Sunday, December 10, 2017

AUTOCTONO, GUAZZA

10 Dicembre 2017 

La parola del giorno è

Autoctono

[au-tò-cto-no]
SIGN Indigeno, originario della stessa terra in cui vive
voce dotta, recuperata dal latino tardo [autochton], dal greco [autóchton], composto di [auto-] 'stesso' e [chtón] 'terra'.
Ci sono diverse parole ben note che condividono grossomodo questo significato, ma l'autoctono ha una sfumatura con un mordente eccezionale.
L'indigeno è etimologicamente chi è stato generato in un certo luogo: il latino indigena è derivato di gignere 'generare', col prefisso 'indu-', che vale 'in-'. L'aborigeno è invece chi abita un luogo fin dai tempi più remoti: nella latinità il popolo degli Aborigeni era quello dei primigeni abitatori del Lazio, e forse trassero pianamente il loro nome dalla locuzione ab origine, 'dalle origini'. L'autoctono, infine, emerso in italiano solo nell'Ottocento, cambia le carte in tavola in maniera poetica: è della sua stessa terra. Letteralmente generato dalla sua stessa terra.
In altre parole, se l'indigeno ci presenta in maniera pulita il nativo, non immigrato e non importato, se la qualità dell'aborigeno è un sussistere in un certo luogo da tempo immemorabile, l'autoctono si mostra come esalato direttamente dalle vigorose viscere della terra. Un carattere che, a ben vedere, per quanto abbia i connotati di una lunga presenza, non ci parla solo di una dimensione temporale, ma di un'identità ctonia, sottile e profonda.
Vivendo con gli autoctoni a mille miglia da casa propria si colgono aspetti nuovi e insoliti dei giorni, la regione si pregia dei suoi talenti autoctoni, e i frutti autoctoni di una terra vengono recuperati con cura laboriosa. Ovviamente tanta serietà può essere facilmente volta in ironia antropologica, e quindi iniziamo l'amico appena trasferito ai divertimenti autoctoni, e ogni volta che capitiamo a Milano ci appuntiamo i curiosi costumi degli autoctoni.
Una parola alta, fine, potente, e proprio facile da spendere.
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La parola del giorno è

Guazza

[guàz-za]
SIGN Rugiada che bagna come pioggia
dal latino [aqua] 'acqua', attraverso forme del parlato come [aquacea] o [aquatia], ipoteticamente.
Nel confronto fra i termini 'rugiada', settentrionale, e 'guazza', toscano, è chiaro quale dei due suoni meno aulico e apollineo. Uscendo di casa al mattino osserviamo l'umile meraviglia della rugiada che imperla i fili d'erba; e invece proferiamo l'irripetibile quando la guazza ci fa pattinare e ci inzuppa le scarpe.
Tecnicamente la guazza sarebbe giusto la rugiada. Ma ha una sfumatura specifica: è una rugiada che, per quantità, bagna come se fosse piovuto, infradicia. Così possiamo parlare di come la nebbia che vediamo dalla finestra prometta guazza, della guazza inattesa dopo la notte serena.
Davanti a un'immagine così vivida emerge un rigoglio di significati estesi, tutti imperniati sul bagnato a terra, o sotto o intorno a qualcosa: i cappotti bagnati allargano la guazza ai piedi dell'attaccapanni, il ripieno troppo umido lascia i ravioli nella guazza, e quando si è gli ultimi a usare in bagno c'è sempre da fare i conti con la guazza.
La forza di questa parola sta nel suono simpatico, e nel richiamo diretto, per quanto non immediato, all'acqua. Tant'è che la troviamo come base di diverse altre parole, dal significato variamente specializzato: i bambini nella piscinetta stanno a guazzo, al collega malizioso piace sguazzare nel torbido degli affari altrui, il fascicolo delle fatture si rivela un guazzabuglio, e il vecchio cuoco si porterà nella tomba il segreto del suo guazzetto di pomodoro.
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ALDO VINCENT
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Aldo Vincent
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