ha tutta la massa della tradizione, colorata però di un tono schietto e smaliziato.
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Tepore

[te-pó-re]
SIGN Calore confortevole, piacevole
dal latino [tepor], derivato di [tepère] 'essere tiepido'.
Questa è una delle parole più graziose che abbiamo in sorte di poter pronunciare. E la sua non è una grazia ricercata, astrusa: è una parola comune e cardinale, anche perché ha pochi sinonimi percorribili.
Si tratta di un lieve calore, ma 'lieve calore' è un'espressione piuttosto didascalica; il termine che le si avvicina di più è 'calduccio', che però ha un tono naïf. Per non parlare di 'tiepidezza': pur avendo la medesima origine nel latino tepere richiama un 'tiepido' spesso evocato come calore scarso.
Essa descrive con precisione netta un calore confortevole, che col suo essere moderato dà un piacere schietto. Nelle ultime giornate dell'inverno cerchiamo il nuovo tepore dei raggi del sole, entrando in casa veniamo accolti da un tepore avvolgente, siamo restii ad abbandonare il tepore del letto, e il tepore di una conversazione ci mette intimamente ad agio. E proprio il carattere d'intimità è uno degli esiti più efficaci di questa parola: perché il consunto 'calore umano' può essere calor bianco, di rabbia, di passione. Il tepore invece appartiene a un campo di sentimenti tutti positivi e posati, di incontro calmo e condivisione sincera.
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(Luciano Cecchinel, Come il respiro di un profumo)

Luce bianca d’inverno,
come il respiro di un profumo
io ti avevo sentito
nel tepore ubriaco
di un lento vorticante
cielo stellato.

E fosti
sbrecciando le muraglie del buio,
ammutolendo gli urli
remoti delle notti.
Perché anche l’ora più oscura
Si facesse casa.

La neve, pragmaticamente parlando, è una specie di pioggia, e per lo più foriera di seccature. Ma allora perché il sogno di tutti noi è un ‘bianco Natale’, e ai primi bruscolini esultiamo come per un dono inaspettato? Me lo stavo giusto domandando, quando mi è capitata davanti questa poesia di Luciano Cecchinel, un poeta veneto contemporaneo.
La prima strofa ruota attorno al presentimento della neve. Nell’aria c’è qualcosa, ma non un profumo distinto: è come se sentissimo sulle guance il respiro di una persona cara. Peraltro la neve è qui associata alla figura femminile, e dunque all’avvento dell’amore.
Perciò, nonostante il freddo, sentiamo un tepore confuso: il cielo sopra di noi sembra addolcirsi, come lo sguardo caldo di qualcuno che ci vuol bene; ma al tempo stesso la sua immensità ci dà le vertigini. Siamo pieni di un’ebbrezza d’attesa, che non sappiamo spiegare. La volta stellata ruota lentamente, e forse quelle piccole luci preannunciano già i cristalli di neve, che fioccheranno al suolo come visitatori da un altro mondo.
Poi la neve arriva (“e fosti”), e ha tutta la forza dell’inaspettato. Così, in pochi istanti, tutto il mondo sembra trasfigurarsi nella luce e nel silenzio.
Il baluginio della neve, infatti, apre una breccia nelle “muraglie del buio”: nelle prigioni della solitudine e della monotonia s’infiltra un’intuizione di libertà, di gioia. Mentre un silenzio serafico zittisce “gli urli remoti” del dolore e della paura, ispirando una fiducia senza ragione… quasi portasse un’aria di casa.
E allora ecco, forse, perché non sappiamo immaginare un Natale senza la neve. Perché questa è la festa della (sacra) famiglia, in cui si concretizza il desiderio di essere amati e accolti, di sentirsi al proprio posto. Dunque il Natale è il momento in cui tutto il mondo ha il tepore di una casa; o, per chi crede, in cui ogni casa ha il tepore di una capanna. E la neve, con la sua dolcezza solenne, porta in sé questo segreto.
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ALDO VINCENT
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