Thursday, December 07, 2017

polizza, olire, fornicare

La parola del giorno è

Polizza

[pò-liz-za]
SIGN Contratto, specie d'assicurazione; ricevuta
dal latino [apodìxis], che è dal greco [apódeixis] 'dimostrazione, prova', derivato di [apodeiknýmai] 'dimostrare', composto di [apo-] 'da' e [déiknymi] 'mostrare'.
Le parentele delle parole sanno sempre stupire.
Non so quanti si siano mai chiesti da dove salta fuori il termine 'polizza', ma è una domanda meritevole, visto che ci rimbomba nelle orecchie tutti i giorni e che il nostro portafogli ringhia ogni volta che lo sente. Di primo acchito appare isolato, privo di nessi evidenti che lo legano ad altri - un frutto che penzola in fondo a un ramo liscio e nudo. E invece scopriamo che ha un parente aulico e sorprendente: l'aggettivo 'apodittico', che significa 'evidente, inconfutabile' con tutta l'intensità di una dimostrazione, di una necessità logica (difatti è propriamente un termine fisolofico). Se però 'apodittico' è una voce dotta, recuperata nel tardo Cinquecento e conservata in ottime condizioni rispetto all'originale greco, la parola 'polizza', documento che etimologicamente prova il vincolo contrattuale o il suo adempimento, è il risultato di usure, storpiature, maciullamenti dell'originale da parte di migliaia di bocche in millenni di mercatura. 'Apodittico' è il fratello che ha condotto un'esistenza silenziosa nei monasteri e disquisisce di verità e virtù, 'polizza' è la sorella che ha passato la vita a fare affari nei porti del mediterraneo e ha un coltello nello stivale.
Oggi, se parliamo di polizze, parliamo di polizze assicurative: banalmente contratti di assicurazione per cui tu mi paghi una somma, io ti sollevo da un rischio. E si dice polizza tanto il contratto-rapporto quanto il contratto-documento. In passato il temine 'polizza' ha descritto qualunque tipo di contratto e di ricevuta: quella assicurativa ha prevalso per una sorta di antonomasia.
Un quadro più bello di quel che prometteva, nevvero?
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La parola del giorno è

Olire

[o-lì-re (io o-lì-sco)]
SIGN Mandare un odore gradevole
dal latino [olēre] od [olĕre] 'mandare odore', con mutamento di coniugazione in '-ire'.
Questa parola è una vera chiave di volta: ne raccorda molte altre, fondamentali, che afferiscono alla sfera dell'odore.
L'odore stesso è etimologicamente affine all'olire - che nell'originale latino, olere, aveva il senso neutro di 'mandare odore'. L'olfatto idem, composto di olere e facere. E ovviamente anche l'olezzo scaturisce dal tema dell'olere latino. Ma, fatto curioso e del tutto arbitrario, mentre all'olezzo associamo oggi un odore sgradevole, l'olire si afferma stabilmente in italiano (con un cambio di coniugazione, da '-ere' a '-ire') in senso opposto, significando il mandare profumo, un odore gradevole.
Le parole rare e ricercate rivelano un'utilità speciale quando descrivono delle realtà che richiedono un certo versamento poetico. Insomma, il pregio di un profumo, per essere descritto in maniera efficace, può aver bisogno di termini che si discostino da quelli soliti: quella delle rose che profumano è un'immagine lisa. In questo senso l'olire ci si presenta come un'alternativa notevole su due fronti: se contrappone la sua finezza insolita a un profumare troppo rimasticato, la sua forma popolare non lo fa cadere nell'affettazione dell' aulire, o dell'olezzare.
Così oliscono di resina le frasche d'abete che abbiamo portato in casa, aprendo il cassetto restiamo frastornati dall'olire delle saponette, respiriamo il cuscino olente dei capelli di lei.
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(Bonvesin de la Riva, Disputatio rosae cum viola, vv. 13-20.)

Incontra la vïora, la rosa sì resona
e dise: “Eo sont plu bella e plu grand im persona,
eo sont plu odorifera e plu cortese e bona […]”

Incontra quest parolle respond la vïoleta: […]
“Ben pò stà grand tesoro in picenina archeta;
quant a la mia persona, ben sont olent e neta.”

XIII secolo: mentre in Toscana nasce la poesia amorosa, al Nord fiorisce quella moralistico-didattica. Bonvesin era appunto un grammatico milanese, e questo è forse il suo testo più simpatico: un ‘contrasto’ (in pratica un litigio) tra la rosa e la viola.
La rosa si vanta infatti di essere “più bella e grande”, nonché “più profumata, nobile e piacevole”. La violetta però risponde, piccata, che anche in un piccolo scrigno ci può stare un grande tesoro. È la versione aulica di “il vino buono sta nelle botti piccole” (un proverbio che anche mia mamma ripete volentieri, essendo ormai la 'picenina' della famiglia).
Inoltre la viola si descrive come “linda e profumata”. Ora, 'olente' (la variante popolare di aulente) è sostanzialmente sinonimo di 'odorifera'. Tuttavia il secondo dà l’idea di un profumo penetrante, mentre il primo evoca un odore più indefinito, aleggiante sullo sfondo.
Insomma la rosa è la femme fatale della situazione, mentre la violetta è una signorina acqua e sapone. La prima frequenta solo i giardini d’alto rango, invece la seconda non disdegna di nascere anche sui fossati, a rischio di essere calpestata per distrazione. La sua bellezza è più discreta, ma più generosa; e, se il profumo della rosa può stordire, quello della viola accarezza chi le passa accanto, portando in sé l’annuncio della primavera.
Così, con buona pace della rosa, la violetta è incoronata regina del giardino. E tale vittoria ha anche una sfumatura socio-politica: Bonvesin infatti era uno strenuo difensore dei comuni, e preferiva la laboriosità dei borghesi all’eroismo nobiliare.
Del resto, spesso le virtù più belle sono davvero le meno evidenti. La generosità nel regalare un sorriso a tutti; la pazienza quando le cose non vanno nel verso giusto; la sollecitudine nell’aiutare gli altri prima ancora che lo chiedano. Sono virtù piccine, da violetta. Ma sono proprio loro a diffondere tra gli uomini un profumo “allegro e confortoso” (v. 242).
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Lucia Masetti, dottoranda in studi umanistici all'Università Cattolica di Milano, ogni lunedì apre uno scorcio letterario sulla parola del giorno.



La parola del giorno è

Fornicare

[forn-ni-cà-re (io fòr-ni-co)]
SIGN Intrattenere rapporti sessuali con una persona che non sia il coniuge; avere un'intesa occulta o illecita
voce dotta recuperata dal latino [fornicare], derivato di [fornix] 'fornice'.
Il carattere dotto di questa parola assicura un certo distacco rispetto all'azione che descrive, e non è un caso che i suoi più eccellenti impieghi si trovino in ambito religioso. Inoltre vi troviamo il pregio di un'etimologia molto vivida.
Il fòrnice è un elemento architettonico: la luce, l'apertura di un arco di un edificio, o monumentale. Queste aperture, molto comuni in ogni città e che specie di notte offrono un riparo discreto, per millenni sono state luoghi d'elezione per postriboli e attività di prostituzione. Figuriamoci che cosa non erano fino a pochi secoli fa gli anfiteatri romani abbandonati. Comunque, dalle attività che si svolgevano nei fornici scaturisce il fornicare.
Ora, con l'apertura dei costumi l'atto descritto da questo verbo ha perso molto del severo smalto che aveva: è quasi buffo scrivere il significato di 'intrattenere rapporti sessuali con una persona che non sia il coniuge'. Ma se si è ridotto il margine d'uso serio di questa parola, i significati figurati e ironici vanno fortissimo. Sicuramente potremo parlare del marito colto a fornicare con la caldaista, ma possiamo volentieri parlare degli amici che si defilano dalla festa per fornicare in santa pace, o del collega che dopo una certa ora è irreperibile perché - dice lui - è sempre a fornicare. Inoltre possiamo anche parlare dell'ingegnere sorpreso a fornicare con la concorrenza, o del politico che fornica occultamente con i suoi avversari.
Il tono dell'illecito rimane, seppur con una sfumatura diversa dal peccato religioso, e questa parola resta una risorsa davvero versatile.
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Grazie a Matteo per il suggerimento!
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[​Dal catalogo di Audible, audioconsiglio #35]
Li leggevo con mia nonna, i romanzi di Valerio Massimo Manfredi. Sono romanzi storici piacevoli, suggestivi, ricchi ed eleganti, che riescono ad avere il giusto equilibrio fra fedeltà e finzione. Questo tratta di una delle vicende più incredibili della storia romana, la storia di Arminio. Forse la mia preferita. Se non la conoscete vi invidio perché vi resta un piacere enorme da godere. Se la conoscete, questo libro ve la farà conoscere molto meglio.
Su Audible è narrato da Lorenzo Loreti, per quasi dodici ore e mezzo d'ascolto. Non perdetevelo. Lo trovate qui: http://bit.ly/teutoburgo

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