Tuesday, January 21, 2020

MAGAZZINO


 
La parola del giorno è
[àl-bum]
SIGN Quaderno in cui sono raccolti autografi, motti, fotografie e collezioni in genere; raccolta di brani musicali
voce latina, col significato di 'bianco', ma anche 'albo'.
Questo latinismo crudo è sempre nei nostri discorsi e ha un successo globale. Ora, il fatto che album in latino sia il colore bianco possono averlo in mente tante persone, ma il percorso che porta da questo 'bianco' alla raccolta di brani musicali che ascolto sul vinile o sull'applicazione, passando per quella di figurine e francobolli, non è noto a tutti.
Qualcuno penserà che c'entri il colore bianco della carta del quaderno, ma la realtà è un po' più complessa e ci richiede un bel viaggetto nello spazio e nel tempo fra costumi sorprendentemente vicini a noi. Album nell'antica Roma non era solo il bianco, ma anche quello che oggi comunemente chiamiamo 'albo' (ovviamente dalla stessa origine), cioè quella sorta di bacheca dove troviamo scritti annunci istituzionali. Insomma, in effetti non stupisce che sull'albo pretorio su cui scrivono i sindaci scrivessero anche i pretori romani. Si chiamava album perché semplicemente era una tavola sbiancata (anche nota come tabula dealbata), su cui magistrati e pontefici scrivevano nero su bianco e che veniva affissa in pubblico. E vi scrivevano cose importantissime per Roma, come gli annali e i censimenti dei senatori.


La strana coppia
ma-gaz-zì-no
Locale di deposito; fra Sette e Ottocento, nome di periodico illustrato
attraverso il latino volgare magazenum, dall'arabo makhazin, plurale di makhzan, che è dal verbo khazana 'depositare, immagazzinare'.
Gennaio 1753: dopo soli dieci mesi di vita, chiudeva a Livorno il Magazzino italiano. Rinato l’anno dopo come Magazzino toscano, nemmeno stavolta durò a lungo, cessando definitivamente l’attività nel 1757. Strategia commerciale dissennata? Scarsa attrattiva sulla clientela? Chissà. Di certo il Magazzino conteneva, come dichiarato sul frontespizio, merci singolari quali storia, geografia, architettura, economia, poesia, agricoltura, meccaniche, commercio, navigazione, nuove politiche e molto altro; il tutto rivolto a “persone che, distratte da impieghi o da cure più utili alla Società, non possono consacrare che una piccola parte del tempo alla Lettura”.
Lettura? Da quando in qua un magazzino, oltre che riempire, svuotare e riordinare, si può anche leggere? Precisamente dal 1731, anno di nascita del Gentleman's Magazine. Nell’introduzione al primo volume, il fondatore Edward Cave spiegava così il suo progetto: dato che all’epoca esistevano a Londra circa duecento giornali, e nessuno aveva il tempo di leggerli tutti, lui ed altri gentlemen avevano pensato di promuovere “una raccolta mensile per conservare, come in un magazzino”, preziosi brani di “intelligenza, umorismo e informazione” che rischiavano di non essere sufficientemente valorizzati. Fino a quel momento, la parola magazine e le sue consanguinee europee – tra cui la madre francese magasin e la nonna italiana magazzino – significavano appunto magazzino, deposito. Per quali rotte, allora, un termine sì dimesso è approdato allo sfavillante mondo dell’editoria?

Non stupirà, sapendoli un popolo da sempre versato nei commerci, che il viaggio cominci dagli arabi. La parola makhazin – plurale di makhzan, a sua volta dal verbo khazana (depositare, immagazzinare) – attraverso il latino volgare magazenum passò nel primo Trecento all’italiano, sotto forma di magazeno, magazino e magazzino, e quindi al francese magasin. Per qualche secolo il termine mantenne, in tutte le lingue, il medesimo significato: deposito di merci o altri beni, alimentari e non. A partire dal Seicento, però, in francese magasin prese l’accezione di ‘emporio’, ‘grande negozio’ (d’altra parte, da luogo di raccolta a luogo di vendita il passo è breve), e per l’appunto in Francia nacquero a metà Ottocento i primi grandi magazzini, diffusisi rapidamente in tutta Europa e in America – e con essi il nuovo significato della parola, decisamente più stiloso: perfetto per la Belle Époque. 
Ma non è per questa via, come abbiamo visto, che si arriva all’accezione editoriale di magazine. L’inglese prese in prestito il francese magasin alla fine del Cinquecento, quando significava ancora solo ‘deposito’, e in fondo si è sempre attenuto a questo significato (anche se oggi magazine è usato in questo senso solo in campo militare, indicando un deposito di armi e munizioni, per estensione il caricatore di una pistola, e per analogia – anche nell’italiano magazzino – l’alimentatore di macchine fotografiche e altri apparecchi). E dunque il senso di ‘rivista, periodico’, per quanto sorprendente, non è che una metafora abbastanza pervia: come in un magazzino si ammucchiano mercanzie disparate, così un magazine è una miscellanea, una raccolta di notizie e informazioni di varia natura e provenienza.
Ma quanto è durata la stagione dei magazzini italiani emuli dei magazine britannici? Non molto: ben pochi sopravvissero all’Ottocento, e di conseguenza quell’accezione della parola si è a poco a poco estinta. Bene, dirà qualcuno, un anglicismo in meno. Ma una pubblicazione periodica, allora, oggi come la chiamiamo? Beh, rivista (calco dal francese revue, a sua volta dall’inglese review), oppure… magazine.

Parola pubblicata il 21 Gennaio 2020 

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